La crisi argentina.

L'eredità della crisi

Nuovo “tango monetario”, l'economia è al collasso e torna l'incubo del 2001. Ma perché il Paese passa dal “miracolo” al rischio default? Breve storia di un popolo tra grande resistenza e fallimenti ciclici. Che «non diventano insegnamento»
Horacio Morel

Come si spiega che un Paese di quasi tre milioni di chilometri quadrati, enormemente ricco di risorse naturali, con appena 40 milioni di abitanti, passi ciclicamente da un fallimento ad un altro, attraversando “primavere” e “miracoli” che poi si rivelano tutt’altra cosa?
L’Argentina è tornata ad occupare le prime pagine dei giornali del mondo a causa di una nuova, incipiente crisi economica. Negozi saccheggiati, ostacoli all’attività privata, blocchi alla compravendita di valute straniere, restrizioni alle importazioni, svalutazione del peso, inflazione, perdita di riserve monetarie e un diffuso e giustificato timore che ritorni il tempo della recessione, della disoccupazione e del default. Sono i fatti che oggi segnano la vita argentina, dopo la sconfitta delle forze di Governo alle elezioni legislative di ottobre. Questo risultato elettorale indica che è iniziata la fine dell’epoca dei Kirchner (i coniugi alla guida dell’Argentina da oltre dieci anni), senza tuttavia che si distinguano chiaramente i protagonisti e le proposte di un cambio di rotta politico per il 2015.

In confessionale. «Un malessere generalizzato. Aggravato dal deterioramento della vita sociale e dall’assenza di proposte educative». È quello che avverte tra la sua gente padre Enrique Serra, parroco in un quartiere della classe media di Buenos Aires: «Dalle privazioni economiche dovute all’inflazione, alla paura per l’aumento della violenza urbana, fino allo scontento per l’indifferenza di politici, sindacalisti e imprenditori agli interessi del popolo. È una società civile stanca di vivere solo “resistendo” alla crisi. E che rischia di non avere più il coraggio di pensare ad un futuro migliore». La crisi è dovuta a cause politiche e culturali, più che strettamente economiche. La prima è l’incapacità di imparare dalla storia, dalle cicliche crisi che scuotono la quotidianità. «Il problema dell’Argentina è che la nostra superficialità di fronte ai doni ricevuti e davanti alla domanda che la crisi pone, non “affonda” mai. Si tende ad andare avanti in modo ripetitivo, senza progredire», dice Aníbal Fornari, docente di Antropologia religiosa e responsabile nazionale di Cl. Proprio come sostiene Santiago Kovadloff, noto filosofo e saggista: «Quella argentina è una società in cui l’esperienza non arriva a diventare insegnamento». Queste parole ci forniscono un primo indizio, che richiede un esercizio di memoria.

Dal punto di vista politico, il peronismo è stato senza dubbio il fenomeno più determinante della storia argentina. Prima era un Paese ricco, ma profondamente squilibrato. L’irruzione sulla scena nazionale di Juan Domingo Perón, nel 1945, significò il riconoscimento dei diritti della classe dei lavoratori, fino ad allora quasi inesistenti, e delle donne, escluse dalla vita civica. Diede luogo ad un processo industriale e diede potere ai sindacati professionali che sono diventati uno dei principali protagonisti della vita economica. Ma consacrò anche il modello assistenzialista, populista, statalista e dirigista che avrà profonde e nefaste conseguenze dal punto di vista culturale. Dopo il colpo di Stato che lo rovesciò, nel 1955, si alternarono deboli Governi democratici e rivoluzioni militari: trent’anni di instabilità istituzionale che sfociarono in una sanguinosa dittatura militare.
La restaurazione democratica del 1983 ha fatto tornare il Paese ad una normalità istituzionale sempre precaria che - con qualche turbolenza, ma con una ferma convinzione di popolo della sua irreversibilità - si mantiene ancora oggi. Tutti i progetti economici portati avanti da parte dei Governi democratici, da allora ad oggi, hanno avuto un rapido successo, che induce economisti e giornalisti a parlare del nuovo “miracolo argentino”. Ma poi falliscono improvvisamente, mettendo in scacco la governabilità stessa e provocando spesso la caduta anticipata del Governo.

Fattore "K". Che cosa sta succedendo oggi? In seguito alla profonda crisi del 2001-2002, quando l’Argentina sospese i pagamenti dopo che il presidente Fernando de la Rúa dovette lasciare il potere a diversi Governi provvisori, voluti non dal popolo ma dal Congresso, nel 2003 fu eletto Néstor Kirchner, morto nel 2010. Il “miracolo” non fu che una serie di circostanze globali straordinariamente favorevoli, unite a poche decisioni indovinate in campo economico e, fondamentalmente, alla volontà di una parte del popolo argentino di persistere nello sforzo. Il prezzo della soia (l’Argentina ne è il terzo produttore mondiale) ha raggiunto valori record. Il Governo ha svalutato il peso, ha ricreato un’attività industriale che si era ridotta a valori quasi nulli, e ha ristrutturato il debito pubblico con grande successo. Risultato: riapertura delle fabbriche, creazione di nuovi posti di lavoro, ritorno della liquidità e con essa il risparmio e il consumo. Così Kirchner ha consolidato il suo potere e ha fatto sì che la moglie, Cristina Fernández, fosse eletta nel 2007 per succedergli (è stata poi rieletta nel 2011).
Ma il kirchnerismo non è riuscito a non subire il fascino del potere e ha commesso due peccati che sono causa della crisi attuale. Primo: le grandi somme entrate nei conti pubblici non sono state destinate in prima battuta alle improrogabili opere infrastrutturali, ma a sostenere un ben orchestrato regime di sussidi per cui migliaia e migliaia di “militanti popolari” vivono senza lavorare, con l’unico obbligo di assistere agli atti pubblici del Governo, oppure lavorano in aziende pubbliche con stipendi che difficilmente potrebbero ricevere nel settore privato. Secondo: ha creato uno stile di governo autoritario sull’impronta del Venezuela di Chávez, con cui vigila e controlla tutto e per cui qualsiasi oppositore è un nemico e un traditore della patria.

Il “vento in poppa” che ha spinto l’economia argentina ha smesso di soffiare con forza a partire dal 2008, e il dirottamento di risorse riversate anno dopo anno nell’apparato politico “K” ha fatto sì che le riserve monetarie - sulle quali anche il Governo ha messo mano modificando la Carta Costitutiva del Banco Central - siano diminuite considerevolmente, mettendo in guardia su un nuovo e possibile scenario di default. Il Governo cambia continuamente le regole del gioco e non offre garanzie giuridiche per gli investimenti, e in definitiva l’economia diventa stagnante; non aumentando la capacità produttiva cresce l’inflazione, aiutata anche dall’emissione di moneta con una riserva discutibile. Oggi il popolo assiste con preoccupazione ad un aumento esorbitante dei prezzi dei prodotti di base, ad un ritmo che si prevede del 35-40% annuale per quest’anno.

Si salvi chi può. «La realtà è sempre positiva, anche se a volte non si direbbe così al primo sguardo». Carlos Montaño è imprenditore, con tre amici gestisce una piccola-media impresa, che fa parte della rete della Compagnia delle Opere, e ogni giorno affronta le attuali difficoltà del mercato: «Quando parliamo con i nostri clienti, a volte percepiamo un’attitudine tipica dell’argentino, già tristemente abituato a sopportare questo genere di crisi cicliche: l’individualismo. Che spesso si riflette nella possibilità di approfittare dei più deboli e difendersi dai più forti, criticando il Governo ma senza essere disponibili ad iniziative comuni per far fronte alla situazione. Si rischia di cadere nella dinamica del “si salvi chi può”. Ma una compagnia di amici che vivono la sfida del “fare impresa” in questo contesto, rende possibile alzare lo sguardo, riconquistare le motivazioni che spingono a provarci ancora».

Nell’incertezza e nel timore per il futuro, c’è un segnale: papa Francesco, primo successore di Pietro nato in queste latitudini. Secondo padre Serra, la sua elezione ha avuto due effetti particolari: «Uno immediato, l’approvazione dell’opinione pubblica per cui il Papa ha un’autorità superiore a qualsiasi altro personaggio pubblico, politico o sportivo; uno profondo, dall’effetto prolungato - percepito da chi segue da vicino le sue parole, i suoi gesti e i suoi messaggi -, che implica una valutazione positiva dei suoi risultati politici (come nel caso della Siria), e dei suoi dialoghi mediatici (per esempio con Scalfari), in cui il Papa preferisce “fare un tratto di strada insieme” offrendo la sua esperienza personale piuttosto che cercare di sconfiggere dialetticamente gli interlocutori. È uno stile che polverizza molte resistenze, suscita il rispetto e favorisce l’ascolto di chi è abitualmente lontano o avverso al cristianesimo». La testimonianza di Bergoglio è un contributo al necessario cambiamento culturale di cui l’Argentina ha assoluto bisogno, perché la peggiore eredità del kirchnerismo non è la crisi economica, ma una società profondamente divisa, fratturata. Il Papa dimostra che quando i pregiudizi ideologici sono abbandonati, è possibile costruire insieme. Si tratta di qualcosa di profondo, di un cambio di mentalità, non semplicemente di un nuovo consenso politico. La rivalutazione dell’altro come punto d’inizio di una cultura dell’incontro.

I beni più preziosi. «In una realtà politico-sociale dove cresce la sfiducia, abbiamo bisogno di fatti che affermino che l’altro è un bene», osserva Fornari: «Un bene per il nostro cammino al Destino, che è innamorato della Sua creatura e ci tende la mano nella carezza delle circostanze. Così che quella carezza esca dal nostro cuore davanti a chi ci incontra». Crisi e fallimento sono parole che definiscono più la classe dirigente che l’insieme della società argentina. Non definiscono lo spirito di un popolo ancora giovane, che apprezza la vita, il lavoro, la famiglia e l’amicizia. Li considera i suoi beni più preziosi. Il passo che ora s’impone è che la società acquisisca una maggiore solidità. E superi la distanza che la separa dalla politica.