La mostra su Madre Teresa presentata a Pristina.

Da Lecco al Kosovo per sapere «a chi appartengo»

Da una scuola lombarda una mostra sui cristiani perseguitati gira tra classi e oratori: Milano, Genova, Napoli... e persino Pristina. Dove «l'intelligenza nuova» di cinque ragazzi italiani produce frutti tra i Balcani
Linda Stroppa

Massimiliano non si sarebbe mai aspettato che per una chiacchierata con il suo prof in un liceo di Lecco, sarebbe finito in Kosovo. Né che l’interesse nato quasi per caso, leggendo un articolo di giornale sulla storia di Asia Bibi (la donna pakistana condannata a morte per una legge sulla blasfemia; ndr), arrivasse a contagiare altri ragazzi.
«Volevamo sapere cosa accade nel mondo e capire perché uomini come Shahbaz Bhatti (il ministro pakistano ucciso a marzo da alcuni fondamentalisti; ndr) non si sono sentiti definiti dalla durezza delle circostanze. Il resto è venuto da sé».
Dalla mostra “Il loro nome è la loro fede” (leggi qui), allestita dai ragazzi del Liceo Leopardi di Lecco, nasce un ciclo di incontri in scuole, oratori e comuni. Massimiliano porta la mostra a Colico, paese vicino a Lecco dove abita. «Ero preoccupato: chissà se alla gente interessa? Mi chiedevo. E davanti ai miei ex compagni delle medie che erano venuti in oratorio per ascoltare la mia spiegazione, avevo quasi paura di dire tutto. Quando ho iniziato a parlare, però, ho capito che quello che raccontavo era più grande di tutto e non potevo tenerlo per me». I ragazzi dell'oratorio di Colico ascoltano in silenzio per un’ora e mezza, poi, terminata la spiegazione si avvicinano: «Nessuno ci aveva mai detto niente. Grazie, perché ora sappiamo». Una passione per le cose che colpisce e non lascia indifferenti. A Lecco, come a Milano, altra tappa della mostra.
«Gli studenti del liceo Carducci ci avevano invitato a presentare il nostro lavoro, ma nella loro scuola non è stato possibile esporre la mostra», spiega Lorenzo, quinta liceo al Leopardi. Ma i ragazzi del Carducci non si fermano: stampano un piccolo catalogo, con articoli, foto e interviste da regalare ai compagni, perché nessuno si perda il meglio. «La loro iniziativa mi ha colpito», dice Lorenzo. «Ho visto i miei coetanei muoversi con un'intelligenza nuova: avevano a cuore che i loro compagni sapessero e hanno cercato di rispondere a quell’urgenza». Un episodio che resta nel cuore e riaccade. A Milano, a Napoli, Genova, fino in Kosovo.
Quando il preside del Leopardi invita i suoi studenti a portare la mostra a Pristina, per spiegarla ai ragazzi kosovari conosciuti durante una vacanza invernale, la decisione è subito presa. Il 15 aprile si parte. Cinque ragazzi del liceo di Lecco e Jozsefina, un'amica kosovara immigrata in Italia, incuriosita dall'esperienza di Gioventù studentesca.
A Pristina li aspettano in trenta. I kosovari hanno invitato compagni e professori per una tre giorni che commuove: si visita la città, si canta, si mangia insieme. Qualcuno arranca un po’ con l’inglese, e per fortuna c’è Jozsefina che traduce. Ma anche se non si dice tutto, l’essenziale si capisce. L’ultima sera, quando a tavola, si cercano degli aggettivi per descrivere quelle giornate e i kosovari chiedono a Jozsefina di tradurre in italiano tre superlativi.
«Vedendoli così contenti, il nostro preside li ha sfidati: perché non fate una mostra anche qui?» I ragazzi non hanno un attimo di esitazione, non hanno nemmeno bisogno di parlare tra di loro. Accettano subito e tutti con la stessa idea: «Raccontiamo la storia di Madre Teresa!». Detto fatto, in un mese sono pronti i pannelli che parlano della piccola suora di Calcutta, tanto cara al popolo dei Balcani per le sue origini albanesi. «Per realizzarli, hanno seguito in tutto e per tutto il nostro lavoro, fino ai dettagli dell’impostazione grafica», racconta Massimiliano. «Hanno visto una cosa bella e sono rimasti attaccati. In quei tre giorni ho capito che cosa rende possibile sentirsi amici di ragazzi mai visti prima, di Asia Bibi, di Shahbaz Bhatti. C’è un punto che unisce: in Kosovo ho scoperto che solo la Chiesa spazza via ogni distanza. E ora so a chi appartengo».