Chris Thile & Brad Meldhau

In viaggio, di meraviglia in meraviglia

Pianoforte e mandolino. Tra jazz, bluegrass e non solo. Questi gli ingredienti del capolavoro di due tra i più grandi artisti del genere. Un reportage alla scoperta di Chris Thile & Brad Meldhau
Walter Muto

Prima di cominciare questo che, più che una segnalazione, è un reportage, è necessaria una breve premessa. Siamo davanti ad un assoluto capolavoro, in un’epoca in cui si è molto offuscata la capacità di poterlo riconoscere. Stiamo per parlare di musica suonata ai livelli più alti che si possano raggiungere, ma per riuscire a farsi ferire da questa bellezza occorre provare a scalfire una crosta fatta di luoghi comuni, di finta impossibilità a capire, di disabitudine a fare un po’ di fatica per raccogliere perle nascoste.

Perché un reportage? Perché ascoltare questo lavoro di due dei più grandi musicisti del presente è immergersi in un viaggio incredibile, che attira ed al tempo stesso ha bisogno di tutta la nostra attenzione per non mollare la spugna prima ancora di avere messo in moto la macchina. Ma se si parte, l’esperienza è simile ad essere su una strada e ad ogni curva assistere ad un cambio di scenario, di meraviglia in meraviglia.

Brad Meldhau è uno dei pianisti più influenti, nell’ambito del jazz – ma non solo – degli ultimi vent’anni. Chris Thile è il più strepitoso dei virtuosi su uno degli strumenti più strani che esistano, il mandolino, eroe assoluto nell’ambito del bluegrass - ma non solo - oltre ad altri variegati progetti. Ma non solo è la chiave per cominciare a comprendere la grandezza di questi due artisti. Come recitano le note di copertina di questo loro doppio album, intitolato solo con i loro nomi, questi sono due artisti che non hanno progetti principali e - come si dice - side projects, progetti minori, ma da fuoriclasse quali sono, affrontano con proprietà tecnica e di linguaggio ogni brano che approcciano, ogni differente progetto in cui si lanciano. Meldhau suona in una serie di situazioni diversissime perlopiù legate al mondo del jazz, Thile passa senza paura dai suoi ensemble bluegrass (trio e quintetto) a collaborazioni con il violoncellista Yo-Yo Ma, fino ad esecuzioni integrali delle Sonate di Bach per violino (tutto reperibile su YouTube).

Due mondi e due strumenti apparentemente lontani, apparentemente inconciliabili, si fondono invece in una alchimia senza precedenti, dando vita ad una serie di pezzi non solo che provengono da diverse tradizioni, ma che all’interno di ogni brano prendono svolte imprevedibili di linguaggio, stile, fraseggio, dinamica, interplay, assicurando all’ascoltatore una esperienza realmente unica. Ecco perché solo i due nomi come titolo: qualunque nota esca da questi due artisti suona assolutamente personale, originale, testimoniando la grande maestria ed al tempo stesso l’umiltà di ascoltarsi reciprocamente e di incontrarsi in una sintesi straordinaria. Come se il viaggio continuo approdasse qua e là a territori non ancora esplorati.

Non vale la pena di descrivere dettagliatamente i brani, semplicemente perché è impossibile farlo. Forse sarebbe addirittura stupido. Possiamo dare qualche indicazione, ma il viaggio deve essere fatto da ciascuno di quelli che accettano la sfida. Ah, dimenticavamo di dire che l’album non è interamente strumentale, Chris Thile ha anche una voce timbrata e perentoria e scrive canzoni, oltre a reinterpretare alcuni classici, mentre Brad Meldhau si presta a qualche controcanto. Facciamo così, proviamo ad averne una idea vedendoli in azione e poi diamo un’occhiata ai brani dell’album. La canzone è Scarlet Town, suonata al Bowery Ballroom di New York nel dicembre 2015.





Una semplice canzone country diventa territorio di caccia per andare a scovare punti in comune, brani di linguaggio tratti da molteplici ambiti, rendendo il brano misterioso e pieno di fascino. Scarlet Town, canzone pubblicata da Gillian Welch nel 2011 e scritta da lei insieme a David Rowlings. Andarvi a cercare l’originale può farvi rendere conto di come Thile e Meldhau assorbano rispettosamente il mondo di partenza, creandone però uno nuovo, rendendo la canzone qualcosa che, in questo modo, possono suonare e cantare solamente loro.

Questo concetto è applicabile senza rischio di smentita a tutti i brani del doppio album. Quando si tratta di composizioni originali, non avendo modelli di riferimento, i due giocano intersecando i linguaggi: jazz, bluegrass, funky, spinte ritmiche ed improvvise fermate, parossismi dinamici e sorprendenti pianissimo. Da questo punto di vista il brano di apertura, The Old Shade Tree è un esempio formidabile, presentando oltre alla musicalità e alla capacità improvvisativa di entrambi, una performance vocale di Thile degna di una rockstar (quelle vere). Quando si tratta di brani altrui, la creatività si sbizzarrisce oltremodo, sempre in qualche modo - lo ripeto - rispettosa degli originali, ma con una spinta assolutamente geniale e nuova. Si passa quindi da un classico del jazz come I Cover the Waterfront - in cui Thile dopo un Verse introduttivo in cui si accompagna con il mandolino, lascia lo strumento e canta facendosi cullare dal pianoforte - e poi Independence Day di Elliott Smith, Marcie, dolcissima canzone di Joni Mitchell dal suo album di esordio del 1968 e una esplosiva versione di Don’t Think Twice, It’s All Right del premio Nobel Bob Dylan, che nelle loro mani diventa una sorta di scatenato ragtime progressivo.

Menzione finale speciale per il brano che chiude il lavoro, Tabhair dom do Làmh, dolcissimo valzer irlandese del diciassettesimo secolo di Ruaidri Dàll O Cathàin, il cui titolo tradotto suona “Dammi la tua mano”. Ecco: se avete un po’ paura della complessità dei linguaggi e tutte queste scuse che impediscono di ascoltare la bella musica, partite da qui, dall’ultimo brano nel quale loro concludono dandosi la mano, anzi le mani. Mondi lontanissimi si toccano all’ultima svolta, lasciando il cuore pieno ed al tempo stesso nostalgico di tanta bellezza. Vale la pena tentare questo viaggio, magari un pezzetto di strada per volta, ma senza abbandonare alla prima curva.


Chris Thile & Brad Meldhau
Nonesuch Records - 2017