Il Concorsone e l'entusiasmo di un "giovane"

Domani viene pubblicato il bando per l'assunzione di nuovi professori. Tanti vogliono "entrare nello Stato", sfidando burocrazia e difficoltà. Ma lo stupore di un'alunna alla prima ora di Liceo vale più dell'illusione del posto fisso
Daniele Ferrari

Concorsone. Sembra proprio che ci siamo. Mi sento tornato indietro di 10 anni, quando, appena laureato, con un grande desiderio di capire cosa fosse la scuola, cosa volesse dire insegnare, pronto a giocare tutte le mie carte, mi accingevo a iscrivermi al test della Silsis (è giusto: in Statale era Silsis, in Cattolica Ssis).
E in effetti, da un certo punto di vista, 10 anni non sembrano affatto passati: il centotrentunesimo posto che occupo nelle nelle graduatorie ad esaurimento resta lì, fermo, solido, inamovibile, eterno, a ricordarmi che forse, se voglio «entrare nello Stato» (così si dice, ma mi accorgo ora che l'espressione è curiosa) il "Concorsone" è la mia unica chance. Sì, perché considerato che dopo sette anni di servizio occupo la suddetta posizione, e che, quest'anno, per la mia classe, nella mia provincia, ne hanno chiamati due, ora che arriva il mio posto mi sono più che esaurito.

E così, domani, capiremo. Capiremo quanti posti per graduatoria saranno disponibili in ogni provincia; capiremo davvero come saranno strutturati i test; capiremo se i criteri con cui verranno valutate le prove saranno veramente meritocratici o ancora legati all'anzianità. E in effetti molti hanno sollevato dubbi sul fatto che questo concorso possa davvero permettere a noi giovani di entrare nella scuola.
Noi giovani?
In realtà questo ultimo punto mi mette un po' in crisi. Ma io, alla fine, posso ancora considerarmi un giovane insegnante? A star dietro ai dibattiti su Tfa, precariato, rinnovamento della scuola, ho quasi avuto una crisi di identità: ho quasi 35 anni, mi sono laureato quasi 10 anni fa, "sissato" da quasi 7, sposato da quasi 4, con un figlio; ho trovato lavoro come insegnate in una scuola paritaria quasi da quando mi sono laureato, e mi sono quasi iscritto al Concorsone. Decisamente troppi "quasi" per provare a capire se devo considerarmi a tutti gli effetti un giovane - di quelli che possono svecchiare la scuola per i loro meriti -, o uno di quei vecchi "precari" che attendono, agguerriti in coda, il posto garantito dallo Stato e a volte (diciamocelo) hanno un po’ l’idea che «Il posto-è-un-mio-diritto-guai-chi-me-lo-tocca-con-tutti i sacrifici-che-ho-fatto ecc.»; in ogni caso il concorso fa gola a tutti, anche a me.
In aula professori, qualche volta, tra un caffè e una riunione di area, ho sentito dei racconti fatti da docenti più vecchi: l'ultima tornata di questo tipo di concorso era il 1999, un'era fa. In effetti questi loro racconti assumono i contorni mitici e anche un po' fantastici di chi sembra tornato dall'isola che non c'è.

Così, devo dire la verità, mi accorgo ora che l'entusiasmo che mi trovo addosso in questi giorni di inizio scuola non ha molto a che fare con l'incognita del Concorsone. Certo, mi iscriverò, studierò quanto potrò per passarlo, magari anche copierò (no, forse questo non dovrei dirlo) e magari lo passerò! (e chi lo rifiuta un posto nello Stato? - qualcuno dei miei colleghi, in realtà, l'ha fatto, ma quando l'ho raccontato in Provveditorato nessuno mi ha creduto…). Ma oggi che scrivo, ho ancora nella mente le parole di una ragazza di prima liceo, la quale, quando ho chiesto a tutti di provare a riassumere in una frase la mia lezione introduttiva sul liceo artistico, ha scritto: «L'uomo è stato creato per ammirare e volere ciò che è bello». Oppure lo stupore di una delle sorveglianti in un padiglione della Biennale di architettura di Venezia (da cui sto tornando in pullman con la mia scuola) che, mentre alcuni dei nostri studenti erano intenti a fotografare, rappresentare sul blocco degli schizzi, filmare il contenuto del suo padiglione, mi ha detto, con gli occhi sgranati: «Ma questi ragazzi sono interessati! Spesso i ragazzi vengono lasciati qui dai docenti e spaccano tutto, fanno confusione; invece si vede che questi ragazzi hanno voglia di capire! Guardi professore, vi regalo il catalogo: a voi serve!». O forse ancora, saranno state le accorate e fiduciose parole del giapponese Hatakeyama, nelle cui drammatiche foto ho visto ciò che resta del suo Paese dopo lo tsunami che ha devastato il Nord del Giappone l'anno scorso: «Realtà è qualcosa che ti segna per sempre, non è solo qualcosa che riguarda il presente. Un incontro altera il corso della tua vita e tu devi girarti in una direzione opposta: è così che le cose diventano reali per te. Ho cercato di incorporare questo nuovo senso della realtà nell'arte». Forse è questo inizio così carico di promesse ad entusiasmarmi. E ben venga. Magari mi aiuta a passare il Concorsone.