Salvador de Bahia, Brasile.

«Se non mi do per intero, non do nulla»

La "pizza del giovedì", dove capita che una madre ubriaca porti il cibo alla baracca vicina. Poi le squadre di calcio dei bambini, l'uso dei soldi, le scuole... Don Emilio continua il racconto della sua missione a Salvador. E di «cosa ci sto a fare qui»
don Emilio Bellani

Cari amici,
non è certo la più ortodossa tra le iniziative pastorali-catechetiche quella che sto per raccontarvi. Trovarmi in una casa poverissima, verso le nove di sera (e vi assicuro che da quelle parti è un record per i pericoli che si possono correre), per la “pizza del giovedì”. Dopo la "pastorale della pipoca" (popcorn), eccomi con la "pizza del giovedì". Ogni settimana, di giovedì appunto, mi scelgo una famiglia con tanti ragazzini e, di sorpresa (avendo avvertito solo la madre) ci entro con in mano un paio di pizze. Immaginate i salti di gioia. Per me è una grande occasione per aprire o approfondire rapporti, e soprattutto per comunicare cosa ci sto a fare in questo luogo. A volte tutto fila via liscio, a volte accade l’imprevisto.
Entro in una famiglia, per esempio, di chiara origine afro e che pratica il candomblè, religione spiritica importata dagli schiavi. La madre si ubriaca di birra il sabato e si riprende il lunedi mattina. Dopo aver tagliato diverse fette, su un tavolaccio che non vi dico, avanzano tre porzioni. Che fare? Ho immediatamente pensato al bis per qualcuna delle sue cinque figlie. Ma quella donna mi ha letteralmente bloccato il braccio e mi ha detto che portava le fette nella baracca vicina alla sua, dove c'era un nugolo di bambini. È uscita nel buio e lo ha fatto. Mi sono detto: lei è spesso ubriaca, però pensa che cosa vedono i suoi figli, non solo le bottiglie di birra.... Quando partecipo a questi fatti mi commuovo. E allora due soldini per le pizze li spendo volentieri.

Così ogni sette giorni provo ad entrare in una nuova famiglia. Una di queste mi ha condotto a conoscerne altre, amiche e vicine, dove mi han chiesto di benedire, oltre alla casa, gli animali. Un’altra ha voluto iscrivere le figlie alla catechesi parrocchiale. Un’altra, chiedendomi di accompagnare la figlia col pancione al pronto soccorso di notte, si sta interessando al Battesimo che verrà. Io mi mangio, in questa maniera, decine di pizze... e dico: chissà!
La storia di Erika è un'altra di quelle che mi piace raccontare. La donna, ancora giovane, ha avuto due gemelline. Abita nella strada più bella del quartiere, ma in una casa tra le più brutte. Volevo aiutarla, sapendo delle difficoltà che incontra, ma ancora prima che movessi un dito già si era formato intorno a lei un giro di persone pronte a sostenere le sue fatiche di madre: chi le compra il latte in polvere, chi le fa un po’ di ordine in casa, chi prende in braccio una bimba e chi cucina. Non c’è ora del giorno in cui la trovi abbandonata. Lei sorride, e in quel sorriso vedi tutta la gratitudine per le amiche e il buon Dio.

Ma il cuore buono c’è anche lì tra voi, eh! Don Beppe è un mio “vecchio” compagno di seminario e con lui sono stato ordinato sacerdote nel 1977, trentacinque anni fa. Per mezzo suo, il sindacato di polizia di Cremona mi ha fatto arrivare di sorpresa 1.200 euro: musica per le mie orecchie! Non sapevo, sulle prime, come spendere quei soldi. I bisogni infatti sono tantissimi, e non è facile, quando si è sommersi dal bisogno, fare progetti. Io ancora non ci riesco. A meno che si tratti di un corso di calcio per i miei ragazzini, di volley, o di balletto (le ragazzine son quasi raddoppiate). Comunque piccole cose che anche voi avete imparato a conoscere. Tutte sostenute da amici italiani che non cesserei mai di ringraziare. C’è d’andare davvero coi piedi di piombo perchè qua in Brasile di progetti si può anche morire. Quante persone e quanti gruppi, aiutati da realtà occidentali, sono poi stati abbandonati? Non si contano quelle nel mio popoloso quartiere. In passato si sono mossi tutti, compreso il Banco mondiale e le varie Cooperazioni. Abbiamo nella testa tante cose, ma tardano a passare nella realtà dei fatti, perchè trovi sempre un intoppo, un imprevisto, una ragione che ti frena, o accadimenti che ti sovrastano.
Qualche mese fa, per esempio, c'è stato un totale black out della vita, con le saracinesche che chiudevano alle due del pomeriggio e la gente per paura rintanava nelle proprie case. Ed è stato lo sciopero della polizia che ha messo la città in ginocchio. Nelle loro fila ospitano anche molti farabutti che, per far pressione sull'opinione pubblica e sui politici, durante lo sciopero si sono dedicati a compiere delitti di ogni specie: omicidi, assalti e ruberie varie. Ora hanno rimesso la divisa e te li trovi come controllori della vita degli altri. Per circa un mese ci siamo quasi rintanati, io e l'altro missionario, per assolvere solo al necessario. Insomma, non è semplicissimo.

Comunque un'idea mi è venuta: usare quel denaro per accompagnare, durante l'anno, tutte le attività che ho in cantiere col bel gruppo di ragazzini dai 12 ai 14 anni, le nostre Medie italiane. Ogni domenica, infatti, proponiamo loro un momento di convivenza, che, partendo dalla Messa, passa per un film, i giochi e infine un bel piatto di maccheroni, di lasagne, o di qualche cibo locale. Poi, una volta al mese, gli propongo una trasferta, per la quale chiedo ai ragazzi un contributo minimo: in marzo siamo stati allo zoo cittadino, in aprile a giocare al Bingo con gli anziani di un ospizio, in maggio andremo a fare una giornata comune con un altro gruppo di ragazzini di un'altra parrocchia. E dopo non so, vedremo. Posso svelarvi il nome che ci siamo dati? Gli “amici di Edimar”.

I soldi entrano e subito escono. Nei modi più impensati. Come i 50 euro che, per mezzo di una italiana che è stata qua a Salvador, mi hanno inviato un gruppo di ragazzine del Guastalla di Monza. Li ho subito infilati nella tasca dei pantaloni. Poi, passati 3 o 4 giorni, li ho spesi. Come? Sto mettendo su una squadretta di ragazzini - abbastanza terribili - per giocare a palla. Ne ho già create 3 di squadre di calcio: totale 70 ragazzi. Ma questa qui mi è ancora più cara delle altre, perchè è formata da tipetti molto particolari, che sino a ieri hanno giocato sempre nella strada senza mai vedere o provare un campetto di calcio. Uno di questi ragazzini, simpaticissimo, mi ha invitato a casa sua per convincere la mamma e il papà ad iscriverlo al corso di calcio. Non vi descrivo la casa, cioè la baracca, piena di stracci e di vestiti gettati a terra, senza il più piccolo armadio. Ma quello che mi ha colpito di più è che il papà non voleva iscriverlo perchè aveva vergogna di mandarmelo a giocare senza neppure un paio di scarpe. Allora mi sono ricordato del bel "cinquantone" che avevo nascosto in tasca, sono stato ad un mercatino ed ho comperato un bel paio di scarpe, tanto per cominciare. Poi gli comprerò anche i calzettoni. Al termine dell’allenamento l'ho chiamato in disparte e gli ho spiegato tutto, mettendogli nelle mani la bellissima sorpresa: riuscite ad immaginare il suo stupore?

Continua, infine, la nostra presenza nelle scuole di tutta l’area, per la quale andrebbe aperto un capitolo a parte. L’anno scorso parlavo solo ai bambini, ora mi rivolgo anche ai giovani, spesso facendoli ridere. I primi mi aiutano a recuperare la fede fresca della fanciullezza, lo spirito d’infanzia. I secondi, con tutta la loro vita agitata e una sete mai sopita, mi insegnano a non rassegnarmi mai ad una esistenza di funzionario o di tetro "amministratore del divino". Entrambi, a ricordarmi che se non mi do per intero non do nulla di me. Da quest’ultimo punto di vista, non passa giorno che non domandi aiuto al Cielo, specie a don Giorgio Pontiggia e a don Natale, mio cugino, uomini divorati dal desiderio di totalità. Ora mi attendono due o tre settimane al Centro educativo, in sostituzione della direttora che si reca in Italia, incollato tutto il santo giorno a centottanta ragazzini... Pregate per me.

don Emilio Bellani, Salvador de Bahia