Il carcere di Piazza Lanza a Catania.

Nel carcere, come a Betlemme duemila anni fa

Attori per un giorno in un teatro speciale: la prigione di Catania. Alfio, Salvatore, Aneta e altri detenuti nei panni dei protagonisti della tragedia di Sartre "Bariona o il figlio del tuono". Per uno spettacolo che «è una vittoria»
Giuseppe Di Fazio

Alfio, Davide, Gianluca, Aneta, Salvatore, Mirko, Giovanni e Francesco attori per un giorno, in un teatro d’eccezione: il carcere di Piazza Lanza a Catania. Le repliche si susseguono, per permettere a tutti i reclusi di poter assistere. Fino all’ultima, la più toccante, quella realizzata in parlatorio e destinata ai familiari degli attori. Questi, in carcere ci vivono. Alcuni in attesa della prima sentenza, altri dell'appello. Il testo rappresentato è un'opera teatrale poco conosciuta di Jean-Paul Sartre: Bariona o il figlio del tuono, che l'intellettuale francese scrisse, e rappresentò, nel 1940 per i suoi compagni di prigionia a Treviri. Il tema è la possibilità della speranza nella condizione della sottomissione a un potere straniero, ma anche nella condizione del carcere paradigma della vita.

Il racconto di Sartre è ambientato in Giudea, sotto l'oppressione romana, al tempo della nascita di Gesù. Il protagonista, Bariona, è un capo villaggio ribelle e disperato, che riconoscendo l'impossibilità del suo popolo di contrapporsi all'Impero, indica una estrema forma di resistenza: non fare più figli, così si assottiglierà sempre più il numero di quanti pagheranno le tasse. Il Bariona della rappresentazione di Piazza Lanza è Salvatore, detenuto con una condanna pesante, ma che nel carcere paradossalmente ha ritrovato speranza: ha cominciato a studiare, a usare il computer, a riprendere consapevolezza della propria dignità. Salvatore s'immedesima nel personaggio, perché, in fondo, Bariona è un leader che ha anche un cuore. Può vivere a Betlemme, come a Paternò. Può ordinare di non far nascere più figli, ma la scelta diventa per lui drammatica quando scopre che sua moglie è incinta. E, ancor di più, quando vede il Bambino Gesù nella grotta di Betlemme.

I vari quadri del dramma di Sartre sono accompagnati, nella rappresentazione messa in scena a Piazza Lanza, da canti in siciliano della novena di Natale. «Ni mancaunu palazzi/ pi lu re di la natura» cantano gli attori: «E nasciu 'nta li strapazzi/ di na povera manciatura. / 'Nti dda povira manciatura/ parturiu la gran Signura/ 'mmenzu u voi e l'asineddu / fici a Gesu Bammineddu».

Nel ruolo di Sara, moglie di Bariona, recita una eccellente Aneta, polacca. Che, nell'ultima parte del racconto, dà voce in maniera commovente anche alla Vergine Maria: «Questo è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e la forma della bocca è la mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia». Di fronte al Bambino, Bariona-Salvatore si commuove e s'inginocchia. E la sua disperata ribellione si traduce in speranza. «Lloria, lloria a Diu ch'è natu, lu Bambinu disidiratu», cantano gli attori in conclusione e il pubblico, fatto in gran parte da detenuti, s'accoda.

Alla fine un grande applauso saluta gli attori e il gruppo dei volontari che ha permesso la rappresentazione. Il regista è Alfio Pennisi, preside del liceo "Spedalieri" a Catania, i chitarristi e tecnici del suono sono due studenti universitari Pietro Cagni e PaoloTorrisi. Nello spazio temporale tra una rappresentazione e l'altra abbiamo l'opportunità di conversare con la direttrice dell'istituto, la dottoressa Elisabetta Zito e con il comandante della polizia penitenziaria, Salvatore Tramontana. E di visitare il carcere, conosciuto negli anni passati come una delle "vergogne d’Italia". I numeri fotografano da soli una novità: a fine 2011 i detenuti presenti erano quasi 600 a fronte di una capienza regolamentare di 155. Oggi i detenuti sono 460, con una capienza di 300. Da 10-12 reclusi per cella, di due anni fa, oggi ne troviamo 6-7. Resta aperto il problema della carenza del personale di polizia penitenziaria, che avrebbe bisogno di altri 180 agenti. Ma, oltre ai numeri, è cambiato il clima dentro il carcere. Grazie a tanti volontari (fra di loro insegnanti, ingegneri, dirigenti scolastici, universitari), al lavoro assiduo del cappellano don Francesco Ventorino, alle iniziative del Centro Astalli, che gestisce la biblioteca e un Banco Vestiario, e all'attività encomiabile scolastica istituzionale. Il tutto, in una sinergia, che è difficile riscontrare altrove.

Il cambiamento di Bariona non tocca solo il personaggio di Sartre, si incarna anche nelle storie concrete di Alfio, Davide, Gianluca, Aneta, Salvatore, Mirko, Giovanni e Francesco attori per un giorno, in un teatro d'eccezione, e di tanti loro compagni di pena. «Per noi», ci dice congedandoci la direttrice Zito: «Poter recuperare alla speranza e a una vita futura dignitosa anche un solo detenuto è sempre una vittoria».

(La Sicilia, 4 gennaio)