Il parlamento italiano.

Dopo il referendum: e il bene comune?

Il desiderio di rivalsa di chi ha perso, la scomparsa di un progetto di riforma costituzionale, un paese stanco del clima politico. A due settimane dalle votazioni, una domanda: da dove partire per ricomporre un quadro così confuso?
Giorgio Vittadini

A due settimane dal referendum, che significato può avere ancora l'idea di una società che condivide insieme progetti, vita e aspirazioni di sviluppo? Si può dire che il desiderio di un bene comune abbia ancora un valore concreto e operativo? Per comprenderlo basta porre una semplice domanda a chi ha vinto: in che modo adesso la vostra vittoria può costruire il bene comune? Quali prospettive si aprono rispetto a una crisi economica e finanziaria epocale, agli impegni europei e internazionali, alla tragedia del terremoto che ha colpito il centro Italia? La sensazione è che si avverta un grande disagio e un grande vuoto.

Non c'è un "piano B", non c'è più un progetto di riforma costituzionale (letteralmente scomparso), non c'è nemmeno un'alternativa rispetto al futuro dell'Italia. C'è piuttosto una sensazione desolante pensando alla processione dei 17 gruppi parlamentari minori e dei 4 maggiori nel rito delle consultazioni per la formazione del nuovo governo. E un Parlamento semivuoto in occasione della fiducia al governo. Alla mancanza di prospettiva dei vincitori si contrappone un desiderio ottuso di rivincita di chi ha perso il referendum, noncurante del bisogno di rinnovamento e sviluppo che ha il Paese. Tutti quanti poi sembrano attratti da elezioni viste come l'ultima sfida all'OK Corral, il decisivo regolamento di conti. Ma nella realtà c'è un intero Paese che fa capire chiaramente di non poter più sopportare un simile clima politico. Persino commentatori ed editorialisti "famosi" sono usciti dal loro mondo immaginario e sembrano comprendere il dramma di questa divisione violenta. Da che punto ricomporre un quadro sociale e politico così confuso e concitato? Come tentare di ricostruire? È ora di rendersi conto del fallimento di quella scelta fatta venticinque anni fa, per superare una Prima Repubblica raffigurata come tutta basata sul teorema della corruzione. Fatto che fu accertato, per altro, solo in alcuni casi.

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