Il giudice della Corte Suprema Samuel A. Alito.

WASHINGTON Il Meeting? «Unità di cultura, verità ed esperienza». Parola del giudice Alito

La kermesse riminese è arrivata anche negli States. A presentarla, il 3 giugno, c'erano anche il giudice della Corte Suprema Samuel Alito, e Mary Ann Glendon, ex ambasciatrice Usa in Vaticano...
Marco Bardazzi

Il giudice Samuel A. Alito è un membro del club più esclusivo del mondo. Insieme agli otto colleghi della Corte Suprema di Washington, tutti eletti a vita, è uno dei custodi della Costituzione degli Stati Uniti e degli altri testi su cui si basa l’idea stessa di America. Un personaggio che con i documenti importanti ha una certa confidenza. Fa per questo una certa impressione vedere la cura e, quasi, l’affetto con cui il giudice ha conservato negli ultimi due anni un programma del Meeting di Rimini del 2007, uno di quei libriccini che nei saloni della Fiera vengono distribuiti a tonnellate. Alito lo ha portato con sé all’Ambasciata d’Italia nella capitale Usa, e ne ha fatto il segno tangibile, il filo conduttore di un intervento con il quale ha provato a raccontare a un selezionato pubblico di un centinaio di americani che cos’è il Meeting al quale ha partecipato come ospite due estati fa.
Impresa non facile, nella quale si sono cimentati insieme al giudice anche Mary Ann Glendon, professoressa di legge di Harvard ed ex ambasciatrice americana presso la Santa Sede, il giurista Joseph Weiler della New York University, l’esperta d’arte Jane Milosch della Smithsonian Institution, e Martha-Ann Alito, moglie del giudice e fan dell’evento riminese. Washington è stata una nuova tappa della serie di presentazioni internazionali che il Meeting ha lanciato quest’anno in occasione del 30° anniversario, e che hanno visto raccontare i tre decenni di storia e di amicizia anche nella sede dell’Unesco a Parigi e in vari ambiti in Brasile.
Alito ha raccontato di essere arrivato a Rimini preparato, svelando di aver letto prima della partenza sia Il senso religioso di don Giussani, sia God at the Ritz (Attrazione per l’infinito) di monsignor Lorenzo Albacete. «Ma quello che ho trovato ha superato di molto le mie aspettative», ha spiegato. I temi, i titoli degli incontri e l’elenco dei personaggi coinvolti, «mi hanno colpito molto e mi hanno permesso di capire subito quale importanza un evento del genere abbia per la vita culturale dell’Europa». Ma subito dopo, e in particolar modo, a restare impressi nella memoria sono stati i volontari, gli accompagnatori, le guide delle mostre. «Il Meeting incarna in modo visibile quello che avevo letto nei libri prima di andarci - ha raccontato Alito - ed è un luogo soprattutto che mostra un grande senso di unità che siamo in grande pericolo di perdere. Unità di cultura, di verità, di esperienza umana».
L’America sa ancora poco del Meeting, ma ha molto da guadagnare, secondo la professoressa Glendon, dall’esperienza di un luogo popolato «da gente che non ha paura di farsi domande», in un appuntamento che è diventato «un luogo privilegiato per riflettere». O, come ha sintetizzato Jane Milosch, «un posto dove ti scopri a farti interrogativi come: "Chi sono io? Sono viva o no"».
Con l’entusiasmo della studiosa affascinata da una scoperta, l’ex ambasciatrice Glendon ha tra l’altro raccontato al pubblico americano come a Rimini siano riemersi i Cori da La Rocca di T.S.Eliot e quale dirompente attualità presentino per la società odierna.
Il Meeting riesce a essere una proposta viva e una novità continua anche perché «non ha il problema di preservare qualcosa o di creare una "nuova cultura" cattolica”, ha sottolineato il professor Paolo Carozza, docente di legge della Notre Dame University e presidente uscente della commissione per i diritti umani presso l’Organizzazione degli Stati Americani (Osa). Carozza ha guidato il percorso delle testimonianze nel corso della serata all’Ambasciata, organizzata in collaborazione con Crossroads Cultural Center e accompagnata dai saluti di benvenuto dell’ambasciatore Giovanni Castellaneta e del ministro Sebastiano Cardi. Ciò che alimenta il Meeting, ha affermato il giurista italoamericano di Notre Dame, non è niente di astratto, ma «la passione per qualcosa che hai di fronte agli occhi, un senso di cultura che sgorga dal gusto per la vita”.
Weiler ha indicato alla platea quello che, dopo varie partecipazioni al Meeting, ritiene di aver individuato come vero Dna di “un evento che non ha paragoni al mondo». A sorreggere tutto «sono lo spirito di don Giussani e la realtà di Cl che da lui è nata: io ho letto don Giussani e ho letto molto su Cl, ma a Rimini uno vive e davvero fa esperienza di Giussani e del movimento». Da ebreo, Weiler ha spiegato l’importanza, anche per l’America, di una proposta cristiana come questa, «che si basa sulla presenza».
Come sempre quando si tratta di Meeting, anche a Washington non è stato semplice dire in due parole cosa sia, né trovare un termine di paragone che possa fornirne un’immagine a chi non lo ha mai vissuto. Marco Aluigi, congress manager del Meeting, ne ha raccontato la storia, i numeri, i protagonisti, con l’aiuto anche di un video dedicato ai 30 anni. E il giudice Alito ha offerto senza dubbio il tentativo di paragone più originale, andando a esumare l’esperienza del movimento Chautauqua, dal nome indiano di un lago nello Stato di New York: una realtà di grande popolarità nell’America a cavallo tra XIX e XX secolo, un mix di cultura, educazione e intrattenimento che portò un’ondata di iniziative in tutti gli Usa e venne lodato dal presidente Theodore Roosevelt come «la cosa piu’ americana che ci sia in America».
Ma alla fine ciò che probabilmente descrive il Meeting meglio di qualsiasi altro esempio, è «la sensazione di felicità, di vera e propria gioia ogni volta che ci ripenso», confessata da Martha-Ann Alito. «La mia esperienza è stata quella di una continua celebrazione di Dio - ha detto la moglie del giudice alla platea - e il mio augurio è che possiate andarci per sperimentare, come me, la possibilità di spalancare il cuore».