Bruce Springsteen in un concerto sold-out.

High Hopes

È uscito il diciottesimo album in studio del Boss, impreziosito da solide collaborazioni. Nella tracklist, cover, brani riarrangiati e alcuni inediti. A trent'anni anni da "Born to run", il rocker statunitense ci consegna questo inno alla speranza
Walter Muto

Come iniziare a parlare del nuovo lavoro di un grandissimo come Springsteen? C’è un solo modo: ascoltarlo e provare ad individuare cosa ci vuole dire (testi) e come (musica). Si, perché le due componenti non si possono separare quando si tratta dei cosiddetti cantautori: quello che dicono le parole è importante, talvolta sovrasta la musica per importanza, ma è l’unione con la voce che le canta che ne fa qualcosa di più di una poesia o di un proclama.

Non essendo un fan di Springsteen, mi documento un po’ ed inizio l’ascolto. Scopro che l’album (12 canzoni) è un mix di covers - perlopiù già suonate live -, brani lasciati fuori da altri album del Boss, vecchi pezzi rimessi a nuovo e qualche brano originale. Scopro inoltre la presenza di una nutrita E-street Band, comprese alcune parti già registrate in precedenza degli scomparsi Clarence Clemons e Danny Federici. E scopro infine la presenza (in 8 brani su 12) di Tom Morello, chitarrista rock (già in Rage Against the Machine e Audioslave) unitosi a Springsteen durante il tour australiano del 2013, in sostituzione di Steve Van Zandt, temporaneamente impegnato su altri fronti. Springsteen stesso spiega che «Tom e la sua chitarra sono diventati la mia musa, spingendo questo progetto ad un altro livello». Una presenza corposa nell’album, che arricchisce e arrochisce il suono della band con i suoi riff ed i suoi assoli davvero convincenti. Motivati anche dal fatto - come ha detto Morello - di essere un grande fan del Boss. Bingo!

Andando in ordine sparso, ma non casuale, i classici riff e sonorità della E-Street Band si sentono in primo piano in Just Like Fire Would e Frankie Fell in Love, sicuramente i due brani più allegri e scanzonati di tutto il lavoro. L’impronta di Morello è già cospicua nel brano di apertura, la rotolante High Hopes, cover degli sconosciuti californiani Havalinas e già suonata dal vivo da Springsteen a metà degli anni ’90. Un inno alla speranza, già attuale allora, ancora più attuale e drammatico trenta anni dopo. Harry’s Place e Down in the Hole (impreziosita quest’ultima dalle belle armonie vocali di Patti Scialfa) sono i due brani non inclusi nell’album-post-torri-gemelle The Rising. Nel mezzo la sempre intensa American Skin (41 shots), dedicata alla morte di un giovane in seguito a 41 colpi di pistola sparati dai poliziotti di New York affrettatamente, visto che il ragazzo era disarmato. La sesta traccia è Heaven’s Wall, probabilmente appartenente ad un progetto gospel mai uscito, e i cui brani sono stati poi dispersi in altri lavori. «C’era una donna al pozzo, che attingeva acqua sotto il cielo blu del deserto. Disse che quell’acqua guarisce il cieco, risuscita da morte, cura tutte le malattie». Seguono i due episodi più legati ad una dimensione acustica, anche se di carattere radicalmente diverso. This Is Your Sword comincia da suggestioni irish, anche se subito vira verso territori più conosciuti: pipes e tin whistle restano intorno, ma ritmica e canzone sono puro Springsteen. Hunter of Invisible Game è invece un altro tipo di ballata, un valzer con un massiccio contributo di archi, ed è tutta incentrata sulla necessità di un tu per poter andare avanti: quando «la forza è vanità e il tempo un’illusione, ti sento respirare, il resto è confusione, la tua pelle tocca la mia, che altro c’è da spiegare?».

Ma è la triade conclusiva che rappresenta l’apice di questo lavoro. La traccia 10 è una versione lancinante di The Ghost of Tom Joad. Nel 1995, quando questo brano uscì nell’album omonimo, Springsteen venne come ospite al Festival di Sanremo, aprendo - solo chitarra acustica, armonica e testi tradotti a scorrimento - una delle serate della “gara” canora, e facendo capire a tutti la differenza fra artista e schiavetto del potere musicale. Tutti lo liquidarono come troppo americano: anche i drammi di cui parlava non sembravano preoccuparci più di tanto. Oggi che la profezia si è compiuta, la riproposizione di questo brano, le parole, la sfida chitarristica che avviene ci possono ridestare, come alcune grandi canzoni rock hanno fatto nella storia degli ultimi 60 anni. L’assolo finale di Morello è da annoverare fra i più belli e sentiti rock solo degli ultimi anni, anche perché non se ne sentono più molti… Riprende in mano le redini di Jimi Hendrix e cavalca con il fantasma del suo omonimo Tom (Joad).

La guerra del Vietnam - altra ferita irrisolta di Springsteen e dell’America tutta - affiora nella successiva The Wall, omaggio tributato a due musicisti del Jersey Shore che partirono per la guerra e non fecero ritorno. Uno era il primo batterista con cui Bruce suonò, ed il secondo il leader di una band locale, cui Bruce si ispirava da ragazzo. Il brano è toccante, estremamente intenso e commovente. L’interpretazione di Bruce è al top. Paragone improprio, ma forse non troppo: mi viene da metterla accanto a Sei minuti all’alba, di Jannacciana memoria. «Sigarette e una bottiglia di birra, questa è la poesia che ho scritto per te/questa pietra nera e queste lacrime dure sono tutto quello che è rimasto di te/ ti ricordo nella tua uniforme da Marine, ridendo forte alla festa per la partenza/ ho letto Robert McNamara quando ha detto: Mi dispiace…». Vivido, coinvolgente, diretto, con la musica intensa a sottolineare, anzi, ad amplificare il tutto.

Chiude Dream Baby Dream, è un’altra cover, stavolta del gruppo punk dei Suicide, già proposta dal Boss come bis finale di concerto per la sua natura corale e ripetitiva. «È un mantra», dice Springsteen», e funziona, perché la serata è così piena di dettagli narrativi e poi alla fine ci sono solo queste poche frasi ripetute, che sono l’essenza di tutto quello che ho detto e fatto nel corso del concerto. È una lezione riguardo a cos’è una canzone: questo è meraviglioso di questa canzone, è così semplice e puramente musicale».