Il coro Cet durante un concerto.

Un mazzolin di fiori dietro le sbarre

Una platea in silenzio, tutta tesa a seguire melodie e testi del concerto di canti alpini del Coro Cet nel carcere di Opera, alle porte di Milano. Coi detenuti che alla fine, a sorpresa, iniziano a cantare...

Quando Guido ha proposto un concerto di canti alpini nel carcere di Opera, per vivere in prossimità della Pasqua un momento insieme ai detenuti che incontriamo con la caritativa di Incontro e Presenza, la mia reazione è stata scettica. Pensavo: «Cosa vuoi che importi a ergastolani e ladri, di canti di più di cento anni fa. Cosa ne capiranno, poi, marocchini e albanesi». Invece quando i ragazzi del Clu, del Coro degli Allievi Cet, ha cominciato a cantare, immediatamente in teatro è calato il silenzio.

Tutti ascoltavano, forse incuriositi da melodie e parole che probabilmente non avevano mai sentito, ma soprattutto si coglieva lo stupore per il fatto che ragazzi potessero essere interpreti così bravi e appassionati di canti di un passato lontano e distante dall’esperienza di tanti. Silenzio e attenzione: così di canto in canto e dopo ogni canto, applausi scroscianti e sinceri. Al termine del concerto, dopo i bis richiesti a gran voce, mi ha colpito il commento dell’ispettrice del carcere: «In qualsiasi condizione ci troviamo, in guerra con altri o con noi stessi, dentro o fuori dal carcere, quello che resta e vince sulla morte, il dolore, il sacrificio è sempre l'amore».

Dopo il ringraziamento al Coro per il magnifico concerto, è successo un fatto inaspettato: spinti dal clima che si era creato, sono saliti sul palco alcuni detenuti, prima uno, poi due, poi sette. Erano alcuni dei partecipanti al gruppo di scrittura creativa che durante il concerto avevano composto delle poesie e desideravano comunicare a tutti le emozioni ispirate e provocate da quanto avevano ascoltato. I versi recitati, evocavano l'amore per la propria amata, paragonavano la propria condizione a una guerra interiore, descrivevano la guerra quotidiana nel vivere. Insomma un concerto nel concerto, dove ognuno aveva reagito alle note e alla bellezza che aveva toccato il proprio cuore. La cosa più incredibile che ha chiuso questa mattinata memorabile è stato il moto spontaneo nato dalla platea dei detenuti che dopo il canto conclusivo, Il testamento del capitano, ha intonato Quel mazzolin di fiori coinvolgendo tutti: noi volontari e persino gli agenti. La situazione si è ribaltata. Il coro era in platea e i ragazzi del CET, sul palco, spettatori increduli e stupiti all’ascolto.

Al termine saluti, strette di mano e complimenti reciproci. La Direttrice del carcere, fino a quel momento discreta spettatrice, è salita sul palco per complimentarsi con i ragazzi e, anch’essa stupita da quanto aveva visto succedere, ha chiesto di ripetere in futuro il concerto. Alcuni amici detenuti hanno chiesto come poter continuare quanto vissuto durante la mattinata, magari facendo nascere un coro di canti alpini tra i detenuti.

Francesca, Milano