Claudio Pastro

Claudio Pastro. L'arte al servizio della bellezza

È scomparso il 19 ottobre l'artista Claudio Pastro, a cui fu affidato l'interno della Basilica di Nostra Signora di Aparecida. E che disegnò il "San Benedetto" simbolo della Fraternità di CL. Ripubblichiamo una sua intervista rilasciata a "Passos"
Isabella Alberto

Nel 1997, l’allora arcivescovo di Aparecida do Norte (San Paolo), mons. Aloisio Lorscheider, aveva invitato lo scultore Claudio Pastro, con altri venti architetti, perché realizzassero un progetto artistico per il Santuario Nazionale di Nostra Signora di Aparecida. Dal 2000 Pastro è stato scelto come responsabile per il completamento di tutta la parte iconografica all’interno della Basilica. Grazie al suo lavoro, il Santuario sta diventando uno dei più bei luoghi di pellegrinaggio del paese. Per la visita del Papa i lavori sono stati accelerati e furono inaugurate nuove opere di Claudio. Pochi giorni prima della visita di Benedetto XVI, l’artista ci ha ricevuto a casa sua per un’intervista.

Quando ha incominciato a lavorare nella Basilica, l’impianto iconografico era già stato deciso oppure è stato lei a idearlo? E in questo caso, qual è l’idea generale che ha seguito?
In primo luogo dobbiamo considerare che la Basilica è in stile neoromanico, come era stata pensata all’inizio del XX secolo, quando fu concepita, tra il 1930 e il 1940, anche se la costruzione è iniziata soltanto nel 1955. Il progetto architettonico era di Benedito Calixto de Jesus Neto, ma per l’interno non vi era alcuna idea, e il piano iconografico della Basilica, conformemente a quello che i padri mi hanno permesso di realizzare fino a oggi, è stato interamente mio. Di che cosa si tratta? Della creazione del grande giardino del Cantico dei Cantici, che è un’immagine del paradiso perduto e ora ritrovato o riaperto in Gesù Cristo, per mezzo di Gesù Cristo. La mia idea è proprio quella di un grande giardino, un giardino dove ci si riposa, ci si ristora, si passeggia. E lo stile neoromanico, a mio avviso, è uno stile architettonicamente adatto alla liturgia cattolica. In realtà l’architettura è l’immagine della Gerusalemme celeste. Ed è lo stile che permette al Signore di manifestarsi, per esempio attraverso una certa austerità, una certa pulizia degli spazi e la moltiplicazione di archi, di arcate, gli elementi geometrici del tondo e del quadrato che rimandano all’incontro del divino con l’umano. E psicologicamente parla a tutti gli esseri universalmente, non è limitato a una certa epoca: nel cristianesimo viene universalizzato perché possiede elementi che sono specifici dell’essere umano.

Potrebbe descrivere brevemente l’entità del lavoro che le fu affidato?
Mi è stata affidata l’intera Basilica, dal pavimento al soffitto. Stiamo collocando 34 grandi pannelli con tutto il Vangelo. Stiamo realizzando quattro grandi pannelli, a cominciare dalla pala d’altare della Madonna che si trova nella navata sud; anche in quelle nord, est e ovest vi saranno altri grandi pannelli. Poi, nella cupola centrale, che si trova proprio sopra il presbiterio o Santuario, vi è l’altare, che è il centro della vita cristiana, decorato con l’albero della vita. E l’albero della vita, che poi continua nella parte inferiore, rappresenta la flora e la fauna brasiliane. Anche il pavimento è stato un grande lavoro, e ora per gli elementi decorativi, tanto sulle pareti quanto sul pavimento, mi sono concentrato sulla nostra tradizione, sia indigena, sia degli schiavi neri, sia sul tipico modo di essere brasiliano, senza mai perdere di vista il carattere universale dello spazio sacro. Perché, in primo luogo e primariamente, questo spazio è uno spazio sacro. Intendo dire che questo spazio non appartiene soltanto a un momento culturale, la fine del secolo XX e l’inizio del XXI, non è un lavoro solo mio, di Claudio Pastro: è un lavoro che va al di là di tutto questo, è uno spazio sacro. Stiamo lavorando, nel mio caso già dal 2000, e abbiamo ancora altri dieci anni di lavoro. Ho fatto l’intero progetto, manca solo il disegno del resto del Vangelo, perché per l’arrivo del Papa, dei 34 pannelli del Vangelo ne abbiamo preparati 10. Gli altri 24 li devo ancora disegnare.




















Opera da solo o esiste un gruppo di lavoro?
Nelle fasi progettuale e artistica sono solo, ma poi mi aiuta un grande gruppo di persone, soprattutto per i pannelli di ceramica. E altri architetti e ingegneri, perché la Basilica è enorme e ho bisogno di utilizzare queste altre persone. Quindi solo nel mio gruppo siamo in cinquanta. Ma nella Basilica lavorano circa 1100 persone, dall’inserviente al grado più alto.

Che tecnica ha deciso di utilizzare, e perché?
Dopo lunghe riflessioni, molte discussioni e diversi studi, abbiamo scelto l’azulejo (piastrella in ceramica smaltata usata come rivestimento). In Brasile, paese tropicale, i dipinti si rovinano molto facilmente perché c’è troppa umidità. Invece l’azulejo ha una durata eccellente, perché è una terra cotta più volte e decorata con colori vetrosi (cristalline). Dura millenni. In secondo luogo, abbiamo scelto l’azulejo per la nostra tradizione iberica, perché nell’America Latina spagnola e portoghese abbiamo ereditato questa tradizione. E dal Nord al Sud del Paese, le nostre chiese dei secoli passati, quando il Brasile era una colonia, sono quasi tutte decorate con azulejos. Nella vecchia chiesa di Aparecida, quando abbiamo asportato il rivestimento ligneo delle pareti laterali, che era marcito, abbiamo scoperto le piastrelle portoghesi del XIX secolo. Quindi abbiamo scelto gli azulejos per la loro lunga durata, per la tradizione iberica, ma anche perché, grazie alla porta di Babilonia (o di Ishtar. Ndt), conservata nel Museo Pergamo di Berlino, che risale a circa 500 anni prima di Cristo, ho scoperto che l’origine degli azulejos è a Babilonia, è in Mesopotamia e, per coincidenza o per meglio dire, provvidenzialmente, quella è la fonte, l’origine del giudeo-cristianesimo, la terra di Abramo. Stiamo installando rivestimenti di piastrelle e la nostra fede ha la loro stessa radice. Poi, per le parti residue di tutte le pareti della Basilica, dato che è enorme, si è molto discusso se dovevano essere rifinite in gesso, marmo, ecc. E ho sempre scelto il mattone: è una terracotta e viene utilizzato nei palazzi e negli edifici basilicali. Se si va a Roma si vedono i mattoni, è un altro tipo, un po’ più piccolo, ma ci sono. Quindi per noi mi sono preoccupato del problema termico e acustico, perché quando durante il fine settimana o la domenica entrano nella Basilica 60.000 persone, il caldo è terribile. Il mattone è termico, ed è anche acustico, smorza il suono, aiuta il suono, non produce riverbero. Ma c’è anche un’altra questione: quella simbolica. La Vergine è fatta di argilla, terracotta, è di un colore rossastro, terra roxa, come si dice in Brasile e anche noi, esseri umani, siamo di argilla. Così ho pensato che in questo senso si creasse un legame totale. Infine, è stato deciso che avremmo fatto di mattoni tutto il rivestimento interno. Inoltre il mattone, dopo molti decenni, sta diventando il marchio della Basilica di Aparecida.

In tutti i suoi dipinti c’è molto simbolismo e vi si percepisce anche il carattere pedagogico del suo lavoro. Potrebbe dirci ancora qualcosa sui simboli che utilizza?
Quello simbolico è il grande, geniale linguaggio usato dai cristiani, soprattutto durante il primo millennio. Tutte le grandi religioni vivono attraverso un linguaggio artistico simbolico. Perché simbolico? Perché si corre il rischio di creare un idolo. L’arte è soltanto un mezzo, non è la bellezza, ma serve la bellezza, la grande Bellezza. Quindi l’arte è un mezzo di comunicazione, è, come dicono gli orientali, una finestra sul mistero. Così il linguaggio simbolico è estremamente importante e la simbologia che intendo utilizzare nella Basilica è quella giudaico-cristiana, della storia della Scrittura e della Chiesa. Così, per esempio, il pesce è essenziale, non solo nel giudaismo, nel cristianesimo e ora, provvidenzialmente, anche nella Basilica perché la Vergine appare dentro una rete da pesca, circondata da molti pesci. Quindi esiste un legame provvidenziale, misterioso, in tutto questo. Poi vi sono altri simboli: l’albero, l’albero della vita, la montagna, gli stessi angeli, il pavone e gli uccelli in generale, ecc. E poi c’è il linguaggio simbolico che appartiene al linguaggio universale dell’essere umano: le forme geometriche. Sono molto importanti perché parlano all’interiorità delle persone, senza che se ne sappia il perché. E ci possono rilassare ma anche stressare. Per esempio, se ho una forma piena di spigoli, di punte, è una forma con molte divisioni. E la divisione è una cosa che mi limita. Il quadrato, per esempio, ha punte. Il quadrato è simbolo dell’essere umano: siamo limitati, siamo quadrati, nel senso che si va soltanto avanti, indietro, a destra e a sinistra. Il cerchio, e ogni sua forma derivata, è invece una forma che non ha fine, senza spigoli, senza interruzioni. Dunque, le forme più arrotondate sono riposanti. Lo si ritrova anche nella simbologia brasiliana, per esempio nella forma in cui rappresentata l’acqua. Nell’altare circolare, la pietra che è Cristo colpisce l’acqua, che si espande verso i quattro angoli dell’Universo. E poi dobbiamo ricorrere alle forme della nostra cultura indigena e anche della tradizione nera, elementi che ho collocato nella Basilica. Si capisce che la simbologia deve tenere conto di tutto quanto, e devo parlare non per me, ma per gli esseri umani, non solo di questa, ma di tutte le generazioni. In modo che la bellezza, quando è bella davvero, si alimenti dell’essenziale, sia senza tempo. Oggi comprendiamo perfettamente un’icona bizantina, comprendiamo perfettamente l’arte romanica, comprendiamo, anzi ne godiamo, più che comprenderle, e apprezziamo le forme indigene, una musica del passato, e non viviamo né in quel popolo né con quelle musiche. Ma tutti noi siamo lo stesso essere umano che parla la stessa lingua, che beve alla stessa fonte, che discende dalla grande Bellezza.





















Qual è la cosa che più desidera comunicare, lavorando in un luogo così importante per la fede del popolo?
Quello che più desidero comunicare sono, mi pare, due cose che si fondono in una sola. Innanzitutto, che il centro della nostra vita cristiana è Cristo. Non abbiamo altro centro, ed è in Lui che troviamo una vita nuova. Oggi l’uomo del XX e XXI secolo non ha un centro. La società dispone di migliaia di centri, ma non orbita intorno a un centro solo. I cristiani, per esempio, orbitano, quindi hanno un centro, senza il quale si perderebbe la propria ragion d’essere, che è Gesù Cristo. Così, quando fa qualcosa, l’uomo cristiano di qualsiasi professione non pensa di diventare l’idolo, il Titano, il grand’uomo, ma sa di essere un elemento che orbita insieme a molti altri, che costituiscono un corpo unico. Ecco la genialità del mistero della comunione. Senza questo centro la comunione si dissolve. Dobbiamo sempre domandarci se il centro sono io, o se il centro è Gesù Cristo. Se è Gesù Cristo la cosa ha una vita, un cammino, se invece sono io è limitata. Il mistero della redenzione fa sì che le persone possano giudicare la società con occhi nuovi, partendo sempre dallo sguardo di Cristo. Perciò questo centrarsi nel mistero di Cristo, al punto che sotto questa grande cupola dove si trova l’albero della vita è appesa una grande croce con Cristo. Si tratta di una croce stilizzata, che è stata posta sull’altare. È una croce fatta di acciaio, e anche la figura di Cristo è stilizzata. La mia idea è questa: là dove non ho niente, ho tutto. Perché dove non ho messo l’immagine di Cristo, ho messo una silhouette stilizzata, perché Cristo vivo e invisibile è presente in mezzo a noi. Poi, una seconda cosa: tutto intorno alla Basilica, oltre ai pannelli in maiolica con il Vangelo, vi è un piccolo dettaglio: il fiore di giglio. Appena abbiamo cominciato a collocarlo, a pochi metri si trovava una colonna con i frutti del melograno, un’altra con l’uva e un’altra ancora con le mele. E così abbiamo il fiore di amaryllis, che nel Cantico dei Cantici è un’immagine che l’amato attribuisce all’amata, una donna vestita di gigli bianchi. E l’amaryllis è un tipo di giglio, e i frutti sono gli attributi dell’amato, secondo l’amata. I frutti sono simbolici: l’uva corrisponde al mistero, la mela corrisponde all’amore, e il melograno rappresenta la vita. Così l’idea è che qui la comunità cristiana viene per pregare, è il corpus misticum, il corpo mistico di Cristo. Questo luogo è il luogo dello sposalizio, delle nozze di Cristo con la sua amata Chiesa. Il mio più grande desiderio è che il popolo brasiliano ami la Chiesa in quanto sposa di Cristo, perché ho l’impressione che il devozionalismo sia molto diffuso e porti a una vita di feticismo più che a un vero cristianesimo. Intendo soprattutto all’interno della Chiesa.

Si sente al servizio della comunità che si reca in pellegrinaggio ad Aparecida? Che cosa significa questo per il suo lavoro?
Ciò che più mi ha colpito in tutto l’arco del mio lavoro, non solo ora, è che faccio parte della comunità cristiana, sono un credente. Se non fossi un credente non avrei accettato questo lavoro. Come credente e come artista che ha un dono, devo accettare questo dono in pienezza. E uno degli elementi di questo dono è anche quello di essere più vicini, per natura, per il dono stesso, al sacro, all’Altro, all’invisibile. Io non sono molto legato al mondo visibile, al mondo della vita di tutti i giorni, al profano in natura. In secondo luogo, sento di essere un uomo post-Vaticano II, e il popolo brasiliano, il pellegrino brasiliano deve comprendere la Parola, è la Parola che genera la carne, la Parola è la biblia pauperum. Io non sono molto favorevole ai devozionismi. Il devozionismo arriva a uccidere la stessa fede, perché è unilaterale e non esprime la comunione ecclesiale. La Parola è ciò che ci nutre, ci purifica, e permettendoci di usare tutti la stessa Parola fa di noi una vera comunione. Anche da qui traspare la mia preoccupazione pedagogica. Lo spazio educa, ed è per questo che nello spazio non si può fare qualsiasi cosa. Nello spazio dobbiamo esprimere il linguaggio del Mistero che vi accade. Così, per esempio, la mia opera pittorica o di progettazione artistica è una continuazione di ciò che fanno anche la musica, i fiori, ecc., nella liturgia. Sono un complemento alla liturgia, sono un elemento della liturgia, e sappiamo che nella liturgia chi celebra non è il sacerdote. Il sacerdote esercita il suo ministero sacerdotale, che è un sacerdozio di servizio, ma ha bisogno di noi, il popolo di Dio, che dal momento del Battesimo rappresentiamo il vero ministero. Quindi tutti celebriamo, e io ne faccio parte. Vi sono nato, lì vivo, la mia culla è la Chiesa. E la Chiesa ha avuto grandi uomini, dai Padri, come sant’Agostino, sant’Atanasio, san Gregorio Nazianzeno, san Leone Magno, sant’Ambrogio e altri in seguito, le donne sante, e anche, nel secolo scorso, Edith Stein e Teresa. Nel mio caso particolare, don Giussani e padre Francesco Ricci. Erano uomini che sempre mi hanno incoraggiato nel campo dell’arte, infatti oggi penso di essere un artista in primo luogo per il mio dono e in secondo perché sono stato incoraggiato da questi uomini e dalla stessa tradizione della Chiesa. La Chiesa è una bellezza perché ha la certezza che Cristo ci abbia già salvati. La bellezza non consiste nella funzione estetica, ma in quello che fonda la bellezza. Il Signore della bellezza, è lui che sta alla base di tutto ciò che siamo e che facciamo. Se un artista non è un credente, sarà un grande artista, ma non infonderà la potenza dello Spirito nell’arte, e questo è molto importante. Tra l’altro, è il grande dramma dell’artista che lavora con l’Arte Sacra. È lo Spirito che deve passare nella forma, nella materia, nel colore, nel suono: questo è sempre il mio grande dramma. Una forma, una modalità, che è il modo cristiano di essere, passa attraverso l’ascesi, la preghiera continua. Credo che un buon artista sacro cristiano debba essere un uomo discreto, che vive in condizioni di estrema semplicità ed essenzialità della vita.






























Di recente l’Università Cattolica di Milano ha realizzato uno studio in cui si è dimostrato che la costruzione del Duomo di Milano, fu finanziata per l’84% dal popolo e solo per il 16% dai principi e dai ricchi mercanti. Come sta funzionando ad Aparecida?
Ad Aparecida succede la stessa cosa. La Sagrada Familia di Gaudí a Barcellona, in Spagna, è fatta con i soldi che i turisti pagano all’ingresso. La Basilica di Aparecida è in costruzione grazie ai piccoli contributi del popolo brasiliano. Ho appena dipinto un quadro di 20 metri di lunghezza per 2 di altezza nella sala della torre dell’ascensore, che chiamo la Vergine Madre dei Pellegrini. Ci sono tutti i tipi di pellegrini: meticci, zoppi, ciechi, ragazzi in bicicletta, uomini a cavallo, tutti si rivolgono alla Vergine. E gli ultimi due, all’estremità, sono Papa Giovanni Paolo II e Papa Benedetto XVI, anch’essi si rivolgono alla Vergine dirigendosi verso la Basilica. È interessante notare che, mentre stavo dipingendo il pannello, e ci sono voluti quasi tre mesi, un giorno stavo parlando con la suora che si occupa del servizio di informazioni e le portano un po’ di tutto; improvvisamente arriva una vecchietta di campagna, le consegna una busta e dice: “Sorella, ecco il denaro che abbiamo ricavato dalla vendita delle mie galline e delle uova che hanno deposto per due anni: è per la Madre Aparecida”. Così ho subito inserito nel pannello anche lei, mentre porta un paniere con le galline. Ad Aparecida vedo persone che hanno i soldi per offrire uno, due o tre mattoni, ma ho visto anche un signore che ne donava due camion interi. Bello! Inoltre, la Basilica ha molti confessionali, è assai frequentata per le confessioni, e ogni giorno vi sono a disposizione trenta sacerdoti. Una volta padre Darci mi ha detto che il più grande miracolo non si vede: è la conversione dei cuori.

Oltre ad Aparecida, oggi si sta occupando di altri lavori?
Sto lavorando anche a Helfta. Stiamo costruendo una bella cappella moderna che contiene le spoglie di santa Gertrude, proprio dove Cristo le apparve misticamente. E lei è la prima donna a parlare nel cuore di Gesù, a differenza di santa Maria Margherita Alacoque quando, dopo alcuni secoli, si sviluppò la devozione al Cuore di Gesù in modo sbagliato, perché la devozione al Cuore di Gesù era semplicemente una riparazione: io mi sacrifico, pregherò per riscattare il peccato del mondo, per esempio. E questo è un errore fondamentale, teologicamente parlando, perché Gesù Cristo è già morto per questo, e mai potrò sostituire Gesù Cristo. Santa Gertrude non ha mai fatto niente di tutto questo. Soltanto sette o otto anni fa i tedeschi sono riusciti a ricomprare questo terreno, perché nel recente passato Helfta si trovava nella Germania Orientale, che era comunista, e hanno realizzato un bel monastero di monache cistercensi, perché anche santa Gertrude era benedettina cistercense. Oggi numerosi pellegrini si recano in autobus a Helfta per aiutare nel monastero, o solo per celebrare Lodi, Vespri e Uffici con le monache, e contribuire economicamente: rimangono tre, quattro o cinque giorni con le suore e vogliono far diventare Helfta, e questa devozione al cuore di Gesù, il centro della Germania. Perché la Germania ha molti centri di pellegrinaggio, ma vuole far sì che questo divenga il centro principale, e nella bella e grande cappella, molto moderna, molto attuale, molto contemporanea, si trova una grande vetrata multicolore dove la silhouette di Cristo si fonde con quella di Gertrude, e il cuore di entrambi è lo stesso cuore, perché, diceva la santa, “il mio cuore deve essere lo stesso di Lui”. Finché non trasformiamo il cuore delle persone nel cuore di Lui, Egli non si rinnova nell’uomo nuovo. E questo è il bello: non esiste una genialità che sia soltanto mia. Il momento in cui faccio un lavoro come quello di santa Gertrude, è proprio il momento in cui Dio mi fa bere da queste fonti. Quindi, in realtà mi converto all’uno per cento e per l’altro novantanove è Dio che mi converte.

Da Passos n. 83, giugno 2007