Milano.

Milano, città viva e che sa cambiare

Una ricetta conto la crisi che affonda le sue radici nella storia. Il Centro Culturale di Milano, il 14 dicembre, ha ospitato un dialogo sul capoluogo lombardo. E sui suoi possibili fattori di sviluppo
Paolo Perego

Il tempo, per i greci era quello che scorreva inesorabile. Kronos. Ma avevano anche un altro modo di chiamarlo. Kairos, il momento giusto. L'opportunità. È Alberto Meomartini presidente di Assolombarda, a ricordare le parole del Papa nella Caritas in veritate. È una sintesi efficace del cuore della quarta Giornata della sussidiarietà, organizzata dalla Fondazione per la Sussidiarietà in collaborazione con Centro Culturale di Milano e la CdO del capoluogo lombardo. Ma quella di venerdì 14 dicembre nella sala di via Zebedia è stata anche l'occasione per consegnare il Premio San Bernardo a tre realtà meneghine che hanno sviluppato azioni solidali, educative, economiche ed assistenziali particolarmente significative.

Il tempo. L'opportunità. «È un tema a cui si legano indissolubilmente parole come cambiamento e novità», spiega Guido Bardelli, da pochi mesi alla guida di CdO Milano presentando la ricerca prodotta Luigi Vergallo, studioso dell’Università Statale di Milano, sull'evoluzione socioeconomica della città lombarda dalla fine della guerra a oggi. Si guarda da qui la crisi, continua Bardelli: «La crisi colpisce duramente, lo vediamo. E la necessità di un cambiamento è sotto gli occhi di tutti». Ma che c’entra guardare la Milano del passato? «Non è un rimpianto dei tempi che furono. Ci interessa riflettere sul filo rosso che ha consentito alla città di cambiare e non fermarsi al risentimento e alla rassegnazione anche davanti periodi più duri. Cosa ci ha permesso e può permetterci ancora di innovare? Cosa vuol dire guardare la crisi come occasione?».
Tra slide e grafici, Vergallo presenta il suo lavoro. La città che sa cambiare. Fatto di dati, censimenti, che raccontano di una conversione repentina dell’economia della città di fronte ai mutamenti demografici e dei mercati. L’evoluzione dei redditi, il cambiamento del mercato del lavoro, passato in pochi anni dalle grandi fabbriche metalmeccaniche e ad altri settori, come quello del credito o dei servizi alle imprese. Dati che raccontano, incrociati con la storia recente dal dopoguerra a oggi, di un modo di affrontare i conflitti sociali più maturo ed efficace.

Tanti i fattori in campo. Certamente il welfare sussidiariario, fatto di grandi e piccole opere sociali e assistenziali, ha giocato un ruolo fondamentale, nel rapporto con le istituzioni. E di certo ha giocato in maniera importante anche un mix culturale “comunista, socialista e cattolico” proprio della tradizione milanese.
I grandi pastori milanesi, Schuster, Colombo, Montini, Martini, fino ad arrivare ai giorni nostri, li ha ricordati monsignor Angelo Bazzari, presidente della Fondazione Don Carlo Gnocchi, che da decenni opera in campo assistenziale a Milano. E poi il ruolo dei sindacati, ricordato da Onorio Rosati, della Cgil, segretario generale della Camera del Lavoro Metropolitano di Milano.

Insomma, qualcosa è accaduto. Parlano la realtà di oggi i numeri. Milano ha resisto ai cambiamenti adattandosi. Cosa dice questo oggi? «Che dobbiamo continuare a guardare come in passato al bene comune. Cioè, a come ancora oggi possiamo fare qualcosa insieme», dice ancora Rosati. Non un anacronistico consociativismo: «Il conflitto sociale è un motore per cambiare? Bene, siamo di fronte a un conflitto anche oggi. E occorre che le diversità vengano reciprocamente riconosciute da tutti gli attori, senza la prerogativa di imporre un’egemonia culturale». Si può cambiare, continua Rosati: «E Milano è in grado di farlo perché è abituata a trasformarsi, lo abbiamo visto». Senza illudersi troppo: «Personalmente ho due figli piccoli e quello che vedo ogni giorno non mi fa essere troppo positivo. Ma se qualcuno è più avanti in questo, io rimango in ascolto».

Bisogna guardare a quell’ingrediente in più che ha fatto di Milano quello che è, sottolinea Meomartini. «La storia della città è sostanzialmente quella di una “comunità”, dove qualcuno si è mosso, è uscito dal suo ambito e ha iniziato a costruire. L’università Bocconi, è nata così, per il desiderio di un industriale, per dirne uno. Esempi ce ne sono tanti. Anche nel sociale. Guardo il mondo in cui vivo e mi accorgo che lo stiamo ritrovando, quel tessuto di relazioni tra imprese, servizi e istituzioni». Anche cambiando fisionomia, per l’ennesima volta. Per esempio iniziando a puntare su una produzione di alta qualità, come sta accadendo in tanti settori: «E questo nonostante ambiti culturali profondamente diversi che interagiscono. Perché alcune cose sono possibili sul nostro territorio e non altrove?».

Lo incalza Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà. «La Lombardia rappresenta un’eccellenza italiana in tanti ambiti. L’università, per esempio. O la sanità», dice da statistico, dati alla mano. «Milano sta tornando ad essere interessante anche all’estero. È una città viva, come la ricerca mostra». Anche attraverso gli esempi delle tre opere insignite del Premio San Bernardo. L’”Opera San Francesco”, con i suoi servizi di assistenza ai poveri, “Incontro e presenza”, una realtà che è un riferimento nelle carceri milanesi, e “La Cordata”, un esempio di “presidio di quartiere” della periferia milanese in materia di welfare sussidiario, dall’assistenza sanitaria all’impresa.

Esperienze che dicono di un ambiente, «quello della nostra città, dove l’attenzione alla persona, l’educazione e quella tradizione comunista-socialista e cattolica» formano un terreno di coltura unico. «Milano è stato ed è oggi un laboratorio di questo. E a partire qui si deve guardare il rapporto tra pubblico e privato. Che sia equilibrato, e non schizofrenico nelle due opposte alternative. In questo io vedo un importantissimo fattore di sviluppo».