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Donacibo. «Ho visto l'amore in una mano»

Una professoressa racconta la settimana di raccolta di generi alimentari per i poveri nella sua scuola. «I ragazzi, quando ci stupiscono, lo fanno in grande»

Quando si propone un’iniziativa di solidarietà come il Donacibo a un pubblico di adolescenti, la preoccupazione grandissima è che essa possa cadere nel vuoto. Non nascondo che, mentre allestivo gli scatoloni, mi chiedevo: «Riusciremo a riempirne almeno uno?».

Il primo giorno nessuno ha portato nulla e me ne sono dispiaciuta. Il mattino dopo, quando sono rientrata a scuola, ho trovato, però, le prime donazioni: le collaboratrici mi hanno spiegato che nel pomeriggio del giorno precedente qualche genitore era passato a lasciare ciò che i figli, dovendo prendere diversi mezzi per arrivare a scuola, non sarebbero riusciti a portare.

Qualche ora dopo, una collega mi ha avvisata che un’alunna, arrivata da non molto tempo in Italia, aveva portato prima delle 8 due buste pesanti di spesa. Quando le è stato chiesto perché si fosse caricata tanto, ha risposto che lei conosce il significato della parola “fame”. Nel pomeriggio, le ho mandato un’email per ringraziarla del suo gesto, questa la sua risposta: «L’uomo a volte dimentica di essere grato per ciò che ha e per ogni opportunità che Dio gli ha dato e che non tutti hanno. Da quando se ne è parlato in classe mi è nato questo desiderio, l’ho realizzato con tutto il cuore e ogni volta che avrò l’opportunità lo farò e se avrò due cose in casa ne regalerò una a qualcuno che ne ha bisogno». Ho subito condiviso la sua risposta con gli altri colleghi e, a catena, in molti si sono sentiti nel cuore il desiderio di donare.

Un altro alunno mi ha chiesto di poter donare la spesa che la sua famiglia aveva ricevuto quel mese in abbondanza da un’altra associazione: «Abbiamo tanta pasta e tanto caffè e noi non ne stiamo consumando tanto, posso portare qualcosa per chi non ne ha?». Gli ho dato appuntamento per il giorno dopo e gli ho chiesto di arrivare un po’ prima del solito. Alle 7:28 era l'unico ragazzo davanti alla scuola, con due buste della spesa che io non riuscivo nemmeno a sollevare.

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Sicuramente ci sono tante altre storie di formiche che, mattina dopo mattina, hanno riempito quelle scatole. Anche se alla fine fossimo riusciti a riempirne davvero solo una, avrei concluso l’iniziativa ugualmente felice, perché questo progetto mi ha confermato che i ragazzi hanno tanto da insegnarci: quando ci stupiscono, lo fanno in grande; quando sono buoni, lo sono nel profondo. In una società in cui sembra esistere solo l’individuo, ho visto esplodere l’amore per l’altro in una mano che, frettolosa, depone un barattolo di fagioli in uno scatolone.
Ilaria