Un momento del Convegno all'Università Cattolica il 24 febbraio 2024

Per «sperare nell'umano»

Le nuove «esigenze ed emergenze educative» al centro dell'annuale convegno di varie associazioni che operano nel mondo della scuola. «Occorre coraggio. E la capacità di dire dei "sì"»
Stefano Giorgi

«Sentendo i compagni, ascoltando le canzoni più in voga... intorno a me continuano a dirmi che tutto fa schifo, che devo lamentarmi, lagnarmi, atteggiarmi a essere triste sempre. Ma io non ci sto, per me la vita è bella, perché si può ricercare un bene presente». Così Pietro, terza liceo classico, ha aperto il dialogo che ho avuto di recente con alcuni studenti delle superiori.

È descrittivo di un clima che aleggia nella scuola: la realtà “fa schifo”. L’unica cosa che conta è la performance, che spesso si trasforma in fallimento: a scuola, con gli amici, in famiglia. Ed è anche lo specchio di quelle “nuove esigenze ed emergenze educative” al centro del convegno annuale per tutti i gradi di scuola voluto dall’associazione culturale “Il rischio educativo”, insieme a CdO, Diesse, Di.S.A.L., Portofranco, che si è tenuto il 24 febbraio in Università Cattolica a Milano, dal titolo “Sperare nell’umano”.

Un’occasione attesa e importante per me, che a settembre sono entrato in aula come insegnante per il 40° anno di fila e ho trovato nei ragazzi gli stessi sguardi dell’inizio, confusi magari, ma carichi di quelle domande e desideri che, presi sul serio, ridestano in me quella voglia di riconquistare l’avventura di “abitare” la realtà, perché essa, come diceva don Giussani, «non mi ha mai tradito».



È un’avventura che non puoi percorrere da solo, gonfiando i muscoli. Soprattutto perché in questi quarant’anni tanto è cambiato, condizioni e contesto. Come ha ricordato, introducendo il convegno, Francesco Valenti, presidente dell’Associazione e rettore del Collegio della Guastalla, sintetizzando il lavoro di tanti collegi docenti: «La solitudine di massa coinvolge bambini e ragazzi. Siamo davanti a un crollo delle competenze relazionali: forte individualismo, mancato amore per la realtà, incapacità di avere relazioni non mediate dalla tecnologia, un continuo senso di inadeguatezza. Poi la sfiducia dei genitori nella scuola e viceversa, quasi che gli adulti siano succubi di una sorta di “figliocrazia” (splendido neologismo). È come se, in fondo, la proposta culturale che si respira è che il futuro non ci sia più».

Condizione dura, che Cesare Maria Cornaggia - psichiatra e docente all’Università Bicocca di Milano - nel suo intervento ha descritto con chiarezza e passione: «La popolazione giovanile post-Covid è diversa da quella precedente: ha perduto la corporeità della parola e ha perduto la ricerca dell’altro come risorsa. A questo si è associata la pretesa, nella società post-moderna, dell’abolizione del limite e delle differenze. Siamo invasi da paure e onnipotenza». Eppure, anche se i ragazzi vivono «in questo terribile humus», emergono due irriducibilità: «La realtà e il cuore, messe in discussione dalla società post-moderna, ma ineliminabili perché inscritte profondamente nella natura umana».



Quella nostra natura che è «esigenza del vero e della realtà», come ha ben chiarito Michele Lenoci, docente di Filosofia teoretica all’Università Cattolica, nella sua densa e decisiva relazione, passando attraverso san Tommaso, Hegel, Nietzsche, Heidegger: «Esigenze oggettive, che si fondano nella natura intrinseca dell’essere umano, costitutive della persona. Oggettive, ma non costrittive». Parlando dell’essere umano «non abbiamo a che fare con un semplice vivente, ma con chi è intelligente e libero, capace di amare, cioè tendente al bene per sé e per tutti gli altri. L’uomo è apertura al mondo e agli altri esseri». Apertura a che scopo? «Incontrare la realtà per coglierne il senso, che è ciò che permette un’azione non solo efficace, ma buona. Occorre quindi conoscere con verità». Colpisce tutti il richiamo alla verità come adeguatezza alla realtà (veritas est adaequatio rei et intellectus, san Tommaso), perché se è vero che la nostra natura è apertura alla realtà questa è resa possibile dalla «apertura della realtà a noi». Ovvero, «c’è una verità delle cose: anche le cose sono vere in quanto hanno un senso in esse riposto, sono vere se si adeguano all’idea per cui sono state volute». Le circostanze sono un’occasione, perché la realtà non è “per caso”, la verità delle cose ci apre all’affermazione di un Dio personale.

E allora? E l’emergenza? «Occorre un coraggio educativo», incalza Cornaggia: «La capacità di dire dei (che per il padre coincide con il desiderio di “morire” come compimento di sé). La capacità di dire dei , perché siamo stati generati da un sì. È dal alla realtà che nasce ogni nostra giornata e il è la prima introduzione all’essere in relazione». È di questo che i nostri ragazzi hanno bisogno: il nostro sì alla realtà, il nostro sì di riconoscimento a loro, così che «possano andare nel mondo perché possono sempre tornare in un luogo che li attende».

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Ed è subito come riprendere respiro ed energia per continuare una buona avventura, con gratitudine per tutto il lavoro che ha portato a un momento come questo, come ha sottolineato nel suo messaggio di saluto - e di rammarico per l’impossibilità ad essere presente - sister Zeph, insegnante pakistana vincitrice del Global Teacher Prize 2023: «Mi colpisce la dedizione della vostra Associazione alla formazione e all’educazione degli insegnanti lungo tutto il loro percorso professionale: mi colpisce il vostro impegno per costruire una comunità di educatori che condividono valori e metodologie». Un lavoro per tutti: per sostenere noi e i nostri ragazzi nel proprio .