L'arrivo della fiaccola della pace.

MACERATA-LORETO Protagonisti perché mendicanti

Nella notte di sabato 13 giugno s’è svolta la 31° edizione del pellegrinaggio marchigiano. Dalle preghiere per l’Abruzzo ai fuochi d’artificio, una cronaca dei 28 chilometri di cammino
Fabrizio Rossi

«A’ Maronna v’accumpagne!». Il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, ha scelto il dialetto della sua città per incoraggiare il cammino degli 80mila partecipanti al pellegrinaggio Macerata-Loreto. Salutandoli nella messa con cui la sera di sabato 13 giugno s’è aperto il gesto allo stadio Helvia Recina di Macerata, il cardinale ha affermato che «siamo pellegrini, e non vagabondi» perché, «spinti da Qualcuno che si è fatto nostro fratello», abbiamo il desiderio «di raggiungere una meta». La messa è stata preceduta da canti tradizionali abruzzesi, napoletani e spagnoli. Non sono mancate le note di Claudio Chieffo, cantate dal figlio Martino, e quelle di Povera voce, eseguita dai bambini della Scuola statale “Don Luigi Giussani” di Ascoli Piceno.
Allo stadio erano presenti anche monsignor Giuseppe Molinari, arcivescovo dell’Aquila, che ha invitato i pellegrini ad offrire al suo popolo «un dono più semplice» di qualunque somma di denaro: «Un’Ave Maria alla Madonna di Loreto, per il conforto a chi ha perso le persone care e per un aiuto concreto a chi non ha più la casa o il lavoro». Un’edizione nel segno dell’Abruzzo, vista anche la numerosa partecipazione delle popolazioni colpite (due pullman hanno raccolto abitanti delle 135 tendopoli) e il significativo passaggio della fiaccola della pace proprio all’Aquila l’11 giugno, dopo la benedizione del Papa in San Pietro. Inoltre, pochi minuti prima della messa il saluto di monsignor Molinari è stato seguito dalla testimonianza di Marco Gentile, chimico di un’azienda del capoluogo abruzzese: «Quando rischi di perdere tutto, emerge una domanda di significato - ha detto -. È lì che ti interessa davvero il fatto che Cristo risponda o no». Oltre a colpire le case, il terremoto «ha fatto a pezzi la crosta che nella nostra normalità un po’ borghese riveste il cuore e lo separa dalla realtà», facendo venire a galla «in tutta la loro crudezza le domande e le esigenze più profonde». I problemi rimangono, ma «ora sappiamo dove guardare: l’origine della nostra speranza è in un Fatto presente».
Da Villa Potenza a Sambucheto, da San Firmano a Chiarino, poi l’arrivo alle 6 del mattino seguente a Loreto. Otto ore di cammino, per una distanza di 28 chilometri. Un popolo in crescita ogni anno (la colonna di pellegrini ha toccato i cinque chilometri di lunghezza), che in questa trentunesima edizione è arrivato da tutta Italia, ma non solo: tra i partecipanti, anche ucraini, svizzeri, peruviani e albanesi. Chi non è riuscito a venire, nelle stesse ore ha partecipato con la preghiera: è il caso di alcuni amici dalla Colombia, e di altri da Montréal che hanno inviato una testimonianza via mail.
Ad accompagnare la marcia, la preghiera del Rosario, tanti canti e i momenti tradizionali del pellegrinaggio: la benedizione eucaristica a Sambucheto, la benedizione della croce a San Firmano, la fiaccolata e i fuochi d’artificio alle 3 di notte. Oltre a numerose testimonianze: da Simone, ospite della comunità di recupero per tossicodipendenti Pars, a don Nicolò Anselmi, responsabile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile della Cei; dai genitori di Antonio, quindicenne morto lo scorso 10 maggio per incidente a Macerata (la vicenda è raccontata in una lettera sul Tracce di giugno; nda), a monsignor Claudio Giuliodori, vescovo di Macerata, che ha presentato la figura di padre Matteo Ricci (il missionario partito da queste terre per la Cina, di cui nel 2010 ricorreranno 400 anni dalla morte). «Né star né vip - ha spiegato Ermanno Calzolaio, direttore del Comitato Pellegrinaggio -, ma un popolo di mendicanti». Nel segno della frase di don Giussani scelta come tema: «Il vero protagonista della storia è il mendicante».