Padre Federico con i bambini al Carmel.

Marcellino, manioca e vino...

La situazione a Bangui non migliora. Ma continua l'accoglienza dei missionari che, in una terra martoriata, semplicemente restano. La scuola d'emergenza, l'orfanello Geoffrey e quei profughi che «senza saperlo ci fanno vivere di più il Vangelo»

Il nostro campo profughi ha ormai superato abbondantemente i due mesi. Davvero chi l'avrebbe immaginato che queste porte, spalancate il mattino del 5 dicembre, sarebbero rimaste aperte per così tanto tempo e che i nostri ospiti si sarebbero così affezionati al Carmel!
Se i nostri ospiti sono ancora qui, sebbene in numero minore, un motivo c'è. La situazione, infatti, stenta a migliorare. A Bangui non passa giorno, e soprattutto non passa notte, in cui non ci siano morti, saccheggi e regolamenti di conto. Ma la cosa ancor più drammatica è che, da diverse settimane, è ormai quasi l'intero Paese ad essere teatro di scontri e di violenze senza precedenti. Se nella capitale una certa presenza militare, soprattutto francese, assicura una relativa tranquillità e la possibilità di spostarsi senza rischiare sempre la vita, in provincia la situazione è molto più complessa. Tutta la zona nord-occidentale del Paese è stata a più riprese oggetto di rappresaglie da parte ora dei Séléka ora degli anti-Balaka: saccheggi, uccisioni, case - tantissime case - e mercati bruciati.

Il Paese è in un vortice di violenza cieca che sembra non arrestarsi, ha avvelenato il Paese e fatto così tante vittime innocenti. Se i Séléka, e chi li ha sostenuti, sono indubbiamente all'origine della situazione in cui ci troviamo, gli anti-Balaka hanno dimostrato una violenza pari, se non superiore, a chi li ha provocati. I Vescovi hanno denunciato questa violenta reazione popolare, che i media hanno frettolosamente interpretato come cristiana. Poiché non sono musulmani, la confusione è stata inevitabile. Ci consola la consapevolezza che, sebbene tutto ciò sia una vergogna, sono stati centinaia, forse migliaia, i musulmani che hanno trovato rifugio nelle parrocchie e nei conventi sparsi nel Paese, salvandosi letteralmente la vita. Ma l'esodo di questa minoranza è ormai cominciato. Tantissimi musulmani - anche alcuni nostri carissimi amici - sono stati costretti ad andarsene pur essendo nati qui. A ciò si aggiunge un effetto collaterale, che renderà ancora più difficile la nostra già fragile economia. Le poche attività commerciali del Paese - soprattutto, ma non solo, la vendita all’ingrosso e al dettaglio dei generi alimentari di base - era infatti in mano ai musulmani.
In questo quadro desolante, il 20 gennaio, un segnale di distensione: l'elezione del nuovo presidente, Cathérine Samba Panza, ex-sindaco di Bangui. È stata lei a nominare un nuovo primo ministro il cui cognome è tutto un programma: Nzapayeke, che significa "Dio c’è". Un ottimo tandem con l’Arcivescovo di Bangui, il cui cognome, Nzapalainga, significa "Dio sa". Quindi: Dio c'è e Dio sa. Queste due certezze, che non sembrano mai essere venute meno nel cuore di tutti i centrafricani, siano essi cristiani o musulmani, sono più che sufficienti per non scoraggiarci, sentirci al sicuro e andare avanti.

Nel frattempo, qui da noi è nata una scuola d’emergenza, grazie anche all’iniziativa degli insegnanti cattolici presenti tra i nostri rifugiati. È sorta nel giardino delle suore, a pochi metri dal nostro cancello. Il giorno dell’inaugurazione, seduto sulla poltrona principale, ho ricevuto gli onori degni di un direttore scolastico di una popolatissima scuola con classi, purtroppo senza banchi e sedie, che sfiorano i duecento allievi. Mi hanno dato la parola presentandomi come Bwa Federico, baba ti adéplacés kwe ti Carmel (padre Federico, papà di tutti i profughi del Carmel). In questi giorni, la gioia più grande è vedere ogni mattina frotte di bambini che sciamano dal nostro campo profughi, con le loro cartelle griffate Unicef, per fare una cosa così normale, così bella e così giusta come andare a scuola. Io, alla loro età, non mi ero accorto di essere fortunato perché i giorni di scuola superavano quelli di vacanza. Qui, da alcuni anni, è purtroppo il contrario. Se avete dei bambini, diteglielo prima che sia troppo tardi.

A proposito di bambini, al Carmel non ne mancano, anche se in queste ultime settimane non ne sono più nati. In compenso è arrivato Geoffroy, 12 anni, proveniente da Bossangoa, una città 400 chilomentri a nord di Bangui. Geoffroy non ha fratelli, i suoi genitori sono morti a causa di una granata e la sua casa è stata incendiata; e lui, accompagnato da dei militari, è arrivato fino a Bangui. Dopo aver trascorso qualche giorno nel campo profughi dell’aeroporto - che ospita qualcosa come 100.000 rifugiati - un taximoto lo ha lasciato davanti al cancello del nostro convento senza troppe spiegazioni. Lo abbiamo lavato, vestito, nutrito, cercando di comprendere qualcosa del suo passato e di trovare una soluzione per il suo futuro. Lui, senza troppe difficoltà, si è adattato ad usi e costumi del convento, forse un po’ smarrito per tanta accoglienza da parte di 12 giovani frati, ma felice di poter dormire in un luogo sicuro. A noi, tutta questa simpatica e incredibile storia, è sembrata la versione africana di Marcellino, manioca e vino…

Abbiamo anche ricevuto la visita delle suore di Madre Teresa di Calcutta. Senza troppo rumore e zero burocrazia, questi angeli vestiti di sari sono riusciti a fare qualcosa che nessuna ong era finora riuscita a fare. Per ben due volte hanno offerto un pasto caldo per tutti - proprio tutti - i bambini: una zuppa di riso dolce. E, prima di ripartire, hanno preso con loro Pierre, un vecchio congolese ammalato, rimasto abbandonato nel fuggi fuggi della guerra.
C’è, qui al Carmel, un Corpus Domini quotidiano. Ogni mattina, al termine della celebrazione eucaristica nella nostra cattedrale di palme e cielo, riportiamo quanto resta dell’Eucaristia nel tabernacolo all’interno del Convento. Sembrano, ogni volta, le dodici ceste avanzate dopo la moltiplicazione dei pani. Il Santissimo, per nulla infastidito, attraversa il nostro campo profughi in un caleidoscopio di colori, odori, fumi e profumi, fango e polvere. Mentre compio questa surreale processione, ringrazio in cuor mio questa gente, che forse non sa che sta obbligando me e i miei confratelli a vivere un po’ di più il Vangelo.
Padre Federico, i fratelli del Carmel e i nostri ospiti