Una scena dello spettacolo.

«In voi ho visto Dostoevskij vivo»

Una tra le più grandi esperte dello scrittore russo scrive agli studenti che l'hanno portato in tournée in Russia. E racconta cosa ha scoperto: «Siamo chiamati ad un cammino di santi, non solo di attori»
Tat'jana Kasatkina

Ho conosciuto i ragazzi che hanno messo in scena Delitto e castigo non sul palco. Alla scuola La Traccia di Calcinate, nella Bergamasca, in una meravigliosa serata di giugno, abbiamo parlato del romanzo con cui (o meglio in cui) la compagnia teatrale ha trascorso un anno. Un lungo cammino per imparare ciò che volevano rappresentare davanti a tutti. Ciò che è stato affidato a loro, perché fosse manifestato a tutti.
Quel giorno mi hanno mostrato un album di foto dello spettacolo. Davanti al volto di Raskol’nikov che strappava i veli - trasparenti ma resistenti - che in scena dividevano lo spazio della sua coscienza e lo distaccavano dalla realtà, ho capito che era uno spettacolo stupendo. E ho anche capito che non avrei mai scordato quel volto.
Perché non era il viso di un attore, ma di un protagonista. Di uno che ha finalmente osato far entrare in sé l’accecante luce del Vero. La luce che, sola, poteva farlo rinascere, ma che nello stesso istante lo distruggeva. Un volto di una fragilità assoluta e spontanea. Un volto che non si può recitare, ma solo vivere.
L’unica questione cui quella sera non ho potuto rispondere era: come Dostoevskij rappresenta l’anima dell’uomo russo? Davanti a quella foto è diventato chiaro: Dostoevskij rappresenta l’anima dell’uomo. Punto. Altrimenti, come avrebbe potuto questo giovane italiano accoglierla in sé? In Russia, per descrivere una persona capace di comprendere l’altro fino in fondo, intuendo le sfumature più impercettibili della sua anima, diciamo: «È entrato nella sua pelle». Nello spettacolo della Traccia è successo l’opposto: l’attore ha fatto entrare il personaggio nella propria pelle. Gli ha prestato il proprio corpo. Gli ha permesso di vivere in sé. Un rischio tremendo, un’esperienza vicina all’ossessione, la stessa esperienza che in passato allontanava gli attori dalla Chiesa. Al tempo stesso, però, questa è l’unica esperienza di santità. Un’esperienza di apertura, di comunione. Grazie alla quale il peccatore Raskol’nikov viene strappato agli abissi più terribili della sua caduta, per essere ospitato dentro di sé.
Percorrere con Raskol’nikov il cammino della sua caduta (rischiando ad ogni istante di perdersi con lui) e aiutarlo a ritrovare Cristo, anche solo ad iniziare a ritrovarlo, spalancandosi all’abbagliante e bruciante Vero, ecco: questo non è il cammino degli attori, ma dei santi. Se non scendiamo con l’altro nell’abisso, non possiamo tirarlo fuori da lì. È questo, per quanto ho potuto capire, il metodo di lavoro della compagnia teatrale La Traccia.