Aiuto, devo fare il genitore

Sul web impazzano i blog fatti da mamme e per le mamme. In libreria le istruzioni per l'uso sulla cura dei bimbi vanno per la maggiore. E noi siamo andati a sbirciare tra i più venduti... Ma bastano regole e manuali per crescere un figlio?
Luigi Ballerini

Si sa, i libri di cucina vanno alla grande; sulla scorta di trasmissioni TV che li promuovono al vasto pubblico macinano migliaia e migliaia di copie. Non se la cavano male, però, anche i cosiddetti testi di parenting, ossia gli aiuto-devo-fare-il-genitore! Padelle o pannolini fanno poca differenza, in fin dei conti si tratta pur sempre di ricette. Davvero le istruzioni per l’uso esercitano un’attrazione irresistibile per i neogenitori, tanto da far allestire intere sezioni nelle librerie e aver ormai costituito un genere a sé. In effetti le giovani mamme, assieme ai papà, sembrano sempre più angosciate dalle loro performance, ritenendo necessario attrezzarsi di informazioni adeguate al nuovo ruolo. È la logica prestazionale di un ruolo che prevale, appunto. Ben diverso dallo scoprirsi in atto dentro la relazione con un nuovo venuto che, essendo a sua volta un soggetto, metterà qualcosa di suo nel rapporto, di imprevedibile e incalcolabile. Quel di più che nessun manuale potrà mai svelare.

Incuriositi dal fenomeno siamo andati a sbirciare la classifica dei cento libri più venduti su Ibs.it nella categoria Salute-Famiglia-Benessere: senza stupore, ci siamo imbattuti in ben sei volumi che arrivano direttamente dalla serie tv SOS-Tata. Gemmazioni del collaudato docureality, i consigli delle più famose tate d’Italia – in primis Tata Lucia – godono di grande favore anche sulla carta stampata. Forse non è neanche un male, visto il buon senso che vi si respira. In essi sorprende piacevolmente notare come almeno il concetto di un papà e una mamma che collaborano sia ben radicato.
Una decina di altri libri in classifica sono poi dedicati alla specifica cura dei neonati: grazie a loro l’arte di cambiare il pannolino, il massaggio rilassante e i principi dell’alimentazione naturale diventano accessibili anche ai neofiti. Sono i manuali propriamente detti, a cui abbeverarci di quelle indicazioni che un tempo erano trasmesse dalle nonne, mentre ora richiedono qualche benedizione scientifica in più. Anche qui, vale un: perché no? Purché si sappia sempre di cosa stiamo parlando: un training per l’acquisizione di pure abilità, più o meno come imparare le tecniche di stretching o l’arte del decoupage.

Ma i cinque volumi più interessanti che compaiono nella lista dei best seller sono proprio quelli dedicati a ciò che si configura a pieno titolo come l’Universo-Mamma. Ecco allora i titoli che al momento trovano posto sui comodini di moltissime puerpere italiane: M’ammazza (al sesto posto!), Quello che le mamme non dicono, Una madre lo sa, L’arte del maternage e, last but not least, Mamme Cattivissime.
M’ammazza, scritto dalla televisiva Camila Raznovich, ha la forma di un diario graffiante e a tratti irriverente sulla grande fatica, e relativa gioia, di essere mamma. Il primo capitolo - Alcune (ottime) ragioni per non fare figli - è, per così dire, programmatico: «Hai idea di cosa significhi veramente un figlio nella vita di tutti i giorni? Innanzitutto significa che non avrai più una tua vita. Poi significa ritrovarti col pavimento di casa ridotto a un campo minato (mai provato i mattoncini Lego sotto la pianta del piede?). Sentire l’urlo disumano “Mamma ho finito” provenire tutti i giorni dal cesso. Scoprire il tuo rossetto preferito spalmato sull’oblò della lavatrice. Ritrovarti in vacanza senza mutande perché al tuo bagaglio hai dedicato tre minuti e al suo due giorni. Imparare un linguaggio da idioti per comunicare con il bebè… Fare un figlio vuol dire caricarti di un fardello di cui non ti libererai mai più… Non fare un figlio se non pensi di avere il compagno giusto». Insomma il figlio è un accidente che capita alla donna; colpa di un istinto che si autogenera e non merito di un desiderio suscitato dall’incontro con un compagno, cui resta solo il compito di dover essere “giusto”.
Ritroviamo lo stesso registro anche in Hai voluto la carrozzina?, libro collettivo di quindici mamme blogger, nell’ormai libro-cult Quello che le mamme non dicono di Cecilia Chiara Santamaria col suo fortunatissimo sottotitolo: dal Pampero ai Pampers alla ricerca dell’istinto materno, e in Ero una brava mamma prima di avere figli di Paola Macarone. Da quest’ultimo attingiamo nuove, imperdibili, sfumature al significato di essere madre: «Prima di avere un figlio indulgevate in tutta una serie di tenere attività tipo spalmarvi con calma il pancione di olio di mandorle, girare per vetrine osservando graziosi completini da neonato, tagliare la verdura a julienne per far piacere al vostro compagno. Ora di Julienne nella vostra vita ce n’è uno solo. Ed è il re dei lemuri nel cartone animato Madagascar. Per far piacere al vostro compagno, nei giorni buoni buttate sul fuoco 4 salti in padella… Le giornate di shopping non sono che un lontano ricordo. Per voi non prendete nulla». Una transizione da donna a mamma, senza ritorno.
Assai più serio, invece, il successo di Mamme Cattivissime, della femminista francese Elisabeth Badinter. Esamina, come un vero saggio, il concetto di maternità ecologica, il nesso fra maternità e ascetismo, il ruolo di donna e madre. Vi ritroviamo mezzo secolo di storia dell’emancipazione femminile, con pillola e allattamento artificiale quali primi capisaldi verso la parità dei sessi.

Sul web possiamo poi identificare un gran numero di blog fatti da e per le mamme. Nati come luoghi virtuali di condivisione di impressioni, difficoltà e speranze, finiscono per assumere col tempo la forma di manuali online assomigliandosi un po’ tutti. In mammaimperfetta.it possiamo partecipare alla gioia per la prima pagella di scuola: «Oggi la prima pagella, sua e mia. Ascoltare terze persone parlare di qualcuno che ami alla follia è sempre un pungolo emotivo. E lo è sia che ne parlino bene, sia che ne parlino in modo equivoco, proprio perché le corde che racchiudono un amore viscerale possono forse essere toccate solo da chi quell’amore lo prova. Mi aspettavo qualcosa di meno e invece Matteo ci ha regalato una pagella bellissima, con voti alti che riempirebbero di orgoglio anche una lucertola». Ci felicitiamo tanto con la mamma-blogger, ma a noi…?
Da mammafelice.it raccogliamo invece un’imperdibile confessione su essere mamma oggi: «…odiavo lavare e sterilizzare i biberon, detestavo l’odore permanente di brodo durante lo svezzamento, e naturalmente la vita scandita da blocchi di 3 ore in 3 ore: delirante. Non sopportavo che gli estranei mi toccassero la pancia, non sopportavo chi mi portava via la bambina dalle braccia senza garbo (e senza chiedere), e non sopporterò mai quello stato di semi-invisibilità che deriva dall’essere madre, quando in pratica tu non esisti più e sei trasparente, e le attenzioni sono concentrate tutte sul bambino. Per non parlare di quanto mi sento chiamare: Mamma di Dafne. Ma porcapaletta, io mi chiamo Barbara, non MammaDiDafne! Ma una cosa, soprattutto, mi pesa un sacco: non poter essere una non-mamma per qualche ora al mese…». Praticamente, una condanna.

Insomma il web offre un’incredibile mole di esperienze e pensieri condivisi; molti, francamente, potrebbero essere tenuti anche per sé. Alla fine, dentro questo variegato panorama di pagine di carta e online dedicate ai genitori, si nota come brillino tre grandi assenti: la famiglia, lo sposo e il giovane. Il lemma “famiglia” è pressoché espunto, non lo troviamo quasi mai citato. Questa scomparsa, lungi dall’essere una pura questione lessicale, tradisce in realtà l’assenza del concetto stesso di famiglia, la sua ormai difficile pensabilità per molti."Famiglia” implica necessariamente l’idea di un’unione duratura, la presenza di un uomo e una donna con un rapporto in atto per i quali la presenza del figlio è supplemento, grazioso perché gratis e non biologicamente necessario. Ritroviamo invece solo la Mamma e per lo più una mamma sola, deprivata inoltre del suo essere un soggetto.
Non dobbiamo stupirci dell’espunzione del termine famiglia, essa infatti è la diretta conseguenza dell’evanescenza dello “sposo”. Nella maggior parte dei testi esaminati - tutti rigorosamente opera di autrici - al soggetto di sesso maschile della coppia è riservato per lo più il ruolo di un poveretto che non capisce (quasi per natura), un inetto che se bravo farà il possibile per adattarsi a una situazione per lui comunque incomprensibile diventando di volta in volta comico o patetico. Tanto più quanto più è piccolo il pargoletto, ridotto a bambino-della-mamma più che figlio.

L’uomo assai raramente è indicato come compagno, come partner affidabile con cui condividere sì le pratiche sul corpo del piccolo, ma soprattutto la sua visione e concezione. Se pure prendiamo La guida del giovane papà, raro esempio di manuale scritto da uomini per uomini, ci imbattiamo nello stesso errore: il tono scanzonato e le gag comiche che più volte strappano il sorriso, lasciano tuttavia qualcosa di amaro. I padri stessi si trattano da stupidi, cedendo alla fantasia di appartenere a un universo, quello maschile, sempre contrapposto a quello femminile. E mai come soci nello stesso universo.
Vediamo qualche passo dal capitolo: "Come nutrire il nano". «Non esistono trentasei soluzioni. In realtà non ce ne sono che due: seno o biberon il che esclude ogni altro tipo di alimentazione, tipo chili con carne, choucroute o cassoulet. Neanche il patè. Il palato poco sviluppato li rende refrattari a tutte le cose buone della tavola. Ad esempio nove neonati su dieci sono incapaci di distinguere fra un banale vino da tavola e un Mouton-Cadet 1982… Credete alla nostra esperienza, un po’ di latte e vi lasceranno in pace». Divertente, forse, ma di che uomo stiamo parlando?. Non c’è famiglia, quindi, perché non ci sono sposo e sposa, perché non ci sono un uomo e una donna legati da un patto amoroso che venga prima della necessità di intervenire su un nuovo venuto.

I manuali, infine, coprono un’estensione temporale molto limitata della vita del figlio: si va dai meno-nove ai più-dodici mesi. Qualcuno si occupa anche del bambino, dalla scuola materna fino ad arrivare, in qualche caso, alla primaria. Gli scaffali si svuotano se, invece, cerchiamo testi sui ragazzi, dalle medie in su. Per questi, dobbiamo spostarci in Psicologia, con pochi selezionati titoli, dalle vendite peraltro assai inferiori alle età precedenti.
Ma forse è persino meglio così: se per i piccoli per un po’ ci si può illudere che ricette e istruzioni per l’uso possano funzionare (e lo fanno anche, ma per le questioni eminentemente pratiche), i figli più grandi sconfessano con prepotenza una tale convinzione. Non c’è ricetta che tenga con loro, né strategie: è piuttosto una questione di sguardo e di considerazione. I giovani uomini e le giovani donne chiedono che venga preso sul serio il loro pensiero orientato alla riuscita, il loro desiderio di diventare grandi senza compromessi che ne riducano la portata. È che talora lo chiedono male, esprimono in modo inadeguato un’esigenza buona, non li capiamo o li mettiamo noi stessi in difficoltà. Con loro, a volte un aiuto ci serve davvero, ma più a chiederci «di cosa si tratta» che rispondere subito a «cosa devo fare». E questo non sempre si trova nei manuali.