La mostra nella Cattedrale di San Pietro a Bologna (Foto Francesca Velez)

Bologna. Quel ramo cosparso di miele

A quarant'anni dalla morte dell'arcivescovo Enrico Manfredini, il centro culturale che porta il suo nome gli ha dedicato una mostra alla Festa dei Bambini e, nei giorni scorsi, nella Cattedrale
Stefano Andrini

Quarant’anni dopo il primo incontro, le strade di monsignor Enrico Manfredini e del Centro culturale di Bologna tornano ad incrociarsi. L’occasione è data dalle celebrazioni diocesane per l’anniversario della scomparsa di Manfredini, arcivescovo della città per pochi mesi nel 1983. Galeotto il suggerimento che il cardinale Matteo Maria Zuppi ha affidato ai nuovi responsabili del Centro quando sono andati a raccontargli della decisione di riprendere l’attività: «Vivete il vostro Centro culturale per incontrare e conoscere l’altro, con la stessa passione per l’uomo che aveva Giussani. Come primo compito, in tal senso, vi suggerisco di incontrare e conoscere l’uomo di cui il vostro Centro culturale porta il nome: Enrico Manfredini. Servirà a voi, a noi, alla città». L’idea di ri-iniziare è nata da alcuni amici che hanno preso seriamente la proposta, centrale nell’esperienza educativa di Giussani, del “libro del mese” - che lui faceva per sostenere il cammino personale e comune - e di dilatarla alla città, iniziando un ciclo di incontri di presentazione di libri titolato appunto “Ogni Libro, un passo”.

Racconta il presidente Michele Bassi: «Raccogliere il compito preciso affidatoci dal Cardinale è stato per noi un ritorno alle origini. Nel 1983, infatti, il Centro nasce con il nome di “L’umana avventura”. Il 30 aprile Manfredini fa il suo ingresso in diocesi come nuovo vescovo. Pochi mesi dopo, il 16 dicembre 1983, muore. Nella sua pur breve permanenza a Bologna è stata una presenza viva, “perturbante” per la città. Per questo chi ha fondato il Centro culturale pensò di intitolarlo all’Arcivescovo appena scomparso. Iniziò una lunga avventura fatta di presenza, di incontri e di un servizio a tutto campo al magistero del cardinale Giacomo Biffi, suo successore».

Il cardinale Matteo Zuppi in visita alla Festa dei Bambini (Foto Salvatore Messina)

Per rispondere alla sollecitazione del cardinale Zuppi, prosegue Bassi, «abbiamo pensato di realizzare una mostra da presentare alla Festa dei Bambini del 2023 con il titolo “Per cui questo mondo diventa diverso”. Non era una cosa semplice. Mancava una documentazione organica, molti dei componenti del gruppo di lavoro non avevano conosciuto Manfredini. Ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Ed è come se noi che l’abbiamo realizzata e i tantissimi che l’hanno visitata ci fossimo ritrovati sulle scale del seminario di Venegono mentre si rincorrono le tonache svolazzanti nella discesa a Messa, spettatori del famoso dialogo che dà inizio a tutto: “Che Dio sia diventato uomo è una cosa dell’altro mondo” (Manfredini); “È una cosa dell’altro mondo che vive in questo mondo, per cui questo mondo diventa diverso, più sopportabile. Diventa più bello” (Giussani). Emerge da questo lavoro come la pur veloce parabola della presenza di Manfredini nella nostra città ha, comunque, lasciato una traccia luminosa: il suo ardente amore per Cristo, il suo ardente amore per l’uomo».

Su richiesta di Zuppi, la mostra è stata allestita per due settimane nella Cattedrale di San Pietro come percorso introduttivo alla celebrazione di suffragio svoltasi il 16 dicembre. Davanti ai pannelli, posti all’interno della chiesa davanti al portale, abbiamo incontrato il Vicario generale della Diocesi, monsignor Giovanni Silvagni che nel 1983 era un giovane seminarista: «Monsignor Manfredini non apparteneva al nostro modo di sentire più immediato, aveva infatti uno sguardo davvero grande sulla vita, sull’umano, sulla città, sulla pace, sull’Università. Mi sembra, per quel che ricordo, che in quegli anni fossimo concentrati su una visione introversa della Chiesa, si stava dentro le cose nostre, in un mondo che sempre meno ci capiva e che in qualche modo ci dava per persi, senza una reale commistione. Manfredini, invece, costruisce delle prospettive che poi si sono felicemente realizzate in una trama che va dal governo della Diocesi a quello della Chiesa universale fino ad approdare a un sentire comune. Dentro la Chiesa questo si chiama carisma profetico».

La mostra è al tempo stesso un prezioso scrigno di memorie. Come il famoso pellegrinaggio al santuario della Madonna di San Luca degli studenti delle scuole superiori. Ricorda Giuliana Morganti, che allora seguiva l’esperienza di Gioventù Studentesca: «Manfredini fece sua la nostra proposta di un gesto in orario scolastico per affidare l’anno alla Madonna. Prese carta e penna e scrisse agli studenti: “Alle vostre famiglie, a cui compete non soltanto la cura dei vostri studi, ma di tutta la vostra crescita umana e cristiana, chiedo di assumersi, insieme con me, in forza della nostra comune missione educativa, la responsabilità dell’iniziativa anche nei confronti della comunità scolastica”. Fu lo stesso Manfredini a guidare il pellegrinaggio. E la risposta fu straordinaria, arrivarono circa cinquemila ragazzi. Altrettanto numerosi furono gli studenti universitari nella prima Messa di inizio anno in San Petronio». Nell’omelia Manfredini ribadì la sua visione dei rapporti tra Università e città: «Sono insieme proiettate, oltre i loro immediati interessi, verso il mondo intero, verso la promozione integrale dell’uomo, verso la costruzione della pace universale».

La mostra nella Cattedrale di San Pietro a Bologna (Foto Francesca Velez)

L’ultimo pannello della mostra riguarda la tomba di Manfredini situata in fondo alla navata di destra della Cattedrale. Spiega Francesca Velez, che insieme ad altri amici, ha curato la grafica dell’allestimento: «Dell’Arcivescovo non sapevo quasi nulla, a mano a mano che il lavoro proseguiva mi ha contagiato la sua passione per l’uomo e la sua esperienza dell’amicizia di Cristo. Quando abbiamo finito è stato naturale dire una preghiera in Cattedrale sulla sua tomba». A proposito della quale c’è una curiosità. Due settimane prima di morire, monsignor Manfredini intervenendo ad un incontro citò un episodio che lo aveva colpito, ovvero quello di un uomo che liberò un cortile da uno sciame d’api attirandole con un ramo cosparso di miele. A commento Manfredini disse: «Io, figlio di operai, non ho uno stemma. Vi confesso però che se un giorno i bolognesi volessero ricordarmi con un emblema araldico, mi piacerebbe avere questo ramo verdeggiante spalmato di miele, che attira a conquista lo sciame». E così è avvenuto. «Una cosa è certa», conferma il presidente Michele Bassi: «Nel riprendere in mano questa avventura entusiasmante stiamo riscoprendo noi per primi il tesoro che abbiamo per le mani. Non ci resta che condividerlo con tutti. Semplicemente».

Sempre a Bologna è stata allestita durante la Festa dei Bambini la mostra: “Dal frutto infatti si riconosce l’albero. Il dono del carisma di don Giussani nella testimonianza di vita di chi lo ha incontrato”. Per iniziativa di Pier Paolo Bellini e di alcuni amici della sua Scuola di comunità, la mostra è nata dall’intuizione di padre Antonio Sangalli, carmelitano molto vicino all’esperienza di CL, che sottolinea sempre come la grandezza di don Giussani si vede nei frutti che ha generato, ovvero i suoi “figli” che con la loro vita offrono una testimonianza di che cosa voglia dire portare il carisma, fino a viverlo in maniera personale. L’esposizione, quindi, racconta la vita di Enzo Piccinini, Novella Scardovi, don Francesco Ricci e di altri “testimoni” più recenti come Anna Sangiorgi, Emanuele Cicognani, Giulia Pompili, Stefania Campagna.

Nel primo pannello come introduzione al percorso si legge questa frase di monsignor Massimo Camisasca: «Non si può comprendere don Giussani se non si entra nel mistero delle vite cambiate da Dio attraverso il fascino della sua fede, della sua umanità».

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Di Enzo Piccinini - il chirurgo modenese di cui è aperta la causa di beatificazione - è richiamata la sua “febbre di vita”: pur vivendo giornate massacranti si accendeva di interesse per ogni cosa che vedeva. E ancora le parole di Novella Scardovi, fondatrice dell’omonima casa di accoglienza: «La mia tensione era incontrare chi aveva una particolare situazione di bisogno per dargli testimonianza che il suo bisogno poteva essere accolto come era stato accolto il mio». E quelle di don Francesco Ricci che in seguito all’incontro con don Giussani definisce così la sua vocazione: «Un trattino d’unione tra la realtà di Gesù Cristo che mi aveva affascinato e la gente, amici e giovani che conoscevo».

La mostra, che nei prossimi mesi girerà in alcune comunità, documenta le parole di padre Lepori agli Esercizi della Fraternità: «I testimoni della fede formano attorno a noi questa nube misteriosa che rende visibile l’invisibile presenza di Dio».