Un momento dei lavori.

MONACHESIMO Quel ponte tra fede e ragione

Sabato 17 e domenica 18 ottobre, il Convegno della Fondazione "Russia Cristiana" ha ripreso i temi affrontati dal Papa a Ratisbona, alla Sapienza e al Collège des Bernardins. Scoprendo, in questa sfida, «un’unità profonda tra Oriente e Occidente»
Fabrizio Rossi

Qual è il rapporto tra ragione e fede? Quali tragedie si verificano se la prima crede di poter fare a meno della seconda? Quale ricchezza può venire ad entrambe, invece, quando non si contrappongono? Sono alcuni dei temi affrontati nel Convegno internazionale “Cercatori dell’eterno, creatori di civiltà. Il monachesimo tra Oriente e Occidente”, promosso dalla Fondazione Russia Cristiana sabato 17 e domenica 18 ottobre presso la sede di Seriate (Bg). Temi al centro anche dell’incontro che, venerdì 16, ha inaugurato il Convegno all’Università Cattolica di Milano, dove - in un’Aula Magna stracolma - su “La ragione sete di infinito” si sono confrontate Tat’jana Kasatkina, che all’Accademia delle Scienze russa dirige il Dipartimento di Teoria della letteratura, e Ol’ga Sedakova, poetessa e docente all’Università Statale di Mosca.
«Abbiamo voluto riprendere la sfida lanciata dal Papa nei famosi discorsi a Ratisbona, alla Sapienza e al Collège des Bernardins - spiega Adriano Dell’Asta, docente di Lingua e letteratura russa alla Cattolica, tra i curatori del Convegno -: fede e ragione devono procedere insieme. È un cristianesimo integrale che coinvolge tutta la vita, com’è avvenuto nell’esperienza del monachesimo indicata da Benedetto XVI». Di qui, il ponte tra l’Occidente e la Russia: «Ciò che ha detto il Papa descrive molto bene anche la tradizione orientale. È sbagliato identificare la nostra tradizione con il razionalismo e quella orientale con la fede: su fede e ragione, tra Europa occidentale e Russia c’è un’unità profonda».
È quanto hanno messo in luce i vari relatori, ognuno approfondendo una sfaccettatura della questione. Dalla medievista Maria Pia Alberzoni, che ha delineato la nascita del monachesimo, al linguista Eddo Rigotti, che ha indagato le relazioni tra la Parola intesa come Sapienza e Logos e la parola come discorso. Dallo storico della Chiesa Aleksej Judin, che ha individuato i punti di contatto tra monaci provenienti da tradizioni diverse, come Bernardo di Chiaravalle e Sergio di Radonež, all’economista Simona Beretta, che s’è soffermata sull’idea di eterno nel quotidiano: «La cultura del lavoro che ha fatto l’Europa fiorisce sulla relazione vitale fra il quotidiano e l’eterno - ha spiegato nel suo intervento -: i cristiani, nel loro piccolo “fare”, riconoscono di collaborare all’opera della creazione. Oggi, tra bufera finanziaria e grandi sconvolgimenti istituzionali, è più urgente che mai scoprire il nesso tra il lavoro e il significato ultimo del reale».
Una sfida che oltrepassa le mura del monastero, dunque, riguardando ogni uomo. È la «passione per l’essenziale» propria del cristiano, segnato dall’«impatto con Cristo a partire dall’evento decisivo del Battesimo», come ha sottolineato don Stefano Alberto in un intervento sull’esperienza dei movimenti nella Chiesa: «Il senso profondo dei movimenti è il richiamo alla memoria di Cristo e una continua educazione ad una fede integralmente vissuta». Quella fede che, per il dissidente russo Vladimir Poreš, veniva prima della carriera e dell’affetto della famiglia: «Tanto che, interrogato dal giudice su cosa l’avesse portato a rinunciare a tutto ciò - ha raccontato don Stefano Alberto -, rispose: “Per noi cristiani è poco: noi vogliamo tutto il mondo”».
È quanto emerso negli interventi con cui s’è chiuso il Convegno, tenuti non a caso da due monaci: l’igumeno ortodosso Pëtr Mešcerinov, del monastero San Daniil a Mosca, e padre Sergio Massalongo, priore del monastero dei Santi Pietro e Paolo alla Cascinazza, nella campagna a sud di Milano. Descrivendo cosa porta un uomo oggi ad entrare in monastero, padre Mešcerinov ha evidenziato «una sorta di motivazione negativa: c’è chi pensa, spesso, di liberarsi così da passioni che lo tormentano o da una dipendenza, come ad esempio l’alcolismo. Ma non va molto lontano». Al contrario, «non ci si può ritirare nel monachesimo - ha affermato -: lo si può solo abbracciare. Non per il desiderio di liberarsi da qualcosa, ma per la ricerca di Cristo stesso». Uno spunto ripreso, con grande sintonia, da padre Massalongo: «La vita monastica non è una fuga dalla realtà o da una responsabilità, ma il contrario: è una missione per sostenere la speranza dell’umanità». Non una via particolare per seguire Cristo, quindi, ma un segno di ciò cui è chiamato ogni battezzato: «“Ora et labora” dice la coincidenza fra quotidianità e rapporto con Cristo. Nulla rimane fuori: anche il più umile lavoro in Cristo acquista un significato infinito. Ecco cosa ha potuto costruire, nei secoli, una vera civiltà e unità tra i popoli».