L'imam Gharib e un gruppo di CL di Genova.

Quella "baldanza" e il Natale in moschea

A fine novembre, la mostra su don Giussani nel capoluogo ligure. Qui, Siro e alcuni amici di CL conoscono un gruppo di musulmani. La visita ai pannelli e, poi, l'invito dell'imam, la cena, i dialoghi... «Ecco cosa ci spinge ad incontrare»
Paolo Perego

Nel cuore di Genova, una domenica di fine novembre. La comunità di CL del capoluogo ligure aveva organizzato di portare in città la mostra su don Giussani, “Dalla mia vita alla vostra”, allestendola nell’atrio del Palazzo Ducale, nel weekend tra il 20 e il 22 novembre, a neanche dieci giorni dai terribili attentati di Parigi. Dalla preparazione alle visite guidate, tutta la comunità genovese si è data il cambio, aspettando o invitando i passanti a visitare la mostra.

«Domenica, affacciandoci dall’atrio, ci siamo accorti che nella piazza De Ferrari, a venti metri da noi, si erano radunati alcuni appartenenti alle comunità musulmane locali, per una delle tante manifestazioni anti Isis organizzate in tutta Italia», racconta Siro. Con un gruppetto, incuriositi, si avvicinano: «Volevamo ascoltare, capire chi fossero». Ed è partito qualche dialogo con alcuni di loro: chi siete, cosa fate… «Finché qualcuno di noi gliel’ha buttata lì: “Venite a vedere la nostra mostra”». Mustapha Gharib, imam di un centro culturale islamico della città, si fa raccontare di don Giussani, accetta e si lascia guidare tra i pannelli. Sorpreso, non smette di sottolineare similitudini e punti di unione con la sua fede, come racconta Gianfranco: «L’ho spiegata a lui e ad un gruppetto di suoi amici. L'ipotesi di illustrarla ad un gruppo di musulmani non mi sarebbe mai passata per la mente. È stato un puro dono». E dono è stato anche l’invito di Gharib ai “fratelli cattolici” a visitare la sua moschea, alla fine del percorso.

«Pochi giorni dopo, la sera del 4 dicembre, io, Francesco, Tommaso, Andrea e altri ci siamo presentati all’appuntamento», dice Siro. Scambio di regali, il Corano in italiano per i genovesi e una copia del Senso religioso all’imam, «che ci ha introdotti alla comunità radunata per la preghiera spiegando che cosa, da uomini, ci legasse a loro». Quindi la cena insieme, senza smettere di dialogare su tutto e con tutti. Anche con due giornalisti di Repubblica, inviati dal giornale, come spesso accade negli ultimi tempi, a raccontare delle comunità islamiche in Occidente. «L’imam ci aveva introdotti, spiegando quello che era successo», continua Siro: «E uno dei giornalisti a un certo punto ci ha chiesto chi eravamo. Si è stupito quando si è sentito rispondere: “CL”».

Tra gli invitati, anche il padre di un ragazzo di Genova, Giuliano, partito per la Siria tre anni fa, dopo essersi convertito all’islam, per arruolarsi contro Assad e morto in combattimento. «Questo padre, Carlo, ci ha raccontato del figlio, e di quell’ultimo messaggio in cui lo esortava a convertirsi anche lui, perché così “rimarremo sempre insieme”, gli aveva scritto».

La serata si chiude con la promessa di rivedersi ancora. «Li abbiamo invitati a pregare e mangiare con noi perché vedessero con i loro occhi», ha detto l’imam ai giornalisti spiegando la serata: «Per dire che non c’entriamo con l’Isis, certo. Ma anche per celebrare insieme una forma comune di Natale, una festa per cui i musulmani, al contrario di quanto si voglia far credere, hanno il massimo rispetto».

Francesco il giorno dopo scrive al gruppetto di amici, in dialogo su whatsapp: «Che cosa abbiamo fatto ieri? Abbiamo ascoltato. Non avevamo qualcosa da difendere o da imporre o da dialettizzare. Anfore vuote. Solo così secondo me si può incontrare l'altro». «È Gesù che allarga il nostro cuore e ci fa incontrare tutto e tutti», gli fa eco Siro: «Ho capito cos'è la "baldanza" di cui parla don Giussani, quella che ci ha fatto andare incontro a quella gente che ci siamo ritrovati davanti quella domenica pomeriggio: una certezza e gioia della propria esperienza che si proietta, quasi istintivamente, verso l'altro e verso tutta la realtà».

È un bisogno, «di Qualcuno che accade», le parole di Emanuele: «Altrimenti siamo condannati a respirare l’”aria del tempo”». E questo Uno «che vince», come chiude la conversazione Tommaso, inizia a cambiare tutta la vita, inizia a farti guardare con attesa e stupore ciò che hai davanti: «I miei colleghi, la morosa, il compagno di squadra che ieri si è fatto espellere… Hanno dentro la stessa promessa di Bene; Cristo è misteriosamente (incomprensibilmente) in tutto».