L'intervento del Papa al convegno.

TESTIMONI DIGITALI Un'umanità in ricerca, anche in Rete

Si è chiuso a Roma il convegno per gli operatori mediatici organizzato dalla Cei. Tre giorni per mettere a fuoco l'importanza del web per la Chiesa. Perché anche quello è un «luogo dove annunciare Cristo»
Antonello Sacchi

«La Chiesa fa testimonianza nei media, non perché ne possiede alcuni. Per esserci occorre prima essere: la responsabilità è una questione di ontologia prima che di etica della comunicazione». In queste parole, pronunciate da monsignor Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio delle Comunicazioni Sociali e sottosegretario della Cei, il senso del convegno “Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell’era crossmediale” concluso nei giorni scorsi a Roma con l’udienza di Benedetto XVI. Non un convegno celebrativo, ma un appuntamento che, leggendo i segni dei tempi, ha avuto il coraggio di affrontare nodi cruciali e punti dolenti del modo di comunicare della Chiesa e nella Chiesa. Come ha detto il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi: «Questo è tempo di verità, trasparenza e credibilità. Il segreto e la riservatezza non sono valori che vanno per la maggiore. Bisogna essere in grado di non avere nulla da nascondere».
Il prezzo che stiamo pagando indica che la nostra testimonianza deve essere di rigore e coerenza su ciò che siamo, contro ogni ipocrisia. «Dobbiamo essere testimoni credibili per ciò che diciamo e facciamo, perché si capisca che dietro ogni parola c’è la nostra mente e il nostro cuore», ha ricordato il direttore.
Dal convegno emerge un appello all’assunzione di un atteggiamento di responsabilità di fronte alla sfida dei nuovi media. Lo scenario in cui ci muoviamo è dato: la comunità cristiana è invitata ad assumere un nuovo atteggiamento di maturità che la possa portare ad accettare pienamente, senza riserve, lo stare in questo mondo “digitale” o “connesso”, sapendo che si tratta di un mondo complesso. Questo invito a maggiore responsabilità e allo stare in questo mondo non può essere disgiunto da una consapevolezza di fondo: la comunità cristiana è portatrice di un messaggio alto. Deve sentire cioè la responsabilità che la Parola non venga annullata dalle parole, che non venga confusa fra le molteplici parole degli uomini ma invece possa illuminarle. È il senso dell’intervento del direttore di Avvenire Marco Tarquinio, che ha raccontato come ha vissuto l’avvicendamento con Dino Boffo. «La Rete è un meccanismo potenzialmente infernale, che può e deve essere contraddetto, con una presenza che sappia essere sì sintesi, sì taglio, ma mai manipolazione... L’impegno è quello di essere nella corrente, da cattolici, tenendo presente che oggi i processi informativi riescono a cambiare totalmente il contenuto della notizia». Importante il richiamo fatto da Tarquinio: «I cattolici sono un’onda tranquilla, che utilizza la Rete come un’opportunità vera per riedificare l’uomo, a partire dalla consapevolezza che l’informazione è e resta una questione formativa».
Per avvalersi di questi moderni canali di comunicazione viene richiesta una competenza, in primo luogo ecclesiale, cioè l’essere figli della comunità cristiana, avere il comune sentire dei figli di Dio, ma non basta: la competenza deve essere anche tecnologica, perché queste tecnologie hanno criteri e linguaggi che vanno conosciuti per evitare di esserne schiacciati. Dalle letture che sono state portate all’attenzione degli oltre mille convegnisti, è emerso con chiarezza un altro fatto fondamentale: anche sulle reti informatiche c’è un’umanità in ricerca. Anche nel continente digitale c’è l’uomo che soffre, spera, cerca la sua via alla felicità, cerca cioè la risposta alla domanda di senso. È fondamentale esserci, essere lì presenti e il senso della nostra presenza è non dare risposte ultime ma far nascere le domande. Lo ha chiarito il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei: «Quella di una “evangelizzazione mediatica” è un’idea illusoria quanto errata... La Rete è, come ogni altro ambito di relazione, un luogo di evangelizzazione per annunciare Cristo e per annunciare l’uomo». Il cardinale, che prima dell’intervento è sceso in Sala Stampa per incontrare personalmente ogni giornalista, ha ribadito che «è il tempo di riscoprire l’alfabeto dell’umano, poiché le grandi categorie - come la persona, la vita e la morte, la famiglia e l’amore - rischiano di diventare evanescenti e distorte nei loro significati, di essere risucchiate e sfinite da un individualismo dominante ed esasperato. Come ricordava il Concilio Vaticano II, incontrare Cristo, l’uomo perfetto, e accoglierlo nella propria vita, introduce nella umanità vera e piena a cui tutti sono chiamati». Ecco il ruolo degli operatori della comunicazione, chiamati «ad essere sale di sapienza e lievito di crescita», cioè «a non essere conformisti e non cercare inutili quanto sterili forme di consenso consolatorio, perché la Rete non è fatta di confini, ma di ponti».
Dobbiamo far comprendere l’importanza di vivere la nostra vita con Dio presente. Ecco allora la necessità di assumere linguaggi, ma di non rimanerne vittime. La Chiesa ha una carta vincente, perché è da sempre poliglotta: da qui l’impegno a non avere paura del linguaggio della comunicazione. Su queste strade nuove la comunicazione diventa missione. È il senso dell’intervento di Benedetto XVI: «Esorto tutti i professionisti della comunicazione a non stancarsi di nutrire nel proprio cuore quella sana passione per l’uomo che diventa tensione ad avvicinarsi sempre più ai suoi linguaggi e al suo vero volto. Vi aiuterà in questo una solida preparazione teologica e soprattutto una profonda e gioiosa passione per Dio, alimentata nel continuo dialogo con il Signore».