Una maravilhosa pienezza di vita

Alla sua terza edizione, Rio Encontros ha proposto incontri, mostre e spettacoli. Tanti ospiti da tutto il mondo, cinquanta volontari e oltre cinquecento partecipanti. Molti presi dalla curiosità, pronti a fare chilometri per «vedere»...
Elizabeth Sucupira e Isabella Alberto

Tre giorni pieni di sorprese. È stato questo Rio Encontros 2017, il weekend che visto la partecipazione più di cinquecento persone tra il 27 e il 29 gennaio, nella cidade maravilhosa, come in Brasile chiamano Rio de Janeiro. Composto da due mostre culturali, tre tavole rotonde e due spettacoli musicali, l’evento - gratuito in tutte le proposte - è stato realizzato grazie alle donazioni di tante persone e al lavoro instancabile di 50 volontari.

Il tema di quest’anno – “Dinheiro, Filhos, Trabalho, Saúde. Tudo é sério. E a vida?” (“I soldi, i figli, la salute. Tutto è serio. E la vita?”) – era tratto da un testo di don Giussani, e proponeva un dialogo su un fatto: anche quando risolviamo i problemi (giustissimi) che più ci stanno a cuore, come la salute, la famiglia, la politica, tutto questo non basta a risolvere il problema della vita.

Ad aprire i lavori, venerdì sera, il gruppo Codex Sanctissima, che ha presentato un concerto di musica sacra medievale e rinascimentale. Repertorio insolito per la maggioranza dei presenti, ma che a poco a poco ha trovato l’attenzione del pubblico, che è rimasto conquistato dallo spettacolo.

Poi si è parlato dei trecento anni dall’apparizione dell’immagine di Nossa Senhora de Aparecida, patrona del Brasile, e del Santuario a lei dedicato. Cristina Langer, docente di Arte, ha parlato di qualcosa che va al di là dell’estetica: «Dio si rivela per l’imponenza della bellezza». Ha raccontato la sua esperienza davanti alle opere di Claudio Pastro nella Basilica di Aparecida. All’incontro ha partecipato anche Paula Vermeersch, docente di Storia dell’arte all’Unesp di Presidente Prudente (San Paolo), che spiegato la parte architettonica della Basilica e la devozione popolare. Una mostra sulla Basilica, con visite guidate, aiutava ad approfondire il tema.

La platea del Rio Encontros 2017 - Foto di Rodrigo Canellas

Sabato sera, la platea è rimasta commossa dalla testimonianza di un ex detenuto. Roberto Donizetti de Carvalho, conosciuto come Beto, ha raccontato dei primi crimini commessi, del suo arrivo in un carcere degradante, della situazione di umiliazione che ha sofferto. E di come è riuscito a risollevarsi dopo essere entrato in una struttura dell’Apac (Associação de Proteção e Assistência e Condenados).

Beto ha detto che quando una persona entra in carcere, «per la società diventa invisibile». Per molta gente, un detenuto non ha nessun valore. Ha ricordato la sofferenza di sua madre quando andava a trovarlo. Ha passato sette anni in un carcere comune, sovraffollato. Poi è andato in una struttura Apac, dov’è rimasto altri sette anni. Là aveva una cella pulita, un letto, lenzuola, un lavoro; e qualcosa da fare dall’ora in cui si alzava, le sei del mattino, fino a quando andava a letto, alle 22. Oggi, Beto è sposato, ha tre figli e lavora per la Fbac (Fraternidade Brasileira de Assistência aos Condenados, Federazione Brasiliana di Assistenza ai Condannati). All’incontro hanno partecipato anche Luiz Carlos Rezende e Santos, giudice di Belo Horizonte, e Valdeci Antônio Ferreira, direttore esecutivo di Fbac.

I volontari - Foto di Rodrigo Canellas



La mostra sul lavoro di Apac è stata molto visitata e ha suscitato grande interesse. Zaira, di Londrina, è venuta all’evento mossa dal desiderio di conoscere meglio questa esperienza, e ha affermato: «È davvero scioccante pensare che persone che hanno ucciso altre persone possano essere in libertà. Che grandezza di spirito è questa? Sono venuta a conoscere questa esperienza perché mi sento lontana anni luce da questa impostazione». Anche Enrique, di Rio de Janeiro, è vento a Rio Encontros proprio per sapere qualcosa di più su questo modello di carcere. Venerdì ha visto del movimento all’ingresso del locale, e ha chiesto che evento vi si svolgesse. Ha ricevuto il programma e ha visto che c’erano una tavola rotonda e una mostra sul tema delle APAC, ed è entrato per partecipare. È un ufficiale di polizia, ed è stato molto colpito da questa esperienza di rapporto umano con i detenuti, che sino ad allora non conosceva. In seguito si è messo in contatto con i membri della Fbac per proseguire il rapporto iniziato.

La mostra ha visto il coinvolgimento di molti volontari, fra questi un gruppo venuto appositamente da Belo Horizonte per aiutare, perché proprio in quello Stato il metodo è stato adottato e sviluppato, contribuendo attualmente al recupero di oltre 3000 detenuti. Per Carolina questa è stata l’occasione di conoscere meglio questa esperienza, che l’uomo può cambiare: «La conoscevo già, ma volevo vederla di nuovo. Non voglio perdere il contatto».

Alla fine della giornata, ancora un incontro, stavolta con i bambini. Arthur, dieci anni, Clara e Marina, di un anno più grandi, sono intervenuti sul libro Caro Papa Francesco, che raccoglie lettere di bambini di tutto il mondo indirizzate al Santo Padre. Hanno parlato delle lettere con le quali si sono maggiormente identificati, e hanno lasciato emergere domande sul dolore, l’inferno, la salvezza. I bambini erano straordinari nella loro semplicità. E molti sono usciti dall’incontro con il desiderio di avere la loro apertura nell’ascoltare il Papa.

Un incontro - Foto di Rodrigo Canellas

Un incontro - Foto di Rodrigo Canellas

La mattina della domenica si è aperta con l’incontro su "Opere di solidarietà: sfida all’incertezza e all’insicurezza nei rapporti umani", in cui tre responsabili di opere sociali hanno condiviso un po’ delle loro esperienze. Patricia Almeida, di Brasilia, ha sottolineato la sua scoperta più recente. Ha lavorato per diciotto anni nello stesso asilo; a causa di una forte tempesta, alla fine dell’anno scorso un muro dell’edificio è crollato. La posizione è periferica, e facilmente la sede avrebbe potuto essere saccheggiata. Ma ha visto come gli abitanti si sono mobilitati per sorvegliare l’asilo fin quando non si fosse ricostruito il muro, e tanti amici darsi da fare per trovare i soldi necessari. «Ho scoperto che il bene abita nelle persone, e che tutti vogliamo costruire qualcosa». Poi, l’italiana Rosetta Brambilla, che arrivò in Brasile nel 1967 e si è sempre dedicata ai poveri, ha raccontato commossa la sua storia. Cominciò con una piccola scuola improvvisata in uno spazio di una favela, dove un telone giallo serviva da tetto sotto cui stava qualche banco per pochi bambini; oggi vi sono quattro asili e altri istituti educativi, che si prendono cura di 1200 bambini fra i dieci e i diciotto anni d’età. «Quello che mi sostiene è la certezza che il mio niente è stato abbracciato. Il resto passa.»

La terza persona che è intervenuta, l’africana Rose Busingye, era l’invitata speciale molto attesa. Vive in Uganda, dove dirige il Meeting Point International, un centro dedicato alle donne malate di Aids, ai bambini e ai ragazzi orfani e bisognosi. Ha aperto la sua presentazione con un video in cui si vedevano queste donne mentre cantavano allegramente, frantumando pietre, che è la loro attività per vivere. Rose ha sottolineato che il metodo del suo lavoro ha preso forma a partire dalla scoperta del suo valore come persona, che avvenne attraverso lo sguardo di don Luigi Giussani su di lei. «Il mio desiderio è far emergere la grandezza di ciascuno, e di offrire una compagnia.» E ha raccontato molte storie, esempi di come, partendo dalla scoperta del proprio valore, una persona rinasce e diventa protagonista della propria vita. Un esempio che ha colpito tutti è stato il racconto di quando, trovandosi di fronte a una donna che aveva subito violenza da parte dei ribelli, Rose le ha detto: «Tu non sei l’orrore che ti è accaduto. Tu hai un valore infinito, che ti è dato da Colui che adesso ti fa e ti chiama». Questa coscienza ha fatto sì che quella donna si sentisse nuovamente libera, malgrado il dolore e tutto quanto aveva sofferto. «È per via di una pienezza che vivo che posso entrare in rapporto libero e gratuito con tutto. Il mio lavoro è diventato gridare a tutti il senso, il significato della vita. La mia vita non si esaurisce in quello che vedo, perché quello che vedo è solo un’apparenza. E anche per gli altri, non si esaurisce a quel livello», ha detto Rose.

Lo spettacolo del Codex Sanctissima- Foto di Rodrigo Canellas



Nel primo pomeriggio di domenica, Alexandre e Viviane Varela hanno firmato le copie del loro libro As Grandes Mentiras sobre a Igreja Católica (Le grandi menzogne sulla Chiesa cattolica). Più tardi, l’ultima tavola rotonda ha approfondito il tema generale dell’incontro: «Soldi, figli, lavoro, salute. Tutto è importante. E la vita?» Oltre a Rose Busingye, nuovamente intervenuta, c’era un altro ospite internazionale, l’italiano Francesco Berardi, un ingegnere che vive in Malesia, che ha raccontato le sfide che ha di fronte in famiglia e cosa significa vivere ogni circostanza a partire da una preghiera, una domanda. Ha sette figli, e ha vissuto già in cinque posti diversi in Asia. Ha raccontato come in tutte queste situazioni il suo sostegno è stata la preghiera, che magari non risolveva la domanda come lui immaginava, ma che dava al cuore la pace di cui aveva bisogno. Francesco ha parlato dei suoi rapporti con i colleghi di lavoro, e ha sottolineato l’esperienza vissuta in Corea. Quando era arrivato nel Paese, tutti avevano grandi aspettative riguardo al suo lavoro, e dopo pochi mesi quella pressione perché lui lavorasse al massimo della perfezione lo stava soffocando. Aveva detto a sua moglie che voleva partire di là alla fine del primo anno di lavoro. Un certo giorno ricevette la visita di un amico che, dopo aver ascoltato le sue lamentele, non stette lì a consolarlo, ma lo aiutò a capire che era possibile respirare anche in quella circostanza, perché il fondamento della sua vita era in Colui che lo faceva in quel momento. Quell’incontro gli fece comprendere che la perfezione che i coreani esigevano non la poteva fornire nessuna struttura, e questa considerazione fece nascere una tenerezza verso di loro. Pieno di questa letizia, aveva cominciato a coinvolgersi con le persone, ed era nata una compagnia di amici. «Posso dire che io e mia moglie alla fine avevamo le lacrime agli occhi per l’amicizia nata con quelle sedici persone con cui ci trovavamo. E anche oggi siamo rimasti in contatto.»

Nell’ultimo intervento di questo incontro, il deputato dello Stato di San Paolo, Marcos Zerbini, ha raccontato la storia sua e della Associazione dei Lavoratori Sem Terra. Fin dalla nascita del gruppo, quando incontrò una donna in strada che piangeva tremante di freddo perché non aveva casa e la figlia l’aveva cacciata, Marcos si dedica ad aiutare le persone a organizzarsi per comprare un terreno e costruirsi la casa. La storia è cresciuta, e a tutt’oggi ha assistito oltre ventimila famiglie. È entrato in politica mosso dal desiderio di servire le persone, ma «posso andar via in qualsiasi momento, non sono attaccato a nessun ruolo. La politica è solo uno strumento per costruire il bene comune».

Nello spettacolo di chiusura si è vista una esplosione di gioia per i giorni trascorsi. Tanti, per lo più giovani, hanno ballato e cantato ascoltando samba e musica popolare brasiliana suonata dalla banda Groove. I musicisti erano sorpresi da quel modo di stare insieme, da come le persone partecipavano coinvolte, e fissavano il pubblico stupiti di ciò che vedevano.

E infine la chiusura, lo smontaggio delle strutture fino alle 11 di sera, e il ritorno il giorno seguente a ritirare il materiale. Come ha detto Fabiana, studentessa universitaria di Rio de Janeiro: «Adesso che è finito l’incontro capisco che cosa ho guadagnato lavorando come volontaria». Allo stesso modo, dominava la gratitudine in tutti quelli che avevano collaborato, lavorato, erano intervenuti e avevano avuto l’occasione di assistere a tante testimonianze del fatto che la vita è più bella quando è davvero vissuta sul serio.