Il segno nel concreto storico

Parola tra noi
Stefano Alberto

Appunti dall'intervento di don Pino all'Assemblea Responsabili di Comunione e Liberazione, esito di un dialogo con don Giussani - Milano, 1 dicembre 1998


Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d'Israele; lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele». (Lc 2, 25-32)

Vi dico quello che in una conversazione con don Giussani si è detto di una conseguenza fondamentale che emerge dal fatto dell'Incarnazione.

Il lavoro che ci è chiesto di fare in questo momento storico è l'approfondimento di ciò che genera l'io, a partire da un giudizio sull'esperienza che viviamo.
Una unità di coscienza - del rapporto con sé, con la realtà e con il mondo, fino alla politica e alla società - è possibile dentro la grande questione della fedeltà all'origine.

Questa scoperta è continua, è una coscienza dell'istante; non l'istante staccato reattivamente dall'origine e dallo scopo. È una coscienza nell'istante, come consapevolezza di tutta la storia che porta: come memoria.

In questo lavoro di approfondimento dei fattori originali costitutivi dell'io l'insistenza è sul rapporto genetico dell'io con il popolo.
Il significato della parola "popolo" che vogliamo approfondire nel lavoro di quest'anno, è ancora molto estraneo. Per comprendere le caratteristiche originali del popolo a cui noi apparteniamo è illuminante riferimento da Dio stabilito considerare l'esperienza del popolo ebraico in quanto essa è pedagogica e profeticamente analogica a quella del nuovo popolo che ha la sua origine nell'avvenimento di Cristo. Occorre comprendere, in particolare, che cosa significa nella storia del popolo ebraico il rapporto genetico che l'io ha col popolo.
Possiamo cogliere alcune caratteristiche del popolo ebraico:
1) La prima in assoluto è la coscienza della sua unicità, cioè la consapevolezza di essere protagonisti di un fenomeno unico, non nato dalla genialità e dalla forza dell'uomo, ma dalla scelta di Dio.
2) La scelta di Dio, l'iniziativa di Dio che rende il popolo, il popolo d'Israele una realtà originale, passa sempre attraverso persone. La fedeltà di Dio, la scelta di Dio si manifesta attraverso la scelta di Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè. Non è mai una scelta indistinta: passa sempre attraverso precise personalità, che hanno la loro storia, il loro temperamento, le loro debolezze, le loro caratteristiche.
3) Che cosa tiene insieme il popolo? Qual è il punto che continuamente suggerisce al popolo l'immagine ideale, fino al suggerimento per l'operatività concreta, per la risposta all'istante della storia? È la memoria di ciò che è accaduto, è la memoria dell'iniziativa di Dio come scelta e alleanza.
La memoria è la suprema possibilità del suggerimento nell'essere e nell'agire del popolo, fino a coincidere, per il singolo, con la propria autocoscienza: «Ascolta, Israele, il Signore è il tuo Dio, il Signore ti ha fatto, il Signore ti ha scelto».

Quello che caratterizza il contenuto di autocoscienza dell'io è la memoria di ciò che Dio ha fatto per il popolo, che raggiunge lui personalmente e che si declina storicamente, esistenzialmente, secondo queste ulteriori caratteristiche:
a) La dipendenza originale: coscienza di essere fatti, plasmati da un Altro, di essere conosciuti da Dio fin nel seno della propria madre: «Io sono Tu che mi fai».
b) Un abbandono fiducioso a Dio, che il richiamo dei profeti sempre rinnova tutte le volte che il popolo ha la tentazione di gonfiare, di dilatare in un proprio orgoglio o in una propria pretesa di autosufficienza (pensiamo alla vicenda storica di Davide), tutte le volte che il popolo ha la tentazione di consistere in sé, in quello che fa, in un esito storico e di misurare la fedeltà di Dio a partire da questo esito storico. Quando è così, nella vita del popolo ebraico si afferma la dimenticanza: essa ha sempre come conseguenza il castigo, fino alla dissoluzione, fino all'esilio. Dio fa sparire letteralmente il regno che aveva dato a Davide, non solo, ma addirittura porta il popolo distante, lo disperde in mezzo ai popoli e agli dei stranieri. Il castigo, frutto della dimenticanza, è proprio il venire meno storicamente del punto che sembrava di maggior tenuta e invece si rivela il più effimero; è l'illusione, cioè - possiamo dirlo con espressione moderna -, dell'egemonia, del successo, dell'espandersi del regno in termini socio-politici, o del dominio di altri popoli. Così la perdita della fiducia in Dio, sostituita dalla presunzione delle proprie forze, fa smarrire all'ebreo la sua appartenenza originaria per assumere completamente i criteri dei pagani.
c) In ogni caso, il popolo, anche in un piccolo resto, ha sempre vissuto - sia nella fase in cui diventava potente, si ingrandiva, sia nella prostrazione, nella disfatta - l'attesa di un Altro, l'attesa di Uno, l'attesa di un Messia che avrebbe realizzato il possesso, l'influsso su tutto il mondo del Dio del popolo ebraico.
C'è sempre, sia nella fase di espansione che nella fase della disfatta, un punto di coscienza che attende Chi sarebbe promesso, Chi sarebbe mandato.
Il Messia verrà mandato non semplicemente "al" popolo, ma verrà mandato "nel" popolo, "per" il popolo, per realizzare, attraverso quel popolo, la promessa di felicità per tutto il mondo, per condurre alla felicità desiderata tutti gli uomini, attraverso l'esperienza, la saggezza, l'obbedienza di quel popolo.
Il popolo si concepisce custode e protagonista di questa coscienza messianica: l'attesa di un Altro che deve venire, l'attesa del Messia coincide con la consapevolezza che questa sarà la risposta per tutti ed essa passerà attraverso la vicenda dell'unico popolo scelto. È attraverso questa consapevolezza che Dio guida il mondo, che Dio muove la realtà. Dio entra nella storia, dapprima come suscitatore della promessa, ma poi, dopo questo, rivela d'essere Lui stesso la promessa e questo indica nel presente il suo significato ultimo: il presente è l'inizio dell'eterno.
Nella speranza di questa attesa, nella speranza di Chi è mandato, possiamo trovare sinteticamente implicati tutti i fattori costitutivi del popolo ebraico: la certezza che non si basa sulla propria forza, ma sulla memoria dell'origine, del fatto accaduto, di essere, cioè, l'unico popolo, l'unico scelto a vivere l'alleanza con Dio, alleanza a cui Dio sarebbe stato sempre fedele.
Storicamente questo è vero: l'unico popolo nella storia fino a Cristo che abbia avuto una concezione purissima di Dio è stato Israele; più Dio è intervenuto nella loro storia, nella carne della loro esistenza (attraverso grandezze e disfatte, fedeltà e peccato), più si è approfondita la coscienza del Mistero: la coscienza dentro la storia di questa gratuità e fedeltà di Dio (da cui la concezione di Dio come l'Onnipotente, l'Inscrutabile, il Giudice finale di tutti gli uomini) e, soprattutto, la coscienza che il giudizio sul mondo, sulla storia, Dio lo faceva passare attraverso quel particolare, il popolo, con cui Egli si era identificato. Da qui deriva la consapevolezza ebraica del proprio compito storico di essere la coscienza del mondo, il luogo attraverso cui passa la salvezza, attraverso cui Dio giudica tutto, attraverso cui la novità entra nella storia per tutti gli uomini come risposta al loro desiderio di salvezza e di felicità.
Quando noi guardiamo alla nostra vicenda storica prendiamo coscienza di questi fattori, perché essi costituiscono anche il nostro presente e determinano il nostro futuro.
Queste categorie che costituiscono la ragione d'essere e il contenuto di coscienza del popolo ebraico, ereditate e profondamente trasformate da Cristo che le compie, diventano il contenuto di autocoscienza nostro.