"La belleza desarmada" a Buenos Aires

Disarmati, ovvero, non ingenui

Giovedì 15 settembre, Aula Magna del Collegio dei Gesuiti. Protagonista, la presentazione argentina di "La belleza desarmada" con l'autore, Julián Carrón, in un dialogo serrato su educazione, terrorismo, misericordia... «Ma cosa può rinnovare la vita?»
Horacio Morel

C’è stato un tempo in cui i nobili cristiani indossavano l’armatura, e impugnando la spada andavano a difendere ciò che consideravano proprio. Secoli dopo, l’umanità immaginò di nuovo un mondo di valori evangelici, ma staccati dalla fonte dalla quale scaturivano. In questo cambiamento di epoca che viviamo, dove è già in atto una «Terza Guerra mondiale a pezzi», come dice il Papa, niente di tutto ciò è sopravvissuto: il nichilismo ha sopraffatto ogni cosa. Qualcuno potrebbe aver nostalgia di quel periodo. Ma per chi vive un’inquietudine spirituale, per chi è ferito da quella bellezza che fa risuonare un ferrovecchio come la più sonora delle campane, questo periodo così ostile suscita un fascino che attrae.



Giovedì 15 settembre, aula magna del Collegio dei Gesuiti. Non è una tavola rotonda, non c’è nessun monarca a presiedere questa riunione tra amici, ma vi sono tre moderni cavalieri disposti a esercitare l’arte dimenticata della conversazione. Julián Carrón e i giornalisti Ceferino Reato e Osvaldo Bodeán parlano come se si trovassero in un caffè di Buenos Aires, uno di quei luoghi che potrebbe essere lo scenario della più intima confessione come della più appassionata discussione.

Reato apre il dialogo e va diritto al punto centrale. Dice che il libro è una rifondazione: secondo lui, a partire dagli attacchi parigini a Charlie Hebdo, Carrón ha visto in quegli avvenimenti la possibilità di rendere attuale il messaggio cattolico. «Il nulla in cui vivono molti ragazzi in Occidente, sfocia nella violenza».

Carrón risponde dicendo che non è prima di tutto un problema religioso: «Ha ragione il Papa quando sostiene che non si deve accusare l’Islam di questa situazione, perché trent’anni fa anche i giovani europei abbracciarono la violenza. Il vero problema è se noi, che abbiamo ricevuto la fede, crediamo ancora nel fascino del cristianesimo». Ma Bodean incalza: «È facile rispettare quelli che ti rispettano, ma cosa fare con chi è armato e non ci rispetta?». Chiede insomma a che punto possa arrivare quella bellezza disarmata di cui si parla nel libro.

«Si tratta di una domanda radicale», risponde Carrón: «Tutti i mezzi legali e di sicurezza non sono sufficienti. Come dice il Papa, bisogna "costruire ponti e non muri"». Oggi si parla di muri ovunque: in Francia propongono una barriera che blocchi i migranti a Calais, Trump un divisione tra la frontiera americana e quella messicana. «Ma se il problema è il nulla, con i muri circonderemo il nulla. Serve, invece, una bellezza che disarmi» dice Carrón, per poi raccontare alcuni episodi che lo hanno convinto di quello che ha scritto nel libro.

A Milano, amici gestiscono opere per rispondere a situazioni educative difficili; alcuni ragazzi arrivano con pezzi di ferro nello zaino, ma trovano ad aspettarli qualcosa di diverso: una bellezza che, letteralmente, li disarma. In Brasile, un condannato dice al giudice che non è pronto per andare in carcere e gli chiede dieci giorni di tempo per mettere a posto le sue faccende familiari. Il giudice sfida la sua libertà, gli dà fiducia e gli concede trenta giorni, lasciandolo andare. Dopo un mese l’uomo si ripresenta, il giudice gli dà l'indirizzo del carcere e il condannato va a piedi alla prigione e si presenta volontariamente. Perché non scappa? «Perché dall’amore non si fugge». O in Ruanda, dove un'amica incontra donne vedove malate di Aids, dà loro delle medicine, ma non riesce a far sì che quelle donne le prendano: manca loro una ragione per vivere. Ma quando questa amica le guida alla scoperta di un significato per la loro vita, loro cominciano a prender prendersi cura di sé, dei propri figli, e iniziano persino a studiare.

«Crediamo che la bellezza rinnovi la vita?». Per Carrón il punto è che noi non pensiamo che la fede sia la risposta risolutiva: abbiamo ridotto l'uomo, pensiamo che una ragione per vivere sia secondaria, e che basti avere uno stipendio e arrivare a fine mese. Eliot direbbe che «perdiamo la vita vivendo». «Bisogna rispondere alla sete di significato che è presente nel cuore dell’uomo», continua Carrón: «Non è astratto né tantomeno ingenuo affrontare la vita disarmati».

Reato è d'accordo, racconta di aver visitato quella stessa mattina una baraccopoli. «Quelle persone annientate dalla droga trovano qualcuno che li guarda con compassione e amore, senza fermarsi sugli errori che hanno commesso. Se non accade quello che succedeva tra Gesù e i pubblicani e i peccatori, non vi è un punto di ripresa possibile. È questa la continuità più grande tra Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco: la necessità di intercettare una misericordia che affermi l’uomo».

Bodeán a questo punto agita la conversazione con una critica diretta al Papa: «Riceve politici argentini notoriamente corrotti. La misericordia vale anche in politica o è complicità con gli ingiusti e i corrotti?». Il Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione risponde che «la tensione alla pienezza non va soffocata, ma senza misericordia non si può aprire nessun rapporto». Perfino Agnese Moro, figlia dello statista democristiano ucciso dai terroristi, ha sentito il bisogno di incontrarsi e dialogare con alcuni ex-brigatisti.

Il dialogo tocca poi un altro tema: l'educazione. «Tutto si riduce al problema dei nostri figli», dice Reato: «A volte noi padri siamo i sindacalisti dei nostri figli: vogliamo rendere loro facile la vita, poiché non abbiamo fiducia che essi possano superare le difficoltà come abbiamo fatto noi». I tre cavalieri sembrano d'accordo, ma Reato lancia una stoccata finale: accusa Carrón di aver disarmato Comunione e Liberazione, di averla allontanata dalla ricerca del potere politico e averla indirizzata sulla via dell’educazione.

Carrón dimostra che non c’è bisogno di difendersi: «Io ho cercato di andare a fondo di ciò che ci propose don Giussani. Si rese conto che il cristianesimo negli anni Cinquanta sembrava fiorente all'apparenza, ma nei licei i giovani erano invece totalmente disinteressati alla fede. Anche i ragazzi di oggi sono scoraggiati. L'apparenza è la stessa, ma hanno dentro di sé un deficit di energia vitale. Noi padri abbiamo creduto di aver dato loro il necessario, ma non abbiamo dato loro ciò che è fondamentale: abbiamo perso la coscienza di Chi ci ha insegnato ad avere misericordia».

E di nuovo Carrón racconta un fatto. Un immigrato arriva ad un centro profughi; un volontario lo chiama per nome e gli chiede: «Carne o pesce?». L'immigrato scoppia a piangere. Non era niente di sentimentale, semplicemente non poteva fare a meno di stupirsi del fatto che qualcuno lo chiamasse per nome e gli chiedesse cosa preferisse per cena. «Per spiegare questo fatto bisogna che il Verbo si sia fatto carne».

Qualcuno potrebbe dire di non esagerare, che un gesto come questo è soltanto buona educazione. Ma il punto è che noi abbiamo perso la coscienza di Chi ci ha insegnato a essere così. Il mondo di oggi, con tutto il suo vuoto, tutta la sua brutalità e umanità devastata, è una grande opportunità per l’annuncio e la testimonianza della novità cristiana. Gli altri se ne rendono conto, noi no.