Farhad Bitani.

Farhad e il bianco in fondo al male

Figlio di un generale mujahiddin afghano, Bitani incontra i ragazzi dell'Istituto Bachelet. Un venerdì faccia a faccia coi ricordi della guerra, per scoprire che esiste qualcosa che fa breccia anche nel fondamentalismo
Gianni Mereghetti

Inizia con alcune foto dell’Afghanistan distrutto dalla guerra l’incontro che si è tenuto venerdì 8 aprile all’Istituto d’istruzione superiore Bachelet di Abbiategrasso. Un momento atteso da tempo, preparato fin da novembre dagli studenti e dalle studentesse della scuola. Un aiuto a capire meglio cosa che sta succedendo in Medioriente.

Nella sua vita Farhad Bitani, l'ospite di quel giorno, ha conosciuto solo violenza: ha convissuto con la guerra e la barbarie per tutta l’infanzia e l’adolescenza. È cresciuto imparando ad odiare l’Occidente, la terra degli infedeli, terminale di una violenza diffusa. Ha visto i talebani al potere e ha subito il condizionamento delle scuole coraniche, dove gli hanno insegnato, in una lingua che lui non conosceva, che uccidere un infedele è giusto e che solo così si acquista merito davanti ad Allah.

Poi ha raccontato di quando andava allo stadio per assistere alle lapidazioni delle adultere e di come, ad un certo punto, ha sentito che quella violenza non era giusta. Ha iniziato ad intravedere un puntino bianco in fondo a quel mondo cupo, orrido e chiuso. Il puntino bianco del cuore, una tensione verso il bene che lo caratterizza. Inizia a farsi domande. Lui, che vuole bene a sua madre, non può accettare che la donna sia considerata così negativamente nel Paese. È uno scarto di coscienza che lo ha portato a capire come tutti i fondamentalismi sottomettono la donna, perché è troppo importante per il bene della società. Anche per quel puntino bianco da cui dipende la sua umanità.

«Noi eravamo convinti», dice Bitani raccontando della sua famiglia e dei suoi amici, «che essendo dei mujahiddin ci fosse permesso tutto. Io conosco il fondamentalismo, conosco l'odio che porta e diffonde, perché sono nato nel fondamentalismo». La sua accusa è forte e chiara: «Chi vive nel fondamentalismo non ha più identità».

Nel 2001, la Nato ha attaccato i talebani alleandosi con i mujahiddin e aiutandoli a costruire una falsa democrazia, che ha semplicemente arricchito altri fondamentalisti, responsabili di tante morti. Nel 2004 il padre di Farhad, uno dei generali dei mujahiddin ora al potere, viene trasferito in Italia. Bitani arriva a Fiumicino con l’idea che sono tutti infedeli. Poi vede gesti di umanità semplici come quello di una donna che lo aiuta perché sta piangendo o come quando viene ospitato da una famiglia di cristiani che rispettano la sua religione e lui per quello che è.

Questi gesti semplici lo portano a leggere direttamente il Corano, senza intermediari, e comincia a capire che vi sono scritte anche parole di pace e non la violenza in cui era cresciuto. «Il problema dell’Islam è che non ha un riferimento, un’autorità che dica cosa insegna per l’oggi Maometto». Cominciando a conoscere chi incontra, non guardandoli più come infedeli Farhad si accorge che la diversità è un bene, che grazie all'altro capisce di più la sua identità. Ogni persona nuova che incontra lo arricchisce, non è più un nemico o un infedele, ma un uomo come lui. È la commovente testimonianza di un cambiamento, che non viene dalle idee, ma da un’esperienza concreta, quella del cuore. Proprio questo colpisce gli studenti in sala, perché un cambiamento dall’odio all’amore è una possibilità per tutti, basta usare lo sguardo. E il cuore. «Io sono cambiato per dei piccoli gesti. E voglio testimoniarlo a tutti».

Dare importanza all’umano, questo è il messaggio che racchiude il libro che Farhad ha scritto, L’ultimo lenzuolo bianco, una testimonianza di questa sua certezza, che l’umano vince e cambia la vita. C’è tempo per le domande dei ragazzi. Farhad risponde a tutte, precisando che «è la testimonianza, e non la politica, a cambiare il mondo». «I problemi del mondo si risolvono quando si guarda e si costruisce l'uomo», continua. Per questo il vero e unico antidoto al terrorismo è l'educazione. Al posto dell’odio, riportiamo l’uomo alla sua vera natura, all’amore.

L'ultima domanda della giornata è molto delicata, e impegnativa: una ragazza chiede perché l'Italia non sia ancora stata colpita dal terrorismo. La risposta è una sfida di alto livello culturale: «Perché in Italia c'è ancora una identità, e questo che ci difende dal terrorismo. Il fondamentalismo attecchisce dove è smarrita l'identità». Finisce l'incontro, i ragazzi erano partiti con la domanda di capire e ora si ritrovano con un compito: rimanere attaccati alla propria identità, educarla e farla crescere. Perché, mentre dal fondamentalismo viene solo odio, qui, in Occidente, siamo cresciuti con uno sguardo d'amore che può salvare tutto il mondo.

Ci sarebbero ancora tante domande da fare e lo testimonia il fatto che i ragazzi e le ragazze non se ne vogliono andare e, pur essendo già suonata la campanella, assediano Farhad facendogli domande su domande. È il segno che è sempre la testimonianza ad aprire una breccia nel cuore. Il suo cambiamento grazie a quei gesti di umanità semplice accade anche oggi agli studenti che lo hanno ascoltato, questo è certo, cosa ne seguirà dipende, ora, da loro.