Il direttore del Cmc Camillo Fornasieri e l'attore Giacomo <br>Poretti durante la serata di inaugurazione.

Si riparte dalla simpatia per l'umano

Ieri sera l'inaugurazione della sede in largo Corsia dei Servi, a pochi passi dal Duomo, alla presenza delle autorità cittadine e religiose. «Che sia uno spazio umano per custodire la libertà», l'augurio di Julián Carrón, «un bene per tutti»
Luca Fiore

«Certo che voi siete ostinati con questa simpatia verso l’umano! Ma non darebbero meno problemi i cani e i gatti?». Giacomo Poretti fa il suo mestiere e fa ridere la platea riunita nel nuovo Auditorium Cmc – Spazio Banterle per l’inaugurazione della nuova sede del Centro culturale di Milano, in largo Corsia dei Servi 4, stretto tra i centralissimi Corso Vittorio Emanuele e Corso Europa. «Troppo vicino allo Juventus Store», lamenta il comico interista. Erano presenti le autorità cittadine (l’assessore alla Cultura del Comune, Filippo del Corno, l’assessore regionale Cristina Cappellini, il presidente del Consiglio regionale Raffaele Cattaneo, il vicario episcopale per la Cultura, monsignor Luca Bressan), personalità del mondo Culturale (Salvatore Carrubba, presidente del Piccolo Teatro, André Ruth Shamman, del Teatro Parenti, Luca Doninelli per il Teatro degli Incamminati, Mario Gatti per l’Università Cattolica, il pittore Alessandro Papetti), rappresentanti del centro islamico di via Padova e il parroco ortodosso della vicina chiesa di Sant’Ambrogio di Milano (già San Vito). E c’era anche don Julián Carrón, presidente della Fraternità di CL, successore di don Giussani, ispiratore della nascita del Centro culturale che quest’anno compie trentacinque anni.

La nuova sede, realizzata su progetto dello storico Studio Caccia Dominioni, è di proprietà della Diocesi, ma gestita dal Comune in quanto struttura di «interesse generale». Ora, grazie a una convenzione, il Centro Culturale ha potuto, con l’aiuto della Fondazione Cariplo, ristrutturarla e ricavare, oltre ai suoi uffici e all’auditorium, cogestito col Teatro degli Incamminati, anche una libreria e uno spazio espositivo. Del Corno ha voluto sottolineare l’importanza del fatto che questa struttura torni alla città con una finalità pubblica, perché il nuovo inizio del centro può essere «un seme per una pianta che può produrre ossigeno di idee per Milano». Dal canto suo, Cappellini ha chiesto che il lavoro culturale diretto da Camillo Fornasieri aiuti ad approfondire l’identità della città, perché, ha detto citando J.R.R. Tolkien: «Radici profonde non sono raggiunte dal gelo». Cattaneo ha rievocato, da giovane matricola all’Università Cattolica, la sua partecipazione al nascente Centro culturale San Carlo, come ancora si chiamava e ha sottolineato come oggi, anche nel capoluogo lombardo, il rapporto tra politica e cultura sia anoressico. Eppure Milano, aveva osservato poco prima Salvatore Carrubba, ha sempre coltivato un rapporto vivo tra politica e cultura, non cedendo alla logica della mera spartizione del potere. Una tradizione che va rivitalizzata, alimentandola tenendo viva la fiammella del dibattito e promuovendo un rapporto di collaborazione sussidiaria tra le istituzioni pubbliche e private presenti in città.

Monsignor Luca Bressan, invece, ha riferito i consigli che al Cmc vuole dare l’arcivescovo Angelo Scola: aiutare a dilatare i confini della ragione, essere un luogo di cattolicità (intesa come aiuto a pensare all’unità della persona e come apertura al rapporto con le altre culture) e permettere «l’irruzione della realtà» nella vita delle persone.

«Il vantaggio del momento storico che stiamo attraversando è che ci sta costringendo, in qualche modo, ad essere più umili e meno presuntuosi», ha detto nel suo intervento don Carrón. In un periodo di capovolgimenti epocali, ha spiegato «è più facile incontrarsi, riconoscere che l’altro è prezioso». In questo senso è auspicabile che il Cmc possa essere «uno spazio umano dove la libertà sia custodita, dove il contributo di ciascuno sia stimato e valorizzato come un bene che rende tutti più ricchi». Un luogo aperto dove, per dirla con papa Francesco, avviare nuovi processi. E il metodo, spiega il sacerdote spagnolo, è indicato da don Giussani quando diceva che lo sguardo cristiano «vibra di un impeto che lo rende capace di esaltare tutto il bene che c’è in tutto ciò che incontra, un amore alla verità presente, fosse anche per un frammento, in chiunque. Si sottolinea il positivo, pur nel suo limite, e si abbandona tutto il resto alla misericordia».

E all’augurio si aggiunge un monito, che è lo stesso pronunciato da Giovanni Testori in occasione dei dieci anni del Cmc: «Guai se vi venisse la tentazione di chiudervi. Imparate da don Giussani a sentirvi sempre aperti, a stupirvi di chi viene, a stupirvi anche delle cattiverie e delle ingiustizie. Bisogna saperle combattere, perché è giusto; ma al fondo che bello se qualcuno riuscisse a pregare per chi vi, e ci, colpisce».

È un altro modo per parlare di quella «simpatia per l’umano» citata da Poretti che, insieme allo «sfrontato affetto per il Titolare» che fa tutte le cose, sarebbero le due caratteristiche del Centro culturale. «E io che soffro delle vostre stesse ostinazioni», ha concluso il comico-scrittore, «vi voglio augurare che quando ci capiterà di sentirci fragili e provvisori come una pianta da appartamento, ci vengano in soccorso le parole del Profeta: “Così sarà la parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata”».