La famiglia Redondo.

«Volevamo una sorella... ne sono arrivate tredici»

Dal 2007 i Redondo aprono la loro casa a studentesse italiane, in scambio negli Stati Uniti. Una scommessa tra mille difficoltà, all'inizio. La lingua, la preghiera a tavola, Comunione e Liberazione... Fino a scoprire che «questo movimento ci interessa»
Enrico Grugnetti

È un tipico pomeriggio di autunno in South Florida: 30 gradi centigradi ed un’umidità dell’80%. Casa Redondo è situata in una delle tante zone bene di Miami. È una casa grande, circondata da palme, piante caraibiche e alberi di papaya. La parte più bella è il patio, nel retro: un porticato lungo una ventina di metri e largo cinque, e la piscina a cielo aperto. Ci raduniamo tutti nella sala, al fresco dell’aria condizionata. I Redondo sono tutti presenti: papà José Pedro, mamma Vickie, il primogenito José Pedro (Joe) e la secondogenita Victoria. C’è anche Alicia, la mamma di Vickie, e Maria del Carmen con Gloria Maria, figlie di un cugino di José Pedro, arrivate da poco da Cuba per provare a farsi una vita qui negli States.

José Pedro è nato a L’Avana, che ha lasciato a dodici anni con la sua famiglia, pochi mesi dopo la rivoluzione castrista. Vickie invece è di Caguas, cittadina portoricana non lontano da San Juan. Si sposano il 28 dicembre del 1975. Entrambi studiano psicologia. Decidono di spostarsi in Massachusetts dove prendono il dottorato e iniziano a lavorare. Ma in quei dieci anni in Massachusetts si allontanano gradualmente dalla fede. Si spostano a Miami. Poco dopo arriva Joe, e tre anni dopo, Victoria.

José Pedro e Vickie sentono l’esigenza di riavvicinarsi alla fede, di tornare alle loro radici, a quell’ideale di bellezza che avevano vissuto in giovinezza, ma non riescono a trovare un posto in cui si sentano veramente a casa. Infine, approdano alla parrocchia di Saint Agatha. Perché c’è una scuola speciale per ragazzi con difficoltà di apprendimento. È la scuola giusta per Victoria. Attraverso l’amicizia con il parroco don Felipe Estevez e la preside Carlota Morales, i due incontrano il movimento. «L’inizio di questa amicizia è stata proprio nostra figlia», Spiega Vickie: «Ma poi è continuata anche dopo che Victoria ha preso il diploma di scuola media». Poi don Estevez viene nominato Vescovo e Carlota Morales è preside di un’altra scuola. Un giorno, Carlota la chiama: «Vickie, non puoi neanche immaginarti che cosa ci propone monsignor Estevez… Mi ha chiesto di trovare famiglie disponibili ad ospitare studenti italiani per un intero anno scolastico. È assurdo. Gliel’ho detto che è impossibile. Non c’è nessuna famiglia che accetterà una proposta del genere. Immagina se succede qualcosa ad uno di questi ragazzi… Non si può fare!». Ma Vickie risponde: «Carlota, non possiamo dire di no al Vescovo. E poi è un amico». Anche José Pedro è dell’idea che bisogna dire di sì. «Abbiamo iniziato a proporre la cosa ad alcuni amici», continua José Pedro «ma la risposta era sempre più o meno la stessa: “È una idea bellissima, ma va bene per voi, non per noi”. Poi abbiamo incontrato Pepe e Fernando che seguivano il progetto di scambio di studenti tra scuole americane e europee. Ci è sembrato chiaro che fossero uomini di fede. Potevamo provarci. Allora abbiamo deciso di aiutarli».

Pepe e Fernando sono di Comunione e Liberazione, e anche i ragazzi che dovevano arrivare ne fanno parte. Vickie racconta: «Non sapevamo assolutamente niente del movimento. Non avevamo la più pallida idea di cosa fosse. Appena abbiamo detto di “sì” al Vescovo, siamo andati a cercare Communion and Liberation su Google». Pepe e Fernando trovano le famiglie per ospitare i ragazzi italiani, grazie all’impegno dei Redondo. Ad agosto del 2007 arrivano sette ragazzi dall’Istituto Sacro Cuore di Milano.

È ancora Vickie a raccontare: «All’inizio, le famiglie che avevano accettato di ospitare i ragazzi italiani ci dicevano cose di questo tipo: “Ma perché questi ragazzi ci propongono di pregare tutti i giorni, prima di mangiare? Noi non siamo abituati a pregare assieme tutti i giorni. E poi ci parlano della sequela, ma noi non seguiamo mica nessuno! Chi dovremmo seguire?”. Erano un po’ spaventati. Ma poi abbiamo scoperto che erano ragazzi come gli altri. Erano normali adolescenti, a cui piaceva fare le stesse cose che fanno i ragazzi di qui, ma avevano questo amore per la vita, per la bellezza delle cose, per l’amicizia. Erano così felici, ad esempio di sedersi fuori nel patio e cantare assieme. Per me questo era stupefacente».

«Come genitori la cosa più importante che desideravamo comunicare ai nostri figli era la fede in Gesù Cristo», dice José Pedro: «Joe aveva iniziato il suo primo anno di università, a Cornell, nello Stato di New York. Sapevo che avrebbe incontrato un ambiente contrario alla fede. Temevo che anche lui si sarebbe allontanato. Quando abbiamo conosciuto Agnese e poi Sara, le prime italiane che abbiamo accolto, e abbiamo visto che erano in grado di dare ragioni della loro fede, di usarla per capire meglio se stesse, capire perché fosse ragionevole studiare, come rapportarsi con i loro amici, capire che cosa è una amicizia vera, ci siamo detti: questo movimento ci interessa». Negli anni successivi, hanno ospitato tredici ragazze provenienti da Milano, per un intero anno scolastico, e in estate due ragazze campane, nipoti di amici.

E ogni accoglienza è una novità. Continua José Pedro: «Ce ne siamo resi conto in tante occasioni. Ad esempio, quando ad una ragazza di Miami è stato diagnosticato un tumore maligno. All’inizio un gruppo di studentesse aveva cantato, “friends forever, friends forever”. Mi ha colpito, invece, che le uniche amiche che hanno accompagnato questa ragazza malata, sono state le studentesse del movimento. Seguivano una Presenza che le ha rese capaci di stare di fronte ad una situazione del genere». A volte mettono alla prova. «Rimangono adolescenti come tutti, ognuno con personalità differenti. A volte è stato difficile. Ricordo ad esempio, che una volta, alcune di loro volevano andare ad una festa privata, dove sapevo che non ci sarebbe stato nessun adulto e soprattutto la possibilità che circolasse droga. Ho detto che non gli davo il permesso. Le ragazze non l’hanno presa bene. Ma il giorno dopo, quando hanno sentito alcuni racconti su come fosse andata quella festa, mi hanno ringraziato». Una famiglia che trascende i confini geografici. «Ci sono stati anche momenti di tristezza. Come l’accompagnare una di loro quando le è morto il padre».

Da allora i Redondo si immergono totalmente nella vita della comunità. «È stata una rivoluzione per la nostra vita, che continua ancora oggi», dice José Pedro. «Mai avremmo potuto prevedere la bellezza del carisma di don Giussani. Non avevamo previsto che l’incontro con queste persone potesse essere la risposta al nostro desiderio di vivere la vita della Chiesa in modo più intenso». Condividere la vita, quella di tutti i giorni, implica il sacrificio di affrontare incomprensioni e difficoltà. È un cammino di conoscenza dell’altro, e di condivisione.

Victoria da sempre aveva espresso ai genitori il desiderio di avere una sorella. Lo avevo fatto a modo suo, cioè con molta insistenza. Quando le chiedo cosa abbiano portato tutte queste ragazze nella sua vita, mi risponde così: «Il Mistero e la famiglia». Faccio la stessa domanda a Joe, che è più loquace: «Le ragazze hanno cambiato la mia vita e quella della mia famiglia per sempre. Io e Victoria abbiamo sempre voluto avere altri fratelli. È ironico il fatto che Victoria chiedesse insistentemente di avere una sorella, e Dio ne ha mandate tredici! Ma ancora di più è tutto quello che hanno portato con loro, cioè il movimento».

Per Joe l’impatto è stato decisamente un po’ traumatico: «Penso di essere stato, tra tutti, quello che si è opposto di più al fatto di portare gente in casa. Avevo paura che avrebbero rovinato l’ordine esistente. E poi, culturalmente parlando, era così strano portare sconosciuti in casa. Una ragazza italiana che non sa l’inglese…. Quando sono arrivate le prime ragazze ero al mio primo anno a Cornell. E quando tornavo a casa non ero interessato a loro». «Se gli incontri di CL erano in un posto, lui andava nella direzione opposta», commenta mamma Vickie. «A dirla tutta, all’inizio pensavo che nella mia famiglia fossero andati tutti fuori di testa», replica Joe. «Uscivo fuori nel patio e trovavo un gruppo di teenager, per lo più femmine, intorno al tavolo e in più tre o quattro signori, che non avevo la più pallida idea di chi fossero… ed erano tutti lì a cantare, e si trattavano in un modo così amichevole tra loro. Guardavo la mia famiglia e pensavo: qui devo fare qualcosa! Ma nel tempo, conoscendo quegli strani signori, ho cominciato a capire cosa avesse preso la mia famiglia in quel modo cosi totalizzante. Perché anche io, seguendo i miei genitori, avevo fatto parte di un gruppo cattolico all’interno della mia scuola superiore». «Il nostro è stato un percorso di guarigione dai nostri fallimenti», dice Victoria ridendo.

Continua Joe: «Quando ho preso il diploma per me era molto chiaro che non avevo alcuna intenzione di continuare a seguire questo gruppo. Non avevo niente contro, ma non ci avevo trovato niente che potesse muovere veramente il mio cuore. E tutto ad un tratto mi sono trovato in questo cambiamento radicale, come dal giorno alla notte. Tutto ad un tratto i miei genitori, che avevano provato tante altre strade, erano immersi totalmente in questa cosa che neanche avevano capito bene cosa fosse».

Vivere nello Stato di New York è una sfida ardua per un ragazzo nato e cresciuto nella Miami caraibica: «Faceva freddo, c'erano la neve e 15 gradi sotto zero. Per andare a messa la domenica dovevo camminare per oltre un miglio su una collina… E allora la domanda diveniva molto pratica: perché devo andare a messa? Ma non avrei avuto quella domanda se non fosse stato per la presenza di CL che avevo visto a Miami, per l’amicizia che nasceva con le ragazze che venivano, i miei genitori e le persone che arrivavano a casa, come i Memores Domini. Sarebbe stato molto semplice per me abbandonare tutto quello che avevo imparato. Ma queste ragazze, non loro in particolare, piuttosto quello che hanno portato».

L’amicizia con le ragazze italiane rimane intatta ancor oggi. Anzi cresce nel tempo. «C’è un rapporto speciale con ognuna di loro», spiega José Pedro. «L’intensità cambia, perché ognuna ha la propria personalità. Ma in qualche modo il nostro cuore ci chiama ad essere aperti e disponibili con loro, come un genitore farebbe. Le teniamo presenti nella nostra vita. Per esempio cerchiamo di ricordarci sempre di chiamarle per i loro compleanni. Preghiamo per loro tutti i giorni». La “parentela” con le ragazze italiane si estende alle loro famiglie, che i Redondo hanno avuto la possibilità di incontrare in Italia in diverse occasioni. José Pedro: «La prima volta che siamo stati al Meeting di Rimini abbiamo incontrato tutte le famiglie delle ragazze che avevamo ospitato. È stato un momento molto bello».

Dal 2007 casa Redondo è pian piano diventata la casa della comunità. «Quando c’è voglia di stare tutti assieme, o c’è qualcosa di importante da celebrare, ci si ritrova qui. Eravamo in 150 in questo stesso patio nel gennaio 2012, quando venne a trovarci Carrón. Il 10 ottobre scorso le comunità di CL della Florida si sono radunate a Miami per la giornata di inizio anno. Canti, lezione, messa, e dopo tutti assieme a cena da loro. Eravamo una cinquantina di persone. Alberto, Rossella e i ragazzi del Clu hanno preparato da mangiare per tutti. José Pedro ci ha fatto pregare e poi tutti seduti a mangiare. Il 31 ottobre ancora tutti assieme, a casa Redondo, per Halloween. Un giro per il quartiere coi bambini per il tradizionale trick-or-treat, poi cena, e poi Maria del Carmen e Gloria Maria ci hanno fatto ballare la salsa». Una vita in movimento.