PAOLO IV Luci e ombre del papato rinascimentale

Lottò contro il protestantesimo tra l'amore alla verità radicale ed eccessi di zelo. Ma per la durezza dei suoi metodi non conquistò mai la stima dei fedeli
Eugenio Russomanno

Gian Pietro Carafa nacque a Sant’Angelo a Scala, nei pressi di Benevento, nel 1476 e morì a Roma nel 1559. Inquisitore, divenne papa nel 1555. Intransigente fautore della Controriforma, ampliò i poteri dell’Inquisizione e nel 1559 pubblicò il primo Indice dei libri proibiti (elenco delle pubblicazioni ritenute contrarie alla dottrina cattolica). Rigido anche verso gli ebrei, impose l’istituzione dei ghetti a Roma e nello Stato Pontificio.

Gian Pietro, che apparteneva ad una famiglia di baroni napoletani, fu educato a Roma, dove acquisì la conoscenza della lingua greca e della lingua ebraica. Fece carriera nella Chiesa in modo molto rapido, sia per le sue qualità che per l’autorità della sua famiglia.
Nel 1254 insieme a Gaetano da Thiene (1480-1547) fondò l’Ordine Teatino: si trattava di ritornare alla povertà nella Chiesa, di ripristinare il modo di vivere apostolico e riformare la Chiesa di quel tempo.
Nel 1536 fu nominato cardinale e nel 1549 divenne arcivescovo di Napoli, per diventare poi dal 1553 decano del sacro collegio. Quando fu eletto il 23 maggio 1555 aveva settantanove anni, era ammirato ed era temuto: sotto il governo di Paolo IV, che sembrò voler soffocare ogni forma di gioia serena, il gioioso Filippo Neri, tanto ricco di humour, ebbe a soffrire per un certo tempo; Ignazio di Loyola si era scontrato duramente con il cardinale Carafa e, quando questi divenne papa, cominciò per lui un tempo difficile. Il Franzen ricorda che, dinanzi a Paolo IV, Ignazio tremava.

«L’elezione di Paolo fu salutata con gioia dai partigiani della Riforma, ma le loro speranze non si realizzarono. Autocratico e passionale, ancora legato a un concetto medioevale della supremazia del Papa, egli abbandonò la neutralità dei suoi predecessori» scrive John Kelly.
Il papato del Rinascimento «stava ormai perdendo sempre più di vista il compito universale cui era chiamato e, seguendo gli interessi particolari del suo stato pontificio, faceva mostra di una meschina politica territoriale, analoga a quella di un qualsiasi altro staterello … Nepotismo e politica familiare ebbero a lungo, in questo periodo storico, una parte inquietante … Sotto questa cattiva stella operarono ancora Paolo III (1534-1549) e il fanatico papa riformista Paolo IV (1555-1559), che con la loro politica ecclesiastica contro l’imperatore favorirono non poco il diffondersi della riforma luterana», scrive August Franzen.

Nel campo della Riforma “l’ascetico e ostinato papa” si impegnò molto: tutta la sua opera, prima e dopo la sua elezione a pontefice, si concentrò nella lotta contro l’eresia e nella riforma della Chiesa. La ripresa del Concilio di Trento, che era stato interrotto il 28 aprile 1552, non fu da lui presa in considerazione. Egli, acerrimo nemico del protestantesimo, si riteneva in grado di portare a termine le riforme necessarie anche da solo. Nel 1556 istituì una speciale commissione che secondo i suoi piani doveva essere un vero e proprio concilio papale.

Si dedicò molto anche al potenziamento dell’Inquisizione romana: ne ampliò la giurisdizione e ne pose a capo Michele Ghislieri, futuro papa Pio V. Ma la sua passione per l’ortodossia era eccessiva: fece imprigionare per eresia a Castel Sant’Angelo un prelato irreprensibile come il cardinale Giovanni Morone e tolse al cardinale Reginaldo Pole la sua carica di legato in Inghilterra, deferendolo all’Inquisizione.
Per quanto riguarda il rapporto con gli ebrei, egli sospettava che questa favorissero in certo modo il protestantesimo. Così ordinò il rogo del Talmud nel 1553 e nel 1555 con la bolla Cum nimis absurdum impose l’istituzione dei ghetti.

Il suo pontificato non realizzò il rinnovamento della Chiesa del tempo, ma certamente fece qualche passo in avanti: egli scelse attentamente i cardinali, impose l’obbligo di residenza dei vescovi, escluse dai monasteri i chierici regolari, fece punire i monaci che abbandonavano le abbazie, nominò una commissione per la riforma del messale e del breviario romano, promosse la dignità delle funzioni sacre a Roma, represse l’immoralità pubblica e la violenza. Ma la durezza dei suoi metodi e la sua intolleranza ne fecero una persona impopolare. Alla sua morte l’odio del popolo verso di lui e la sua famiglia esplose: la folla in rivolta distrusse la casa dell’Inquisizione liberando i prigionieri; la statua di Paolo eretta sul Campidoglio fu abbattuta e mutilata.