Monsignor Sante Babolin.

ACS La fede dei martiri, baluardo contro l’ideologia

Dal 13 al 15 marzo, “Aiuto alla Chiesa che Soffre” ha invitato a ricordare chi ha versato il sangue per il Vangelo. Il presidente monsignor Babolin ci spiega perché «il vero delitto è ridurre Cristo all’astratto»
Fabrizio Rossi

«Cosa continuano a testimoniare i martiri? Che Cristo non è un’idea. Ci richiamano alla corporeità della fede». Monsignor Sante Babolin, presidente della sezione italiana di “Aiuto alla Chiesa che Soffre” (l’associazione fondata da padre Werenfried Van Straaten nel 1947 come opera di carità per i tedeschi espulsi dai paesi dell’Est), è tra i promotori dell’iniziativa “In Memoriam Martyrum”: tre giorni di preghiera e di riflessione dedicati alle sofferenze della Chiesa nei secoli scorsi e nel presente, da venerdì 13 a domenica 15 presso la Pontificia Università della Santa Croce a Roma. Tra gli appuntamenti previsti, l’allestimento della mostra “Sia che viviate sia che moriate”, testimonianze da India, Vietnam, Eritrea e Iraq, una Via Crucis, la conferenza “Siate miei testimoni”, un concerto e la Messa celebrata da monsignor Crociata.
Monsignor Babolin, 72 anni di cui 40 passati ad insegnare Filosofia della cultura alla Pontificia Università Gregoriana, pochi minuti prima dell’inizio dei lavori ha accettato di presentarci quest’iniziativa.
Com’è nata l’idea di questi tre giorni?
Quando sono stato incaricato di guidare ACS-Italia nel giugno 2007, ho cercato di evidenziare le radici della nostra opera. Tra queste, l’impegno a promuovere la memoria dei martiri. Nel periodo quaresimale per molti anni abbiamo proposto nelle diocesi le «Quarantore di preghiera per la Chiesa che soffre». L’iniziativa “In Memoriam Martyrum” nasce dentro questa tradizione.
Quale messaggio volete lanciare?
Il martirio fa parte integrante della fede in Gesù. Non possiamo essere discepoli di Cristo se non accettiamo l’eventualità di dover perdere la vita. Ce l’ha detto Lui stesso: «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». Non si tratta di un’ipotesi astratta: la Passione di Cristo continua ancora oggi nella Chiesa.
A chi vi rivolgete?
Tutti possono capire questo messaggio. Chi ha la fede sa che il martire muore per Cristo, ma anche chi non ce l’ha può restare colpito. Quando padre Massimiliano Kolbe ad Auschwitz s’è offerto di morire al posto di un padre di famiglia, era mosso dall’amore di Cristo. Una persona cui manchi la fede può non capire tutto, ma non può non ammirare un valore umano come la solidarietà verso quell’uomo espressa da Kolbe. La stessa dinamica continua a ripetersi ancora oggi.
Proprio in questi giorni è stato pubblicato sul sito di ACS-Italia il Rapporto sulla libertà religiosa presentato lo scorso autunno.
In varie parti del mondo ci sono nostri fratelli che danno la vita per la fedeltà a Cristo. Avviene dove trionfano le ideologie e viene ignorata la grandezza e la dignità dell’uomo. La libertà dell’altro fa sempre paura. Perché chi deve pagarne il prezzo sono io, e viceversa. Ma non siamo disposti a farlo. Così, ci illudiamo di essere liberi combattendo la libertà degli altri.
L’allarme che lancia ACS riguarda soltanto Paesi lontani o esiste una sorta di persecuzione anche in Occidente?
Ci sto riflettendo da tempo. Forse una prossima edizione di “In Memoriam Martyrum” potrà affrontare questo tema. In una società libera come la nostra, più che la persecuzione il rischio è l’implosione della fede.
Cosa intende?
L’identità dei cristiani lentamente diventa sempre più sfumata. La fede si svigorisce e tutto si relativizza. Badi bene, all’origine ci sono sempre ragioni condivisibili: in nome del rispetto della sensibilità religiosa dell’altro, si tolgono i crocifissi dalle scuole o non si fa più il presepio. I motivi di per sé sembrano buoni, ma ci siamo mai chiesti a che prezzo?
Da dove proviene questo tipo di persecuzione?
Da noi stessi. È quella che il Papa chiama “auto-secolarizzazione”. Per cui, anche se in modo diverso, c’è una Chiesa che soffre. E noi non possiamo certo stare a guardare.
Cosa siamo chiamati a fare?
Dobbiamo pregare e offrire tutto l’aiuto materiale che riusciamo a dare. Ma soprattutto non dobbiamo dimenticare chi ha dato e dà la vita per Cristo. Perché, mentre siamo sempre tentati di rifugiarci nelle ideologie, i martiri ci testimoniano che Cristo non è un’idea. Prima ancora dello spargimento di sangue, è questa riduzione all’astratto il delitto più grave.