Monsignor Garmou.

GARMOU «Così testimoniamo la fede a Teheran»

Il Papa ha appena ricevuto i vescovi dell’Iran. Quattro pastori alla guida di una comunità piccola ma con radici profonde. E una missione da portare avanti. Tracce.it ha incontrato l’arcivescovo di Teheran
Luisa Marini

Sono rientrati da poche ore a Teheran i vescovi iraniani che nei giorni scorsi erano a Roma per la visita ad limina apostolorum. Benedetto XVI li ha incoraggiati a continuare nella loro missione, «sviluppando con le autorità pubbliche armoniose relazioni» per continuare a «edificare il Paese» e la stessa comunità cristiana, piccolo gregge di centomila fedeli su una popolazione di 70 milioni. Monsignor Ramzi Garmou, arcivescovo caldeo di Teheran, racconta a Tracce.it la storia di una Chiesa tanto antica - le sue origini vengono fatte risalire a san Tommaso apostolo - quanto piccola, e oggi provata da una forte emigrazione.
Quali sono in questo momento i rapporti con le autorità iraniane? «La Costituzione del nostro Paese riconosce ufficialmente tutte le minoranze religiose». Per questo «alla Chiesa cattolica è consentito celebrare all'interno delle chiese, e anche dare una educazione cristiana (catechismo e insegnamento biblico) ai bambini e ai giovani». Il tutto, all'interno degli edifici religiosi. «Ci sono anche scuole che appartengono alla Chiesa. Qui i bambini possono anche imparare la lingua materna assiro-caldea-aramaica». In quanto minoranza, la comunità cristiana «dipende da un dipartimento del Ministero dell'orientamento islamico che si occupa di tutto quanto riguarda la nostra attività, il nostro soggiorno e i nostri permessi di lavoro». Per ogni tipo problema, la comunità locale deve rivolgersi a questo Ministero. «Abbiamo anche un certo dialogo con le autorità religiose islamiche, grazie al quale ci conosciamo e rispettiamo di più». Proprio nell'udienza concessa ai vescovi iraniani, Benedetto XVI ha annunciato che è allo studio una Commissione bilaterale tra le autorità iraniane e la Chiesa «per sviluppare le relazioni e la conoscenza reciproca». Il Papa ha ribadito anche la necessità di poter vivere liberamente la propria fede. Com'è in questo senso la situazione in Iran? «In Iran la religione di Stato è islamica sciita e le minoranze non possono fare proselitismo. Noi proviamo a vivere insieme con i cristiani e a testimoniare il valore del Vangelo in una società a maggioranza non cristiana». Benedetto XVI ha paragonato questa piccola comunità al lievito che fa sì che la pasta diventi pane, o al granello di senape destinato a crescere: «L'importanza di una Chiesa non sta nella sua grandezza visibile, nelle strutture, nelle scuole o negli ospedali, ma nell'efficacia della sua testimonianza e della sua credibilità - osserva monsignor Garmou -. Una chiesa che testimonia è di per sé minoritaria, non esiste una chiesa maggioritaria che testimoni veramente la sua fede. In Europa, la chiesa che testimonia è forse maggioritaria? Pensi alla cultura vincente in questo momento: ha calpestato tutti i valori evangelici... Dov'è il senso della famiglia cristiana? Che dire dell'omosessualità, dell'aborto, della ricerca del piacere immediato? Dire che l'Europa è cristiana è un controsenso». Il Papa ha raccomandato ai presuli iraniani di sostenere i fedeli a mantenere i contatti con chi emigra. Quali sono le cause e i rischi di questo fenomeno? «In una comunità piccola, se qualcuno emigra influenza gli altri. I motivi sono di ordine economico e familiare: molti hanno la famiglia in Canada, o negli Stati Uniti, dunque emigrano per riunirsi ai parenti. Altri sono preoccupati per l'avvenire, hanno paura che l’America faccia con l'Iran lo stesso che ha fatto all'Iraq. Preferiscono che i figli crescano in un altro Paese e possano accedere all'università, con condizioni di vita sociale migliori. Se il fenomeno dovesse continuare con questi ritmi, Dio solo sa quale sarà il futuro per la Chiesa in Iran», osserva monsignor Garmou. «Possiamo pregare perché la Chiesa possa rimanere in questa terra che ha conosciuto il cristianesimo fin dall'inizio. Gesù è venuto a salvare tutte le nazioni e gli uomini senza distinzione, compreso l'Iran. Noi siamo a servizio di questa missione. Spero che potremo essere fedeli a questa responsabilità che abbiamo. Pregate per noi perché continuiamo questo lavoro».