(Foto Unsplash/Guillaume Perigois)

Il voto in Europa per costruire la pace

La persona, la convivenza, la libertà dei popoli: le sfide poste dalle elezioni di giugno in un documento della CdO che verrà presentato il 13 maggio a Monza. Da "Tracce" di questo mese, un dialogo con il presidente Andrea Dellabianca
Maria Acqua Simi

Tra il 6 e il 9 giugno prossimi quasi 359 milioni di elettori dei 27 Paesi aderenti all’Unione Europea saranno chiamati a rinnovare i membri del Parlamento di Strasburgo. Un appuntamento non scontato. «Per l’Europa non è un momento facile», spiega Andrea Dellabianca, presidente della Compagnia delle Opere. «Di fronte alla crisi della partecipazione e della democrazia è necessario muoversi per vincere la sfiducia, l’astensionismo e riguadagnare un rinnovato slancio nella ricerca della libertà e della pace tra tutti i popoli». Anche per questo la CdO ha pubblicato un documento che dà un giudizio sulla situazione e delinea alcune grandi questioni che l’Unione Europea deve affrontare: la pace, la fedeltà alle proprie radici, la libertà per le persone e per gli Stati, la sfida tecnologica. Un volantino rivolto agli elettori, certo, ma anche a coloro che hanno scelto di impegnarsi in prima persona nella grande avventura di governare l’Unione.

«L’Ue è nata avendo come obiettivo quello della pace», ricorda Dellabianca. «Vengono i brividi a pensare con quale lungimiranza, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, vinti e vincitori si misero al tavolo insieme, l’uno a fianco dell’altro, per ricostruire: il desiderio di un futuro senza conflitti era ciò che muoveva i padri fondatori – i cattolici Robert Schuman, Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi – e permetteva perfino di dialogare con quello che fino a pochi anni prima era stato un nemico. Lo stesso mercato unico, prima che per un interesse economico, nacque come possibilità di costruire assieme una pace stabile e duratura attraverso un bisogno molto concreto: la condivisione del mercato del carbone e dell’acciaio, da cui sarebbero nati prima la Ceca (Comunità europea del carbone e dell’acciaio) e poi il Mec (Mercato comune europeo). Un mezzo, appunto, non il fine ultimo. A lungo ci è stato ripetuto che gli europei sono uniti solo per i vantaggi economici del mercato unico, ma non è così».

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Lo aveva detto molto bene Schuman, all’epoca ministro degli Esteri francese, in uno storico discorso del 9 maggio 1950: «L’Europa non si farà di colpo, né con una costruzione d’insieme: essa si farà attraverso relazioni concrete creando prima di tutto una solidarietà di fatto. Il governo francese propone di piazzare l’insieme della produzione franco-tedesca del carbone e dell’acciaio sotto un’Alta Autorità comune». E aggiunse: «La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano. Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche».

Molte cose sono cambiate da allora. Soffiano venti di guerra in Europa, le crisi migratorie si sommano alle difficoltà economiche, non mancano le tensioni tra molti Stati membri mentre le stesse istituzioni europee - smarrite, soffocate dalla burocrazia, dai tecnicismi e da paralisi politiche - «spesso attuano pericolose invasioni di campo a scapito di tradizioni, culture ed economie dei singoli popoli», come ricorda il documento della CdO. La campagna elettorale in Europa vede nel riarmo uno dei punti focali, mentre non è chiaro quali tentativi reali di dialogo si stiano facendo a Bruxelles per evitare che il conflitto si estenda. «Il rischio di escalation è concreto», riconosce il presidente della CdO, «lo documenta la logorante situazione tra Ucraina e Russia. E allora, come ha ricordato ancora recentemente il Papa, è necessario rinnovare questo sforzo creativo di tensione alla pace. La guerra deve finire e per farlo servono trattative, concertazione, ricerca di un dialogo e di una negoziazione».

Le provocazioni del presente possono però essere l’occasione di un nuovo slancio, dice Dellabianca, perché la pandemia, le guerre e i nuovi complessi scenari delineati dall’Intelligenza artificiale impongono una riflessione concreta sul bene comune e la riscoperta del compito che l’Europa ha. «Viviamo in un’epoca incerta, in cui avranno un ruolo formidabile le nuove tecnologie che imporranno la trasformazione digitale delle imprese. Che a marzo il Parlamento europeo abbia votato l’Artificial Intelligence Act, primo quadro giuridico al mondo voluto per disciplinare l’IA, è un passo importante. Ma prima ancora credo sia necessario recuperare una certa idea di persona: l’essere umano è relazione, e questa concezione è alla base della spinta che mosse i fondatori dell’Unione e i popoli europei a costruire la pace e una società libera e matura. Con il tempo, però, questa idea di persona è stata sostituita dalla concezione di individuo, in cui i rapporti, la comunità e i corpi intermedi perdono importanza; di pari passo, l’Unione, sorta per garantire sicurezza, pace e prosperità, ha ceduto alla tecnocrazia. Ma un uomo solo è fragile, impaurito, manipolabile. E una potenza politica fatta solo di procedure, compromessi economici e tecnica smarrisce il suo senso ultimo creando una distanza con i cittadini. Il nostro appello è quindi quello di recuperare un ideale di democrazia dove tutti, a tutti i livelli, sentano viva la responsabilità di cooperare per il bene comune».

Questo - come sottolinea anche il manifesto della Compagnia delle Opere - è possibile tornando alle origini dell’impegno europeo così come descritto da papa Francesco nel 2016 quando ricordò la necessità di «un passo di creatività e anche di sana disunione: dare più indipendenza, più libertà ai Paesi dell’Unione». «Serve certamente una leadership matura, che possa stare di fronte alle diversità valorizzandole con creatività senza soffocare nella burocrazia», chiarisce il presidente CdO. «In questo non dobbiamo dimenticare la grande lezione dei tre padri fondatori. Avevano chiaro che si costruisce solo insieme, uniti nella diversità ma con lo sguardo rivolto alla salvaguardia della dignità della persona come soggetto unico e irripetibile, libero e responsabile. Perché anche il progresso più avanzato non può legarsi solo alla mera tecnica: avrà sempre bisogno della libertà e della creatività dell’uomo per uno sviluppo positivo». Fu proprio De Gasperi a delineare questa strada: «Il futuro non verrà costruito con la forza, nemmeno con il desiderio di conquista ma attraverso la paziente applicazione del metodo democratico, lo spirito di consenso costruttivo e il rispetto della libertà».