CANADA «Se fossi malata, ora so che verrei da voi»

Davanti alla proposta di introdurre l'eutanasia, un gruppo di amici ha preso posizione. E ha testimoniato un'attenzione più vera alla persona. Riuscendo così a colpire anche i promotori della legge...
John Zucchi

«È nel nome delle migliaia di persone che abbiamo accompagnato sino alla fine della loro vita, di quelle innumerevoli storie, la maggior parte banali, ma sempre traboccanti di verità, che fermamente ci schieriamo contro ogni forma di legislazione a favore dell’eutanasia o del suicidio assistito».
Con queste appassionate parole Caroline Girouard, oncologa al Sacre Coeur Hospital di Montreal con diciassette anni di esperienza, ha iniziato il suo intervento alla Commissione speciale dell’Assemblea nazionale del Quebec, denominata "Morire con dignità". Lo stesso nome della Commissione indica dove potrebbe andare a sfociare, ossia nella raccomandazione al Governo del Quebec perché introduca misure che di fatto consentano l’eutanasia e il suicidio assistito in questa provincia. Negli ultimi tempi ci sono state crescenti pressioni in questa direzione. Un membro del parlamento del Quebec l’anno scorso ha presentato un progetto di legge alla Camera dei Comuni canadese per depenalizzare l’eutanasia, ma è stato sonoramente respinto con 228 voti contrari e 59 a favore. L’eutanasia, infatti, in Canada è soggetta al codice penale federale, e una provincia non può cambiare questo stato. Tuttavia le province hanno la responsabilità del sistema sanitario, e i rispettivi Avvocati generali (in Quebec il Ministro della Giustizia) sovrintendono ai giudici e ai tribunali. Molto semplicemente, il Quebec sta cercando la via per introdurre l’eutanasia dalla porta secondaria attraverso la definizione di protocolli guida per la pratica dell’eutanasia e sancendo la non perseguibilità dei dottori che la pratichino all’interno di questi protocolli.
Alcuni membri della nostra comunità a Montreal hanno cominciato a interessarsi del problema più di un anno fa, e ci siamo trovati per discutere di questo tema e per aiutarci a dare un giudizio a riguardo. Ci è apparso chiaro che la pressione per forzare gli eventi in una direzione pericolosa fosse un progetto perverso che andava contro la dignità dell’uomo e della società. Quanti proponevano l’eutanasia presentavano statistiche e sondaggi per mostrare che oltre l’80% degli abitanti del Quebec erano favorevoli. Venivano citati pochissimi esempi concreti e non era detto come erano stati selezionati, né quali manipolazioni tecniche si erano usate nel porre le domande così da generare risposte scontate.
L’Assemblea nazionale del Quebec ha istituito la sua Commissione speciale lo scorso Dicembre, e “Morire con dignità” ha cominciato un primo giro di audizioni tra febbraio e marzo. Sono stati richiesti interventi a singoli, gruppi e associazioni in estate, e all’inizio di settembre è cominciata una serie di audizioni in diverse città in tutto il Quebec, a partire da Montreal.
Le persone della comunità di Cl hanno capito quanto sia pericoloso questo manifesto tentativo di introdurre l’eutanasia. Molti dei nostri amici si sono coinvolti spontaneamente nel dibattito e hanno inviato articoli e lettere alle redazioni dei giornali del Quebec e di tutto il Canada. Durante l’estate abbiamo scoperto che molti amici di Gs, del Clu e della Fraternità avevano mandato interventi alla Commissione. Qualcuno lo aveva fatto come singolo, altri come coppia o insieme ad amici: un professore della McGill University ha convinto oltre cinquanta colleghi a firmare insieme a lui una lettera. Una coppia di oncologi ha invitato oltre 25 colleghi a firmare il loro appello. La Commissione ha invitato alcuni rappresentanti dei firmatari a parlare alle audizioni.
Forse l’aspetto che ha fatto più clamore degli interventi dei nostri amici alle audizioni è stato il modo con cui si sono posti. Hanno portato un fiume di testimonianze - in particolare di medici - che portava la propria esperienza di fronte alla vita e alla morte. Come ha detto Marc Beauchamp, chirurgo ortopedico, «non crediamo che l’eutanasia sia necessaria per creare un contesto che valorizzi la persona e le sue scelte. Il contesto è quello in cui noi offriamo attenzione alla persona che ha un valore infinito».
Tra le due parti in campo i termini usati - autonomia, libertà, diritti, cura - erano gli stessi, ma con significati diversi. I nostri amici sottolineavano la necessità, per i medici, di essere pronti ad accompagnare i malati in un momento di estrema vulnerabilità. La dottoressa Girouard ha raccontato di un collega che le aveva confessato di non essere capace di guardare in faccia un paziente e dirgli che aveva un tumore. Ha affermato che un paziente sofferente ha bisogno di medici e amici che non rinuncino a dargli sostegno. O Laurence, uno studente di Medicina del Clu, che ha detto: «Ciò di cui ha veramente bisogno una persona che ha davanti a sé la fine della vita è di essere accompagnato in una maniera umana». Quando al dottor Nicholas Newman dell’Hôtel-Dieu è stato chiesto cosa avrebbe fatto se un malato avesse espresso la volontà di morire, ha raccontato di una donna che aveva contribuito a salvare dopo un tentato suicidio. L’aveva rivista venticinque anni dopo, e quando le aveva chiesto se fosse felice di essere viva, lei aveva risposto di sì.
Nonostante questi fatti, le probabilità erano e restano pesantemente a favore dell’introduzione dell’eutanasia in Quebec. Tuttavia eravamo consapevoli di partire da una vittoria: l’incontro che ognuno di noi ha fatto con una umanità nuova, quella di Cristo.
E questa nuova umanità non è passata inosservata. Uno dei commissari alla fine della prima settimana di audizioni si è congratulato con Maximilian, Laurence e Marc, tre studenti del Clu, dicendo come era positivo vedere in quella occasione degli studenti. Sapeva che avevano una posizione diversa dalla sua. Un signore è andato dal dottor Beauchamp che aveva appena terminato il suo intervento e ha detto di essere arrivato all’audizione favorevole all’eutanasia, perché aveva visto sua madre soffrire per dieci anni prima di morire, ma ciò che aveva visto e ascoltato gli aveva fatto cambiare posizione. O ancora, Laureen Pindera giornalista di una rete televisiva canadese commentava le audizioni in un programma del mattino: «Dopo aver ascoltato Caroline e Mark Basik (medico del Jewish General Hospital), e qualcuno degli altri dottori, se mai mi capitasse di avere un tumore, so bene da quali medici vorrei andare; queste sono persone che parlano non semplicemente di che trattamenti fare ai loro pazienti, ma di come accompagnarli nel loro cammino di sofferenza, sostanzialmente di come amarli…».
In un clima nel quale, per parafrasare la giornalista di Montreal Denise Bombardier, si parla di eutanasia nella stessa maniera con cui parliamo del riciclo dei rifiuti o della costruzione di piste ciclabili in città, è facile dire che non c’è alternativa a questo modo inumano di guardare la vita e la morte, a questa desolazione che ci circonda. Tuttavia, la nostra esperienza nella prima settimana delle audizioni della Commissione ci ha mostrato che è sempre possibile ripartire e comunicare agli altri quello che abbiamo incontrato. Eliot ci ricorda che «l’uomo che è adombrerà l’uomo che pretende di essere». L’uomo non può trovare la speranza in una ideologia o in una teoria ma solo in una presenza reale. La nostra responsabilità non è quella di inventare progetti ideali di cambiamento del mondo, ma di perpetuare lo stupore davanti al fatto che ha salvato la nostra vita e invitare gli altri a condividerlo con noi. Questa è l’unica grande speranza per una società smarrita.