Il referendum? Interessa anche tra i banchi

Lunedì 14 novembre, duecento ragazzi del centro di aiuto allo studio di Milano hanno incontrato Giorgio Vittadini. Tra chi non ha ancora l'età per votare e chi si crede «impotente», la voglia di capire cosa c'è in gioco. Oltre ad un premio speciale...
Paola Bergamini

«Come si può deliberare senza conoscere?», la domanda di Giulio Einaudi, secondo presidente della Repubblica, riempie il grande schermo della sala riunioni di Portofranco, il centro di aiuto allo studio a Milano. Alle 17 non c’è più un posto libero. Sono circa duecento i ragazzi delle superiori venuti all’incontro sul referendum con Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà. Per i diciottenni è il primo appuntamento al voto. Ma c’è anche chi, il 4 dicembre, non dovrà presentarsi alle urne ed è venuto per il desiderio di capire.

«Questa mattina, assemblea a scuola con esponenti del “sì” e del “no”. Uno “sciroppamento” di dati e motivazioni. Che alla fine… ti sembra che abbiano tutti ragione!», commenta un ragazzo in ultima fila. Alberto Bonfanti, responsabile di GS, sgombra subito il campo: «Questa sera vogliamo innanzitutto capire cosa c’è in gioco. Capire il valore della nostra Costituzione». Sapere per decidere. Appunto.

Al tavolo insieme a Vittadini, Giada Ragone, assegnista di Diritto costituzionale alla Statale di Milano, con l’aiuto di alcune slide, fa il punto della situazione. Cioè che cosa richiede nello specifico il quesito referendario. Poi tocca a loro, ai ragazzi. Le prime domande sono di approfondimento. Luca e Pietro, ultimo anno delle superiori, chiedono spiegazioni sull’abolizione dei decreti legge, sulla concorrenza Stato/regione, sui presidenti delle due camere. «Complimenti per la competenza», commenta la Ragone. Non sono poi così sprovveduti o ignoranti come li si vorrebbe far passare. «Non ci si può ridurre a un derby regione/Stato, altrimenti non se ne arriva una», attacca Vittadini, spostando subito la questione. «Bisogna uscire dalla logica degli schieramenti». L’esempio, in negativo, è sotto i nostri occhi: la seconda Repubblica è stato il periodo con il più alto indice di ingovernabilità. «Che l’Italicum sia da riformare non c’è ombra di dubbio, ma se il pensiero non è rivolto al bene comune si rimpiomberà nel tradimento. C’è bisogno di governanti al servizio del Paese. Così come un’opposizione che sia al servizio dell’istituzione». Nel ’48, con l’attentato a Togliatti, si è corso il rischio concreto di una guerra civile. Perché questo non è accaduto? Per quello che aveva detto il partito comunista: «Mettete via le armi». Nessuna formula, anche la migliore, può sostituire la persona.

«Sì, ma alla fine sembra che questo voto sia pro o contro Renzi. O almeno così cercano di farcelo passare. Cosa c’è di vero?», butta lì Filippo. Pensiero comune a molti. Non solo fra i ragazzi. «Falso!», si scalda Vittadini. «Bisogna stare su quello che viene richiesto. Usare un dato per scardinarne un altro significa distruggere la democrazia». L’inganno sta proprio in chi dice: «Il problema è un altro». L’esempio, questa volta in positivo, sono le ultime elezioni comunali. A Milano, a differenza che in altri comuni, la gente è andata a votare due candidati che parlavano della città, non «di altro». «Liberatevi da questo ciarpame, dai vecchi che cercano di sviarvi. Picchiategli sulle orecchie!». Risate di tutti. Lui anagraficamente dovrebbe rientrare tra i “vecchi”, ma l’impeto, con cui comunica, trascina.

Si entra ancora più nel vivo con la domanda di Guglielmo: «Ok per il bene comune, che l’istituzione in sé non può risolvere. Ma allora noi siamo impotenti?». La risposta di Vittadini è secca: «Noi possiamo fare molto. Una presenza viva ribalta». Nel Medioevo un uomo, san Francesco, e prima i monaci benedettini hanno fatto la storia costruendo dove tutto sembrava distrutto. «Pensate a Madre Teresa, una donnina alta un metro e sessanta, che con il suo modo di agire ha piegato i potenti. O papa Francesco che dialoga con gli ortodossi e i protestanti. Si può vivere con questa domanda di cambiamento dentro la vita quotidiana. Chi pensa che sia un’utopia alzi la mano». Nessun braccio si solleva. «La vera utopia è credere che la politica cambi la società. Tutto inizia da te».

Guglielmo incalza: «Cosa significa, come è scritto nel volantino di CL, che “recuperare interamente il senso del vivere insieme” genera un cambiamento?». Vittadini si guarda intorno: «L’avete sotto gli occhi. Questo posto, Portofranco. Un altro esempio. Monsignor Pizzaballa, che è stato custode in Terrasanta, insegnava a Gerusalemme. Un giorno un ragazzo ebreo gli ha chiesto: “Ma a cosa serve la resurrezione?”. E lui ha dovuto dare le ragioni di quello che viveva. Sono domande di questo tipo che ci costringono». E chi può farle? «Chi è diverso da te per cultura, religione, idee. Gli altri diventano una risorsa per la propria vita che si apre al mondo. Provare per credere. Anzi, vi lascio un compito. Meglio. Istituiamo un premio, il premio Portofranco. Cercate esperienze di bene comune, di convivenza. Dentro un dibattito televisivo, nel vostro quartiere, a scuola. Per ognuna un punto! Ci rivediamo per raccontarcele dopo il referendum». Per scoprire chi ha vinto. E per “vedere” da dove si può ricominciare.