La presentazione a Montecitorio.

Beati gli statisti che sanno ridere

Inaugurata alla Camera dei Deputati una mostra su Tommaso Moro. Che «ha vissuto la sua umanità fino in fondo» e ci indica una strada oggi: «Educare alla tensione ideale». All'incontro, gli interventi del premier Mario Monti e del ministro Lorenzo Ornaghi
Ubaldo Casotto

“Il sorriso della libertà”. È piaciuto molto il titolo della mostra su “San Tommaso Moro, la politica e il bene comune” curata dalla Fondazione Costruiamo il Futuro e inaugurata ieri alla Camera dei Deputati. È piaciuto al Presidente del Consiglio Mario Monti, intervenuto all’inaugurazione insieme ai vicepresidenti della Camera Maurizio Lupi e Rocco Buttiglione e al cappellano del Parlamento monsignor Lorenzo Leuzzi. È piaciuto al ministro dei Beni culturali, Lorenzo Ornaghi. Il quale, con il curatore professor Edoardo Rialti, il presidente del Pontificio consiglio per la Nuova evangelizzazione monsignor Rino Fisichella, il direttore di Avvenire Marco Tarquinio e ancora con Lupi ha animato il convegno di apertura della mostra davanti a circa 200 persone tra parlamentari, membri del governo, giornalisti e imprenditori.

«Beati quelli che sanno ridere di se stessi», ha citato Monti dalla “preghiera” del cancelliere della corona, «perché non finiranno mai di divertirsi», sottolineando il bisogno per ogni uomo politico e per ogni governante (san Tommaso Moro è protettore di entrambi dal 31 ottobre del 2000 quando Giovanni Paolo II lo proclamò tale) di un distacco ironico da ciò che fa con, appunto, quel sorriso che fiorisce sulle labbra dell’uomo libero. Il Presidente del Consiglio ha poi chiesto la sua protezione per chi si impegna nella semplificazione legislativa; l’ha fatto citando un passaggio di Utopia in cui si invidia la condizione di quell’isola immaginaria i cui abitanti «hanno poche leggi» e si deplora quella di «Paesi in cui le leggi hanno un tale volume e una tale oscurità da non poter essere lette e comprese dai loro cittadini».
«Ci sono molte ragioni per sorridere», ha detto Ornaghi, «c’è il sorriso spensierato del bambino che si cimenta con i suoi primi perché, del giovane che ha speranza fiduciosa nel domani e del vecchio saggio che ringrazia il Signore che "allieta la sua giovinezza"». L’Utopia, ha aggiunto il ministro, ha a che fare con questo sorriso, non è un’isola che non c’è, «è il luogo che la politica deve costruire con libertà creatività e responsabilità», fermando quel processo di degenerazione cui stiamo assistendo e che questo sorriso rischia di spegnerlo. Di Utopia come «capacità di progettualità» ha parlato anche monsignor Fisichella, spiegando che l’uomo politico non può limitarsi alla «gestione del reale», ma deve saper guardare più in là, avventurandosi «nell’idealità di cui una società ha bisogno», guidato dal principio che fece di Tommaso Moro l’uomo che fu: la coscienza. «Tutto», ha detto, «è riportato alla coscienza del soggetto, al cuore. Ma la coscienza non è data una volta per tutte, nella coscienza si cresce, maturando verso un giudizio che tenga sempre conto del binomio verità e libertà».

«L’informazione e la politica sono, dovrebbero essere, entrambe a servizio della libertà», ha detto Tarquinio notando come in gioco, tutte le volte che viene messa in pericolo la dignità della politica («da chi la fa e da chi l’attacca»), ci sia «la battaglia per la libertà e per la coscienza». Cosa questo voglia dire l’ha esemplificato stigmatizzando «il ricorso che oggi è stato presentato in Europa contro il diritto all’obiezione di coscienza, l’attacco più serio all’idea stessa di civiltà e di civile convivenza» (l’ong International Planned Parenthood sostiene che in Italia ci sono troppi medici obiettori che non garantiscono il diritto all’aborto, ndr).
Un mondo nemico della verità e della coscienza è l’antitesi della vita di Tommaso Moro che fu, come ha sostenuto Rialti, sostanzialmente “un amico”, considerava l’amicizia «l’ottavo sacramento». «Amico dell’uomo, amico dello Stato che governava, amico del re che pure lo uccise». Come si possa essere così universalmente amici Rialti l’ha spiegato con un aneddoto sul rapporto tra Enrico VIII e il suo cancelliere: «Dopo aver discusso con lui tutto il giorno del regno e dei provvedimenti da prendere, spesso il re lo chiamava anche dopo cena, per parlare con lui di filosofia e di arte. Tommaso Moro lo invitava a salire sul terrazzo a guardare le stelle. È questa apertura al tutto, all’infinito, è questa amicizia con Dio che l’ha reso non solo "uomo per tutte le stagioni", ma uomo per tutte le generazioni».
Maurizio Lupi ha voluto ricordare che questo «uomo politico, uno dei pochi per i quali si può usare con proprietà il termine statista, è diventato santo perché ha vissuto la sua umanità sino in fondo. Abbiamo bisogno di testimoni che ci indichino una strada, e qui capiamo come e quanto la fede c’entri con la politica. Non perché dia prescrizioni, ma perché è un grande giudizio ideale per concepire la democrazia. Se la democrazia consiste solo nel consenso popolare o nel favore del re, prima o poi finisce. Tommaso Moro ci aiuta a comprendere quello che oggi più ci serve: avere un luogo continuo dove essere educati alla tensione ideale che sola può dare moralità alla politica».

La mostra resterà alla Camera dei Deputati sino al 31 ottobre, poi diventerà itinerante con prima tappa a Milano nella Chiesa di San Sepolcro della Pinacoteca Ambrosiana dal 9 al 22 novembre. In occasione della giornata mondiale dei politici per l’Anno della Fede (in data ancora da definire) verrà ospitata in Vaticano.

“Il sorriso della libertà. San Tommaso Moro, la politica e il bene comune”
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