La copertina del nuovo numero.

ATLANTIDE Crisi politica? «Aiutiamo quello che c'è a esistere di più»

È stato presentato a Roma il nuovo numero del periodico della Fondazione per la Sussidiarietà. Mentre si avvicina l'appuntamento con le elezioni, un contributo all'«impresa non facile» di governare l'Italia
Silvia Guidi

«Sull’Europa i nostri ragazzi non hanno le idee chiare, per loro “Ecofin” è un profumo ecologico, e qualcuno, rispondendo alla domanda del suo professore di religione, è arrivato a spiegare “eucarestia” come “grave penuria di cibo negli stati dell’Unione”». Renato Farina, con qualche esempio di fanta-etimologia in stile Io speriamo che me la cavo, cerca di strappare un sorriso alle facce attente e silenziose che affollano la Sala del Refettorio nella biblioteca della Camera dei Deputati a Palazzo San Macuto. L’argomento è serio, si tratta del “caso serio” del governare l’Italia. «Un’impresa non facile - spiega Beniamino Caravita, docente di Istituzioni di Diritto Pubblico all’Università La Sapienza durante la presentazione, lo scorso 20 gennaio, dell’ultimo numero di Atlantide, il periodico della Fondazione per la Sussidiarietà, - ma la drammatica complessità della nostra società, la difficoltà oggettiva di governare una moderna democrazia liberale, sociale, pluralista, di massa, inserita nei circuiti globali sovranazionali non dev’essere un alibi per accontentarsi di espedienti palliativi o scorciatoie che sostituiscono tecniche di governo sperimentate come efficaci».
La vicina scadenza elettorale, che nella prossima primavera chiamerà gli italiani a scegliere i propri governatori e consiglieri regionali, rende più urgente l’appello a non lasciarsi affascinare dal mito della leadership carismatica, o da scorciatoie facili ma pericolose come la creazione di un nemico per rafforzare la propria identità.
«La sussidiarietà rimarrà una prassi locale o riuscirà anche a dar forma alle esperienze nazionali di governo? – continua Caravita - È vero che impoverisce la politica, come si sente dire a volte in dibattiti e tavoli di discussione? Dall’esperienza risulta piuttosto il contrario: decongestiona il livelli decisionali centrali, chiedendo loro di concentrarsi sulle decisioni più importanti, quelle relative alla distribuzione delle risorse». Il tema dell’ultimo numero di Atlantide, “Da tanti, uno”, ricalca il motto della federazione degli Stati Uniti d’America, “E pluribus unum”; viene naturale il parallelo con l’Unione Europea, ma soprattutto con l’Italia, alla vigilia del 150esimo anniversario della sua nascita istituzionale. Su questo tema però «sorprende il tono scadente del dibattito sui giornali e sui media», rileva Antonio Polito, direttore de Il Riformista: «Non c’è, almeno per il momento, sforzo e slancio intellettuale. Si parla poco, si discute poco: è uno dei sintomi di una più generalizzata crisi nel sistema di produzione legislativa, provocata dallo svuotamento progressivo della democrazia parlamentare. Un fenomeno che non nasce adesso, ma riguarda anche le legislature precedenti». «In Europa siamo grandi distruggitori di patrie - chiosa Vittorio Emanuele Parsi, che insegna relazioni internazionali all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, toccando un tema approfondito spesso da Galli della Loggia sul Corriere della Sera - le patrie non si inventano a tavolino, non abbiamo bisogno di patrie di plastica o da slow food dell’anima; piuttosto dovremmo prendere spunto da un passo interessante della Costituzione giacobina, subito disatteso dagli stessi che l’avevano redatta, in cui al singolo si chiedeva di “ben meritare per la Repubblica” per ottenere la cittadinanza. Il dibattito sugli immigrati potrebbe diventare uno specchio in cui cerchiamo di visualizzare cosa significa per noi essere cittadini». «A 150 anni dall’unità d’Italia la domanda - ribatte Caravita - non è se siamo o non siamo un popolo ma: come si sta oggi dentro l’Europa? Analizzando campioni e “carotaggi” legislativi vediamo che le norme sono simili nelle leggi che riguardano i più importanti aspetti della vita». Tutti concordano su un punto: in quest’epoca confusa e postideologica serve realismo e partecipazione attiva alla vita sociale, ma come si individua e si mobilita il motore vero dell’impegno, a qualunque livello? «Il primo passo - ribadisce Alberto Savorana, responsabile Area editoriale Fondazione per la Sussidiarietà, moderando l’incontro - è aiutare quello che c’è a esistere di più, a dare il meglio di sé, a elaborare processi capaci di correggere la rotta strada facendo». Necessariamente il dibattito vira verso il grande tema dell’educazione: lo strumento più prezioso si rivela essere proprio quella “ragione allargata” di cui parla Benedetto XVI nei suoi frequenti suggerimenti di metodo al mondo contemporaneo, mentre il “nichilista gaio” profetizzato da Del Noce è il contrario del cittadino che vuole “ben meritare” per la Repubblica. Per i paradossi della storia, anche di quello sognato e teorizzato dai giacobini francesi.