Tracce n.7, Luglio-Agosto 2023

Logici fino alla fine
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Quest’anno il tema più gettonato dai ragazzi all’esame di maturità è stato: «L’elogio dell’attesa ai tempi di WhatsApp». Si potrebbe dibattere a lungo di tutte le distorsioni sottese e reali: la volontà di controllo, la paura del vuoto, il desiderio di tutto e subito, di riempire il tempo, perdendolo... È interessante come il giornalista a cui era ispirata la traccia, Marco Belpoliti, sia tornato sul tema dopo l’esame: «L’attesa è legata all’imprevedibile. Il verbo “attendere” significa “rivolgere l’anima verso qualcosa”, e quel qualcosa appartiene all’ambito dell’imponderabile». Poi aggiunge: «Il computer e lo smartphone avevano, già prima della pandemia, reso l’attesa qualcosa da evitare, per quanto siamo di fatto tutti in continua attesa. Un’evidente contrapposizione». Bellissima contrapposizione. Perché i cambiamenti, il potere di certi strumenti, fanno emergere di più che siamo attesa. E che l’attesa è il contrario di una passività subìta, è un’attività dalla dignità enorme.
In un intervento pubblicato su questa rivista nel 1988, don Giussani racconta come lo provocò vedere degli emigranti che stavano seduti sulle panche, in stazione, appoggiati ai loro fagottoni: «Io li guardavo e dentro di me dicevo: “Uno che guardasse superficialmente queste persone direbbe che non stanno facendo niente; invece stanno aspettando”. Mi è rimasta molto impressa questa esperienza, perché ho capito allora che aspettare è un’occupazione. L’aspettare può essere totalmente inesperto, incapace di esprimersi col pensiero, ma senza questa attesa uno è veramente nulla. Per non aspettare più niente un uomo deve essere, senza pensarci, disperato».

Questo numero si confronta con l’audace realismo di Giussani. «Non è realistico che l’uomo viva senza questa apertura all’impossibile. Come si dice ne Il senso religioso, la realtà dell’uomo è rapporto con l’infinito. L’infinito o l’impossibile». È il contrario di quel che si pensa normalmente: sii realista, abbassa il tiro. Mentre per lui essere realisti è vivere a pieno il rapporto con la realtà, coincide con il respiro di una ragione spalancata, che non blocca il grido di significato, cerca l’eccezionale, ciò che «corrisponde alle esigenze più profonde del cuore. Per essere eccezionale, un incontro deve corrispondere a quello che tu attendi».
Il titolo in copertina è la celebre frase del “maggio francese” del Sessantotto, che riecheggia il Caligola di Albert Camus: «Non sono pazzo e posso dire perfino di non essere mai stato così ragionevole come ora. Semplicemente mi sono sentito all’improvviso un bisogno di impossibile. Le cose così come sono non mi sembrano soddisfacenti (…). Ho bisogno della luna, o della felicità o dell’immortalità, di qualcosa che sia demente forse, ma che non sia di questo mondo». Gli risponde il suo servo Elicone: «È un ragionamento che sta in piedi. Ma, in generale, non lo si può sostenere fino in fondo, non lo sai?». E lui: «È perché non lo si sostiene mai fino in fondo che non lo si sostiene fino in fondo. E non si ottiene nulla. Ma basta forse restare logici fino alla fine».
Non c’è un augurio più bello, anche per le vacanze, per il «tempo della libertà», come lo chiama Giussani: «La vacanza è il tempo più nobile dell’anno, perché è il momento in cui uno si impegna come vuole col valore che riconosce prevalente nella sua vita». È il tempo della «responsabilità della libertà», il tempo «in cui viene a galla quello che vuoi veramente».