La consegna del "pacco".

BANCHI DI SOLIDARIETÀ Camionate di bene tra gente normale

Milano, sabato 7 novembre al Teatro Smeraldo. In assemblea, centinaia di volontari che ogni 15 giorni portano aiuti alle famiglie in difficoltà. Per raccontarsi come la carità cambia chi la riceve e chi la fa
Linda Stroppa

Quasi duemila posti quelli del Teatro Smeraldo di Milano. Il giorno e l’ora non sono propriamente da evento mondano: sabato mattina, 10.45. Ma la platea si riempie lo stesso. Giovani e meno giovani, famiglie, gruppi di amici... Il popolo dei Banchi di Solidarietà: fatto di volontari che animano la vita di oltre centocinquanta realtà sparse in tutta Italia e che sostengono 32mila famiglie in difficoltà. Gente che ha deciso di educarsi alla carità portando ogni quindici giorni sacchetto di alimenti (il “pacco”) direttamente a casa di chi chiede aiuto.
Sul palco, a introdurre l’assemblea, Andrea Franchi, presidente della Federazione nazionale dei Bds. Accanto a lui, don Eugenio Nembrini. A tema: cosa vuol dire fare esperienza nel gesto del portare un pacco.
«La sfida è che questo gesto diventi unito con la vita di tutti giorni. E il verificarne la convenienza umana del farlo in questo modo», dice Franchi.
Al microfono sul palco iniziano subito a susseguirsi gli interventi dei volontari. Barbara e Andrea, due ragazze di Carrara, entrambe alle prese con il loro primo pacco. Barbara dopo la prima volta si è accorta di essere lei stessa “bisognosa”. Andrea invece si sentiva inadeguata ad andare a visitare una signora sola, lei che aveva voglia di incontrare dei bambini per giocare con loro. E invece, dice Andrea, «è stata una Grazia quella di incontrarla. Tornata a casa mi sono rapportata coi miei in modo diverso raccontandogli cosa ho fatto, e li ho sentiti vicini in un modo nuovo, mai successo prima. Ed è stata anche la prima volta che mio padre non ha avuto da ridire che io stia con voi, anzi verrà anche alla cena che faremo insieme».
«Chi prende sul serio il mio, di bisogno?» risponde Nembrini: «Dalla scoperta di questo, da questa novità, inizia l’avventura umana. E uno inizia a crescere, e cambiano le cose che lo circondano. A partire dai rapporti con tuo padre che vedendoti cambia a sua volta».
Ma chi può prenderlo sul serio? «Cristo. Da quel sì detto a Lui, come per un effetto-domino in cui tu dai solo un colpetto iniziale, è la Sua presenza che si scatena»: lo racconta Alessandro, che a Bergamo ha messo in piedi il Banco dei giochi, che raccoglie giocattoli e li ridistribuisce. «Guardate, non è necessario aprire un banco per ogni bisogno», replica Nembrini: «Il problema sta nel muoversi come risposta a una pienezza di bene ricevuta su di sé. È una misura nuova, perché altrimenti uno può fare il bene più grande del mondo e rimanere triste perché non cambia nulla, né per sé né tanto meno per il mondo».
La storia di Antonella è pubblicata su Tracce di novembre. Lei dal pacco è stata letteralmente risollevata, dopo aver lasciato il marito violento ed essersi ritrovata sola e con due bambini da crescere. Ma poi ha incontrato il Banco... Don Eugenio ascolta e poi le dice: «Occorre uno che prenda a cuore il tuo bisogno. Non basta l’assistente sociale. Serve “la carezza del Nazareno”. Questo fa miracoli, tanto più ricevi tenerezza, tanto più sei in capace di darne. Per questo ora il pacco lo porti anche tu».
L’assemblea prosegue. Intervengono in tanti: dall’Emilia, da Agrigento, da Varese. Da Torino, come Marco: «Sono tre anni che partecipo a questa assemblea. Ma oggi sono io che al microfono racconto come sono cambiato». Una fede coltivata in parrocchia la sua, una famiglia da “mulino bianco” come dice lui stesso. Poi l’attività di volontariato: «All’inizio era chi aveva bisogno a venire da noi, al Banco. Si fermavano magari qualche minuto, e io mi sentivo di dover dire due parole di conforto, mentre consegnavo loro il cibo. Ma rimanevo inquieto, non bastava. Poi abbiamo iniziato ad andare noi nelle case, scoprendo che era più bello. Ma io ero ancora legato all’atteggiamento di chi deve risolvere un problema, come se il loro stare bene dipendesse da me». Ancora deluso, perché in fondo non riusciva a cambiare le cose. «Poi ho iniziato a capire. Non dovevo “vestirmi da volontario” una volta alla settimana, ma vivere questa dimensione caritatevole sempre, a casa, al lavoro... L’ho capito con una collega che aveva bisogno di parlare dei suoi problemi con qualcuno che la ascoltasse: che la guardasse senza la preoccupazione di dover dire qualcosa. Basta uno sguardo così, di uno che accoglie quello che sei. E questa coscienza non è un punto di arrivo, ma l’occasione di una ripartenza tutte le settimane, ogni volta che si va a portare il pacco».
«Noi non siamo in grado di vivere la carità», ha replicato Nembrini: «Al massimo possiamo essere oggetto di un amore straordinario. Come una luna che risplende di luce non sua, che riflette un’altra origine. Il segno di questo non è che sono lieto quando porto il pacco. Lo sono sempre, da quando mi alzo al mattino. E questa è l’unica cosa che cambia il mondo».
Proseguono ancora gli interventi. E sono talmente tante le testimonianze che è impossibile, per questioni di tempo, ascoltarle tutte. «“Camionate” di bene tra gente normale: questo vede chi vi guarda», conclude così l’assemblea don Eugenio: «Rispondere al bisogno non è una cosa eccezionale: fa parte della natura umana, è una necessità a sua volta. Se uno è uomo, la necessità di amare e di essere amato ce l’ha dentro. E tutto diventa tentativo di risposta. Ma non è detto che la risposta soddisfi. Anzi spesso spalanca ad altri bisogni: ne aiuti uno e ne arrivano 10, 100, 1.000. Che pretesa si può avere di aiutare tutti?». Ma allora qual è la differenza con quanto ascoltato? «La letizia, di cui abbiamo parlato e che mi affascina: è il segno che si sta davvero vivendo. Il secondo aspetto è la libertà. Il segno che il Mistero c’entra con quello che faccio è che sono libero: di rispondere sì o no, di stare o meno a quello che mi si para davanti. E questo sempre. Non solo in caritativa. Liberi anche dall’esito delle cose: perché in fondo siamo sempre tentati di pensare che l’incontro tra noi, il Mistero e l’altro dipenda sempre da qualcosa che facciamo. No, Lui fa come, dove e quando vuole. Il problema è commuoversi per questo. La Carità, l’opera salvifica di Cristo nel mondo, passa di qua. Roba dell’altro mondo».