L'ex arcivescovo di Palermo, monsignor Paolo Romeo.

Padre, per otto anni

Il cardinale Paolo Romeo lascia la diocesi siciliana. Ha testimoniato un amore incondizionato per una realtà problematica, tra migranti, povertà e mafia. Perché anche da un posto così si può cambiare l'intera società umana

Ieri, domenica 22 novembre, con una concelebrazione eucaristica nella Cattedrale di Palermo, gremita di fedeli commossi, il cardinale Paolo Romeo, ha concluso il suo mandato episcopale nella nostra Diocesi, dove è stato chiamato a sostituirlo il nuovo arcivescovo, monsignor Corrado Lorefice.

Monsignor Romeo era arrivato a Palermo il 10 febbraio 2007 portando con sé la lunga esperienza di diplomatico della Santa Sede in nazioni particolarmente importanti e dal contesto spesso difficile. Il racconto delle sue esperienze trascorse all’estero, in contesti spesso drammatici come Haiti, sotto il regime di Duvalier, o la Colombia, con lotta ai narcotrafficanti, ha riempito il tempo di tanti momenti trascorsi insieme.

Ho constatato direttamente come il suo amore al popolo fosse intessuto innanzitutto di rapporti ai quali non si è mai sottratto, né sul piano istituzionale né, tantomeno, su quello umano, andando lì dove le necessità, i problemi o, semplicemente, i rapporti lo chiamavano, anche negli ultimi anni in cui l’età e qualche malanno gli avrebbero consigliato più cura per la sua salute.

Un amore al popolo rivolto anche, e soprattutto, alle situazioni dei più sofferenti, da quelli colpiti da malattia a quelli, sempre più numerosi, vittime di difficoltà economiche. In particolare, negli ultimi anni si è prodigato senza sosta, talvolta recandosi personalmente a qualunque ora del giorno e della notte, al porto per accogliere le migliaia di immigrati raccolti in mare e scampati alla morte. La Caritas diocesana è divenuta così un punto di riferimento per tutti, istituzioni pubbliche e cittadini, e attraverso il sostegno di parrocchie e movimenti, ha potuto offrire una “prima accoglienza” a questa gente.

Ricordo ancora i momenti di sofferenza in cui il suo amore al popolo si è scontrato con incomprensioni e obiezioni, come quando ad esempio ha dovuto far fronte alle numerose occupazioni di persone senza casa che si erano accampate, anche per giorni, nella Cattedrale. La sua esperienza di diplomatico e il corretto rapporto con le istituzioni ha fatto sì che queste situazioni fossero incanalate nei più giusti sentieri dell’intervento pubblico.

Il suo amore al popolo dei sofferenti si è espresso nell’attenzione continua alle tante iniziative che, nate dall’esperienza della fede, cercano di portare sollievo a quanti hanno bisogno in città e in provincia. Un esempio su tutti riguarda la “Missione Speranza e Carità” di Biagio Conte, dove da oltre 25 anni si accolgono barboni e, ora, immigrati in tre case di accoglienza che ospitano un migliaio persone.

Il popolo siciliano che gli è stato affidato è anche profondamente segnato dalla cultura mafiosa. E così ha dovuto confrontarsi anche con dolorose e spiacevoli circostanze, come quando negò l’amministrazione della Cresima in Cattedrale al figlio del boss di Brancaccio, Giuseppe Glaviano, o quando dovette intervenire su alcune Confraternite in cui si erano riscontrate infiltrazioni mafiose. Furono momenti di grande sofferenza e a volte di incomprensione. Ma mai si è sottratto al confronto e al giudizio, anche di fronte ad una opinione pubblica che avrebbe preferito una Chiesa più “mondana”.

In questo, il suo più grande merito (e ciò per cui tutti lo ricorderemo e gli siamo grati) è l’aver posto le condizioni perché giungesse a compimento il processo di beatificazione di don Pino Puglisi, iter che si era arenato negli anni precedenti al suo arrivo in città. La figura e il martirio di don Pino oggi sono monito ed esempio per tutta la Chiesa, e hanno fatto breccia in tanti cuori, soprattutto di giovani, a Palermo e non solo.

Un altro terreno di confronto è stato con le istituzioni locali e con la politica in generale. Sono stato coinvolto nella redazione di alcuni documenti che segnassero a tutta la Diocesi una precisa assunzione di responsabilità ecclesiale, sociale e politica in grado di affrontare le emergenze che la realtà poneva e continua a porre. Ciò che ci ricordava più spesso in quei giorni era proprio la necessità di una promozione concreta e autorevole del laicato cattolico. Ed in questo contesto non si può non ricordare l’attenzione che ha rivolto alla comunità diocesana di CL.

Già a partire dal primo incontro avuto in occasione della vacanze estive della comunità in Svizzera, nel 2006, si instaurò un rapporto cordiale e paterno. In questi otto anni non ha fatto mancare la sua presenza in nessun momento importante della vita del movimento, a partire dalla messa annuale in memoria di don Giussani, che ha sempre voluto celebrare in Cattedrale. Proprio il 23 febbraio di quest’anno ci ha voluto rivolgere un esplicito invito sulla responsabilità a continuare l’opera iniziata da Giussani, di portare Cristo a tutti gli uomini, nella fedeltà al carisma. E poi c’è anche la sua partecipazione al pellegrinaggio che a settembre la comunità fa ogni anno al santuario della Madonna della Milicia, vicino Palermo. Un cammino a piedi di circa un’ora, in salita. E ogni volta scuandosi di non poter sopportare quel tipo di fatica fisica, si presentava al momento della Messa conclusiva, facendo dell’omelia l’occasione per indicare il cammino dell’anno, le tappe significative previste dalla Chiesa diocesana ed un invito sempre a seguire il carisma del movimento.

Indimenticabile è stato l’incontro con don Julián Carrón, il 14 ottobre, in occasione della presentazione a Palermo del suo libro, La bellezza disarmata. Nel suo saluto ai presenti ha espresso il suo apprezzamento per il contributo che il movimento, anche a Palermo, dà per la presenza della Chiesa negli ambienti di vita quotidiana, «attraverso la testimonianza così persuasiva di una compagnia umanamente decisiva e così pacificante per la vita». Poi, facendo riferimento alle parole di don Carrón alla Giornata di inizio anno a proposito della perturbazione che ciascuno di noi deve portare negli ambienti in cui vive, ha aggiunto un suo augurio: «Che questa perturbazione sia sempre più visibile, non solo a Palermo, ma anche in tutta la Sicilia, in tutta l’Italia e in tutto il mondo, che possa coinvolgere un sempre più crescente numero di persone, così da essere lievito di un cambiamento dell’intera società umana».

Francesco, Palermo