La città di Coatzacoalcos, sulla baia di Campeche.

In un "incendio" è arrivata la Pasqua

Violenza, corruzione, sequestri. In una regione in mano a bande criminali, gli amici della comunità di Coatzacoalcos si accorgono di come il dramma può essere affrontato. E la speranza ha preso forma in un volantino: «Qualcosa da cui ripartire»
Francesca Capitelli

«Coatzacoalcos, nello Stato di Veracruz, come molte altre città del Messico, negli ultimi mesi è stata invasa da scandali, paura, rabbia e confusione». Sono le prime parole di un volantino scritto dalla comunità messicana di CL, che da mesi vive questa situazione di emergenza sulla propria pelle. Sequestri, corruzione e impunità sono all’ordine del giorno.

«Spaventano soprattutto i rapimenti», racconta Oliverio González, che vive a Coatzacoalcos ed è il responsabile della comunità. Con alcuni amici ha deciso di scrivere poche righe per raccontare cosa sta succedendo nella sua regione, nel Sud Est del Paese. «Non avevamo mai visto una crisi sociale del genere. Lo Stato è incapace di fronteggiare il crimine organizzato. Nessuno interviene e noi siamo testimoni impotenti». In Veracruz, «le famiglie sono disperate, perché quando viene preso un loro parente, sanno che con non lo rivedranno mai più». Tutti conoscono qualcuno che è stato rapito, ma in pochi possono dire di averlo visto tornare.

Sembra inutile sperare in una soluzione dall’alto. Il Governo di Veracruz si rifiuta di firmare lo stato d’assedio. Senza, l’esercito non può intervenire, e le bande criminali continuano indisturbate a seminare terrore. E i media non fanno altro che alimentare il clima di panico: «Sui giornali non si legge una bella notizia da mesi», continua Oliverio.

«Eppure, anche in mezzo a questo “incendio”, è arrivata la Pasqua», racconta ancora: «Prima della Settimana Santa, a Scuola di comunità, ci siamo chiesti se la Resurrezione può davvero aiutare a cambiare le cose». A prima vista, la risposta non sembrerebbe positiva. La violenza ha invaso tutti gli strati della società e coinvolge tutti, non più solo i criminali comuni, ma anche «padri di famiglia, giovani, autorità, stampa». L’ultimo episodio in ordine di tempo è stato lo stupro di una ragazzina, violentata dai figli di alcuni politici della regione, che però sono riusciti a fuggire dal Paese.

Quella Scuola di comunità, però, «è stata una boccata d’aria fresca», racconta Oliverio. «È intervenuta una nostra amica e ci ha raccontato di suo nipote, che era finito al pronto soccorso dopo una lite». Secondo la mentalità comune, avrebbe dovuto pretendere una vendetta. «C’era tanta tensione in famiglia. Alcuni volevano denunciare l’aggressore per costringere i suoi a pagare un risarcimento», spiega Oliverio. «Questa amica ci raccontava che dentro di sé sentiva contrapporsi due spinte: una verso lo scontro, l’altra, invece, a un’appartenenza diversa che le permetteva di non vivere come il mondo».

Così, dentro al dramma del momento, hanno iniziato ad accendersi alcune domande: «Ma io a chi appartengo? C’è qualcosa che mi permette di ragionare diversamente?». Ha iniziato a riaccorgersi di «far parte di un luogo dove eravamo stati guardati con misericordia». La comunità cristiana, cioè la Chiesa. «Quando si sperimenta l’abbraccio di misericordia, quando ci si lascia abbracciare, quando ci si commuove: allora la vita può cambiare», diceva il Volantone di Comunione e Liberazione per la Pasqua di quest’anno, con l’immagine del Cristo inginocchiato davanti all’adultera, che, invece di condannarla come vorrebbero i farisei, la perdona.

«Da quello sguardo di perdono è nato qualcosa di più grande», continua Oliverio: «Qualcosa da cui ripartire». Invece della vendetta, le due famiglie si sono incontrate. «Si sono affezionati al punto che il padre dell’aggressore ha seguito tutti gli interventi chirurgici a cui si è sottoposto l’altro ragazzo, come se sotto i ferri ci fosse stato suo figlio».

Quella testimonianza è stata un punto di non ritorno per l’intera comunità: «Ci siamo resi conto che, per l’incontro che abbiamo fatto, possiamo portare, noi, una speranza dentro a questa spirale di violenza». Per questo hanno scritto il volantino.
«È la prima volta che facciamo qualcosa del genere. È un passo importantissimo: comunicare a tutti che esiste questa speranza. Che è viva. E che noi l’abbiamo incontrata».