L'arazzo della canonizzazione di José Sánchez del Río.

«Muoio contento, ci vedremo in Paradiso»

Domenica 16 ottobre, papa Francesco canonizza sette beati, tra cui il “Cura” José Gabriel Brochero e il "cristero" José Sanchez del Rio, martire a 14 anni. La storia di quest'ultimo, nel racconto del Postulatore della Causa
Fidel González Fernández*

Domenica 16 ottobre, papa Francesco proclamerà sette nuovi santi. Oltre a Salomone Leclerq, Manuel González García, Alfonso Maria Fusco, Lodovico Pavoni e Elisabetta "della Santissima Trinità" Catez, saranno elevati agli onori degli altari anche l'argentino José Gabriel del Rosario Brochero, detto il "Cura", molto caro al Pontefice - durante la sua beatificazione, Bergoglio lo descrisse come «un pastore con l’odore delle pecore», un prete vicino agli ultimi - e José Sánchez del Río, giovane "cristero" messicano, martirizzato a soli quattordici anni. Qui, la storia di quest'ultimo.

Il martire José Sánchez del Río è nato a Sahuayo (Messico) il 28 marzo 1913. È stato battezzato nella parrocchia di San Giacomo Apostolo, lo stesso luogo del suo martirio. Era il sesto di sette fratelli, in una famiglia di agricoltori che economicamente stava bene, conosciuta anche per la sua solida fede cristiana.

Durante i tempi convulsi della guerra civile messicana (1910-1930), Sahuayo era una cittadina martoriata, spesso preda di saccheggi da parte delle bande rivoluzionarie, motivo per cui la famiglia Sánchez del Río cercò rifugio a Guadalajara; qui José visitò la tomba del giovane Anacleto González Flores, crudelmente martirizzato il 1° aprile 1927 (proclamato beato nel 2005 assieme ad altri otto giovani laici, fra i quali José stesso). Il ragazzo, allora, chiese a Dio di poter morire come Anacleto in difesa della fede cattolica. Otterrà questa grazia quasi un anno dopo, il 10 febbraio 1928. Si era appena unito ai cristeros, movimento cattolico e dissidente messicano, servendo come portabandiera, senza però prendere parte ai conflitti armati, quando cadde prigioniero dalle truppe governative: aveva ceduto il suo cavallo ad uno dei responsabili dei cristeros, perché potesse fuggire. E José era perfettamente consapevole che ciò avrebbe significato una morte atroce.

Fra coloro che si erano uniti al movimento cristero c'erano anche i due fratelli più grandi di José, membri della Azione cattolica della gioventù messicana e della Lega di difesa della libertà religiosa. I testimoni del suo processo di beatificazione ricordano il giovane come un ragazzo sano e gioviale, che si distingueva per il suo impegno nelle difficili attività parrocchiali, vietate in quei tempi di persecuzioni. Si avvicinava ai sacramenti, quando poteva, perché anche il culto pubblico era proibito, mettendo a repentaglio la sua vita. Da dove prese quella forza questo ragazzo innocente? La decisione di unirsi ai cristeros sorse durante la visita-pellegrinaggio alla tomba di Anacleto.

Le famiglie cattoliche appoggiavano i cristeros in mille modi; i sacerdoti si nascondevano, per evitare la cattura e la fucilazione, ma rimasero a Sahuayo durante tutta la persecuzione. In quegli anni, spesso, si parlava fra di loro dei primi martiri cristiani e molti giovani erano desiderosi di seguire le loro tracce. Il loro esempio rafforzò ancora di più in José il desiderio di donare la propria vita a Cristo. La sua risoluzione divenne così forte che i genitori, alla fine, gli diedero il consenso. Alle obiezioni della madre, il ragazzo rispondeva: «Mamma, mai è stato così facile come adesso andare in Paradiso». Nell'estate del 1927 riuscì a unirsi ai cristeros.

In un scontro armato con le truppe federali messicane, il 6 febbraio 1928, José lasciò il suo cavallo a uno dei responsabili per salvargli la vita. Cadde prigioniero assieme a un altro suo amico. Dal carcere, nella cittadina di Cotija, José poté mandare una lettera a sua madre: «Oggi sono stato catturato in combattimento. Credo che sto per morire, ma non importa, mamma. Rassegnati alla volontà di Dio; io muoio molto contento, perché muoio vicino a Nostro Signore. Non soffrire per la mia morte, ne sarei mortificato; piuttosto, dì agli altri miei fratelli che seguano l’esempio del più piccolo e tu fà la volontà di Dio. Mandami la tua benedizione con quella di papà. Ricevi il cuore di tuo figlio, che tanto ti ama e avrebbe voluto vederti prima di morire».

Portato a Sahuayo, venne rinchiuso nella chiesa parrocchiale, trasformata in prigione e stalla dalle truppe governative. Con lui, avevano imprigionato un suo compagno indigeno chiamato Lazaro. I soldati, fra altre profanazioni, avevano convertito il presbiterio in un pollaio per “galli da combattimento”. Di fronte a ciò, José reagì con forza ammazzando i galli, senza paura delle minacce di morte del capo militare locale, che tra l’altro era suo padrino di Prima Comunione. Il ragazzo, che si era distinto sempre per la sua devozione all’Eucaristia, rispose all'ufficiale: «La casa di Dio è per pregare, non una stalla di animali. Sono disposto a tutto. Puoi fucilarmi». Uno dei soldati lo colpì sulla bocca con il calcio del fucile, rompendogli i denti. Come vendetta, e in presenza di José, il suo compagno venne impiccato nella piazza davanti alla chiesa (fu, però, salvato dal becchino quando lo scoprì ancora in vita). Al ragazzo furono fatte diverse proposte, molto lusinghiere: iscriversi alla prestigiosa scuola militare del Regime o fuggire negli Stati Uniti, ma José le rifiutò con fermezza, dicendo che «la sua fede non era in vendita». Chiesero, allora, alla famiglia del ragazzo un riscatto di 5.000 pesos oro, che il papà di José riuscì a raccogliere e consegnare. Ma il persecutore si tenne i soldi e mandò a morte il ragazzo.

Il 10 febbraio 1928, lo trasferirono in una locanda vicina. Qui, i soldati gli scorticano i piedi con un coltello. «Al terzo giorno di prigionia, - dichiara un testimone - mi trovavo lì, detenuto, e sentivo José che diceva: “Cosa aspettate! Cosa aspettate!”. Non ascoltai i lamenti; sentivo solo la sua voce rassegnata». José aveva scritto una lettera a una zia, in cui le comunicava che sarebbe stato ucciso per la sua fedeltà a Cristo e chiedeva gli fosse portata la Comunione: «Sono stato condannato a morte. Alle otto e mezza arriverà il momento che tanto, tanto ho desiderato. Non me la sento di scrivere alla mia cara mamma. Salutami tutti e ricevi il cuore di tuo nipote che ti vuole molto bene. Cristo vive, Cristo regna, Cristo impera! Viva Cristo Re e Santa Maria di Guadalupe!».

Verso le undici di sera, con i piedi scorticati, lo fecero uscire dalla locanda e lo costrinsero a camminare fino al cimitero. Lì, il capo militare ordinò ai soldati di pugnalarlo e gli chiese, cinicamente, se voleva mandare qualche messaggio a suo papà; José rispose: «Ci vedremo in Paradiso. Viva Cristo Re!, viva Santa Maria di Guadalupe!». Il soldato gli sparò in testa. Il suo corpo fu buttato in un piccolo fosso. Dopo, il becchino lo disseppellì, lo avvolse in un lenzuolo e ritornò a seppellirlo nello stesso luogo. Oggi i suoi resti riposano nella parrocchia di San Giacomo Apostolo.

* Postulatore della Causa di beatificazione di José Sánchez del Río