Responsabilità: conversione dell’io a un avvenimento presente

Pagina Uno
Julián Carrón

Appunti dalla sintesi al Consiglio nazionale di Comunione e Liberazione
Milano, 8 giugno 2010


«La responsabilità è la conversione dell’io all’avvenimento presente». Con queste parole don Giussani ci dà il criterio per giudicare la nostra responsabilità. Sarebbe più facile appartenere a una associazione, perché non dovremmo fare i conti con una frase così; ma siccome non apparteniamo a una associazione, ma a un avvenimento presente, la questione è se siamo disponibili a seguire quello che un Altro fa, a convertirci all’avvenimento presente. Questa è la prima responsabilità che noi abbiamo: se uno non fosse disponibile a questo, dovrebbe dimettersi. Lo dico per la sua responsabilità, per la sua salvezza, perché non siamo qui a fare giochi da associazione.
E come possiamo vedere, ciascuno di noi, come abbiamo vissuto questo?

1. I fatti hanno una loro inevitabilità, dice don Giussani. Lo abbiamo visto in questi ultimi tempi: se proponiamo di andare a Roma dal Papa, ciascuno deve fare i conti con il fatto di andare o di non andare. I fatti hanno una loro inevitabilità, ci mettono contro il muro, non ci lasciano la possibilità di non decidere. Uno può pensare a questo come una disgrazia oppure - come di fatto è - come la grande tenerezza del Mistero con noi, che ci richiama così potentemente da non lasciarci alibi, restando la nostra libertà intatta. E di fatti ne abbiamo avuti abbastanza in questi ultimi tempi. Faccio un elenco sommario: le elezioni, la questione della pedofilia sui giornali, gli Esercizi della Fraternità, Roma, la Scuola di comunità. Sono tutti fatti su cui ciascuno, aldilà delle intenzioni, si deve misurare: come li abbiamo vissuti, come ci siamo posti? Non è prima di tutto per un rimprovero, ma per una chiarezza; per chi vuole camminare con chiarezza verso il destino, la questione decisiva è sapere se sta camminando o meno, perché fintanto che permane l’ambiguità, non ci aiutiamo. Il fatto che il movimento o la vita (perché tante volte non decidiamo noi la realtà, come pretendono i giornali) ci sfidi, ci chiama a una risposta. E ciascuno può vedere in sé - perché questo è il vero esame di coscienza - se ha preso in considerazione i fatti o è rimasto indifferente.
Questi fatti li abbiamo vissuti davanti a una proposta. Le elezioni avremmo potuto viverle come altre volte, ma questa volta ci siamo detti: le elezioni sono un’occasione per la verifica della fede. Abbiamo preso minimamente in considerazione la proposta? Ci siamo detti: non andiamo a Roma per sostenere il Papa, ma per essere sostenuti da lui. Come ciascuno di noi si è messo in gioco davanti alle ragioni? Abbiamo partecipato agli Esercizi della Fraternità. Come? Si è proposta la Scuola di comunità. Come ci siamo stati davanti? Come abbiamo vissuto la nostra responsabilità? Abbiamo facilitato l’accesso a tutti alla Scuola di comunità o abbiamo ostacolato che arrivasse a tutti coloro che lo volevano? Perché era stata proposta così, come una proposta libera, ma a tutti. Ciascuno ha interpretato questa proposta a seconda dei propri criteri (come le elezioni o come Roma)? Questa è la inevitabilità dei fatti, che smaschera la nostra possibile ambiguità. I fatti sono una sfida per l’io, davanti alla quale non si può barare. Li abbiamo riconosciuti come un segno che ci rimandava oltre o sono stati soltanto un’occasione per i giochi dell’interpretazione?

2. Siccome ciascuno di noi lo ha vissuto, in un modo o in un altro, ciascuno può verificare che cosa è successo, può guardare alla propria vita e vedere che cosa è capitato, qualsiasi sia la decisione presa. È successa una rinascita dell’io? Perché questa è la verifica dell’avvenimento cristiano. Cioè, io, alla fine di quest’anno, come mi trovo? Che cammino ho fatto? Che esperienza di rinascita mi trovo addosso? O quest’anno è passato invano? E ciascuno può vedere senza ombra di dubbio in se stesso, al di là delle chiacchiere (scusate la parola), i fatti, i fatti di rinascita che vediamo in tanta gente. Come responsabili, partecipiamo di questo o no?

3. La carità veramente sconvolgente del Mistero con ciascuno di noi ci è data (e non è scontato) in una presenza storica. Il carisma è una presenza storica che consente di vincere la confusione. Ma perché possa vincere la confusione occorre lasciarsi generare, e così si può vedere la convenienza della fede per la vita. “Lasciarsi generare” vuol dire che è in un rapporto che il mio io si ridesta, un rapporto con questa presenza storica: oggi può essere in un punto e domani in un altro, ma questa è la modalità con cui il Mistero veramente agisce in un modo misterioso. Noi tutti abbiamo la tentazione di evacuare questo urto, e allora l’alternativa al lasciarsi generare è lasciare che le resistenze vincano. Ma quando uno si lascia generare si impone davanti ai suoi occhi che cosa consente questa generazione: una presenza in cui uno si imbatte ha una tale capacità di presa che ci genera, suscita un sussulto, che è la vittoria sulla frattura tra il sapere e il credere, perché sempre di più appare con chiarezza che la verità cristiana è un avvenimento che accade nel soggetto, di cui noi siamo i primi a stupirci che accada; è misterioso, ma così reale che tutta la vita è determinata da questo evento.
Perciò è l’accadere di una creatura nuova, che non è frutto di alcun tentativo nostro, ma proprio grazia. E da che cosa si vede questo?

4. L’avvenimento ci mette in moto, cioè provoca tutto l’io, nella sua ragione e nella sua libertà, lo afferra e lo muove, lo sollecita, e per questo arriva fino al giudizio; non è qualcosa che rimane puramente estetico o devoto, ma mette in moto tutta la capacità della ragione per entrare in merito alla questione delle elezioni o della pedofilia o del lavoro o di qualsiasi altro aspetto del reale. È questo che ci consente di dire una parola diversa, perché solo un io mosso da questo avvenimento entra in merito alle cose e le giudica. Dove resta l’ambiguità è dove manca questo lavoro. La frase dal Papa che ho citato quasi tutti i giorni da quando l’ho sentita dice questo: «Il contributo dei cristiani è decisivo solo se l’intelligenza della fede diventa intelligenza della realtà» (Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti alla Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici, 21 maggio 2010). E perché l’intelligenza della fede diventi intelligenza della realtà (il che non è automatico) occorre che l’avvenimento della fede ridesti tutta l’intelligenza per entrare nel reale e così, con questa intelligenza spalancata (allargata, direbbe il Papa), posso capire di più il reale, posso dare un giudizio più adeguato, entrare in merito alle cose.
Senza di questo il nostro contributo non potrà essere decisivo, perché ripeteremo quello di tutti con più scaltrezza o con più accanimento, ma non sarà diverso e perciò non sarà decisivo. E questo - amici - ci dice che affinché l’intelligenza della fede diventi intelligenza della realtà occorre l’educazione: è quello che don Giussani ci ha testimoniato e gli Esercizi della Fraternità hanno riproposto seguendo don Giussani, perché gli Esercizi sono la risposta alla frattura tra il sapere e il credere, tra l’intelligenza della fede e l’intelligenza della realtà (per dirla con altra formula), che noi non possiamo vincere se non continua a succedere l’avvenimento cristiano e se non siamo disponibili a seguirlo fino al giudizio del particolare. È questo che fa diventare il soggetto una presenza, per la novità che porta, non per il discorso corretto, ma per la novità che porta nel guardare la realtà di tutti.
Senza di questo il nocciolo duro della nostra mentalità rimane tale e quale e la creatura nuova non emerge da nessuna parte, perché un soggetto non può rimanere come vero soggetto davanti al reale, se non entra nel particolare e se non diventa pubblica la posizione culturale, altrimenti il cristianesimo è una devozione. Questo vuol dire che se noi vogliamo dare un contributo, aldilà dell’intenzione, dobbiamo domandarci se siamo disponibili a questa conversione di cui parlavamo all’inizio e a cui il Papa ci sta richiamando in tutti i modi. In questo frangente della storia la Chiesa, nella sua autorità massima, ci chiama a questa conversione. Noi potremmo ridurla moralisticamente, se il carisma non ci aiutasse veramente a capirla nella sua vera portata, che è quella originale del Nuovo Testamento: il cambiamento della mentalità, la metanoia, il cambiamento del nous.
Amici, questa è l’avventura appassionante in cui siamo immersi e questo anno, proprio per tutti i fatti che ci hanno sfidati, ci ha dato l’opportunità di far venire allo scoperto tante ambiguità e perciò di vedere come il Mistero ha pietà di noi: uno può percepire come una disgrazia che tutte queste cose vengano allo scoperto, o può considerarle una grazia, come dice il Papa: la conversione è una grazia, perché è una pace. Nella misura in cui ciascuno di noi prende sul serio questa sfida, possiamo anche aiutare i nostri amici in ogni comunità a dare - alla fine dell’anno, durante le vacanze - un giudizio, possiamo metterli nelle condizioni adeguate, dare a tutti gli strumenti per un giudizio, per guardare che cosa è successo, per un passo di coscienza che interessa prima di tutto a noi, alle nostre comunità, e che è l’unica possibilità di essere decisivi per il mondo.