La locandina del film.

Tante storie, un'unica attesa

Nove personaggi, nove situazioni diverse. Dal bambino prodigio al tossicodipendente. Dal poliziotto a un anziano produttore televisivo morente. Vicende che, improvvisamente, si ritrovano unite nel cantare la stessa canzone
Luca Marcora

La macchina da presa rallenta e la narrazione quasi si ferma. Fino a quel momento le vicende dei tanti personaggi che il regista Paul Thomas Anderson racconta - in questo che, ancora oggi, è probabilmente il suo film migliore - si erano intrecciate senza un attimo di tregua. Tante storie diverse che però in qualche modo hanno a che fare l’una con l’altra: c’è Frank T.J. Mackey (Cruise) che è da anni in rotta con il padre Earl Partridge (Robards), un anziano produttore televisivo che sta morendo accudito dalla giovane moglie Linda (Moore) e dall’infermiere Phil Parma (Seymour Hoffman). Ci sono poi Donnie Smith (Macy), ex bambino prodigio di un quiz condotto da Jimmy Gator (Baker Hall) e prodotto da Earl Partridge, e Stanley Spector (Blackman), attuale bambino prodigio nello stesso programma. E Claudia Wilson Gator (Walters), figlia tossicodipendente di Jimmy, e ancora Jim Kurring (Reilly), un poliziotto che incontra Claudia e Donnie… Ci si potrebbe perdere in questa galassia di personaggi se la regia di Anderson non fosse attenta a rendere ben comprensibile l’intreccio delle vicende che sta raccontando.

Eppure ad un certo punto il film rallenta improvvisamente e, uno alla volta, si vedono i personaggi cantare: ognuno solo nella propria situazione, ma misteriosamente uniti nel cantare la stessa canzone (Wise up di Aimee Mann). Perfino Earl, sul letto di morte. In questa sospensione narrativa si rivela il vero protagonista del film: l’attesa. L’attesa (e la domanda, che il cantare implica) che accada qualcosa che dia senso alle giornate di questi uomini, che accada qualcosa che possa sfondare la solitudine e faccia trovare la via giusta per avere, o tornare ad avere, un rapporto con l’altro. Il film era iniziato con la descrizione di alcuni eventi drammatici apparentemente casuali, ma la voice over aveva subito dichiarato che possono essere solo coincidenze: così i protagonisti, presi nelle loro circostanze apparentemente casuali, per tutto il film si muovono nell’attesa che succeda qualcosa.

E qualcosa accade, qualcosa di talmente imprevedibile che fa scoppiare i loro drammi, ma che nella sua eccezionalità sembra quasi essere l’oggetto dell’attesa: dal cielo cominciano a piovere rane. Un diluvio dai toni biblici e, forse proprio per questo, a suo modo epifania sui generis del divino. Dopo questa surreale pioggia la tensione si allenta e ciascuno trova il modo di riconciliarsi con sé, con il proprio passato e con gli altri. Hanno trovato la risposta ai loro bisogni? Di certo da quel momento rinasce in loro la speranza. Non è un caso che l’ultima immagine sia quella di un sorriso liberatorio, tanto folgorante quanto inatteso: perché ogni uomo vive nell’attesa che accada qualcosa o qualcuno che dia senso alla propria vita. Forse Magnolia non riesce a definire bene quale sia l’oggetto vero di questa attesa, e allora può solo mettere in scena un evento simbolico, quale è la pioggia delle rane. Però una cosa la dice chiaramente: che non siamo vittime del caso e che, se l’uomo attende è perché, da qualche parte, la risposta ci deve essere. E prima o poi deve arrivare.

Magnolia (id., USA 1999) di Paul Thomas Anderson
con Tom Cruise, John C. Reilly, Julianne Moore, Philip Baker Hall, Jeremy Blackman, Philip Seymour Hoffman, William H. Macy, Melora Walters, Jason Robards
DVD e Blu-Ray: Medusa