La presentazione di <em>Luigi Giussani. Su vida</em> <br>a Buenos Aires.

"Su vida" continua a pulsare

Il paragone con il "Danubio" di Magris e la riscoperta del metodo cristiano. Ecco il racconto della presentazione della biografia di don Giussani a Buenos Aires con Alberto Savorana e il filosofo Carlos Hoevel
Horacio Morel

L'Aula Magna della Facoltà di Medicina dell’Università di Buenos Aires ha fatto da straordinaria cornice a un'autentica festa. Un incontro tra amici vecchi e nuovi, tutti attratti dalla generosa testimonianza di un grandissimo uomo che ha mobilitato il cuore e la vita di migliaia di persone.

I posti dell'imponente aula universitaria si sono a poco a poco riempiti. Saluti cordiali, abbracci affettuosi e l'evidente bellezza di un ordine studiato e curato nel particolare per la buona riuscita del gesto, hanno accolto coloro che arrivavano. Qualcuno da lontano, con alle spalle molte ore di viaggio.

Era la presentazione di un libro, ma perché introdurla con un canto? Perché nelle quasi milletrecento pagine di Luigi Giussani. Su vida (Ed. Encuentro) di Alberto Savorana, e prima e dopo di esse, c’è una vita straripante che valeva la pena celebrare. E, il canto che hanno offerto Claudia e Julio, era l’espressione umana più adeguata per farlo.

La presentazione ha avuto per protagonisti lo stesso Alberto Savorana e Carlos Hoevel, professore di Filosofia economica e politica presso la Pontificia Università Cattolica argentina. Per l'autore è stata l'ennesima occasione di parlare di un lavoro che lo ha impegnato per cinque anni, facendolo accostare in modo nuovo a don Giussani, con cui aveva avuto il privilegio di condividere vent'anni di lavoro. Tuttavia, nella sua voce non c'era la minima traccia di ripetizione o di stanchezza: in ogni episodio del libro riecheggiava la sorpresa della prima volta.

Carlos non ha conosciuto personalmente don Giussani, ma ciò non gli ha impedito di darci un'impressionante testimonianza della novità che ha trovato nella lettura dei suoi testi e ora della sua biografia. Stranamente, per parlare dell'opera che doveva presentare, ha commentato un altro libro, Danubio di Claudio Magris, in cui un eterogeneo gruppo di persone si imbarca per risalire il grande corso d'acqua che attraversa l'Europa, simbolo per eccellenza della civiltà occidentale, alla ricerca della sorgente. Gli avventurieri, sconcertati, non trovano ciò che cercavano, bensì una vecchia casa dove abita una anziana signora che, quando le chiedono da dove sgorghi l'acqua, li porta in cucina e mostra loro un rubinetto aperto. È così che Carlos ha provato a spiegare come la nostra civiltà abbia perso il legame con la propria origine, e che don Giussani, invece, ci ha condotto fino a quella fonte che abbiamo smarrito, ci ha aiutato «a ritrovare la sorgente da cui sgorga la vita delle cose e delle persone, di noi stessi, del cristianesimo, della Chiesa e del significato ultimo del Mistero». E poi ha aggiunto che «entrare in contatto con don Giussani, significa entrare in contatto con questa fonte viva». Il libro gli aveva fatto compagnia nei mesi scorsi, perfino in spiaggia, e ai curiosi che gli domandavano cosa fosse quel grosso volume, aveva risposto: «Un romanzo di avventura, di passione e d'amore a lieto fine».

Dopo di lui, Savorana ha parlato del percorso personale di don Giussani, raccontando come sia stato condotto fin da piccolo alla fonte della vita e alle domande fondamentali dell'esistenza da un padre socialista e da una madre cattolica («il polo della ragione e il polo della fede»), che lo incoraggiarono a ricercare sempre questa fonte. Il padre, pregandolo di darsi le ragioni di tutto ciò che insegnava, aveva fornito al figlio, ormai seminarista, uno strumento per arrivare alla meta. Questa sensibilità, intensificata dall'educazione ricevuta in famiglia, è stata una condizione necessaria per le precoci scoperte di don Giussani: a tredici anni, quando ascolta l'aria Spirto gentil di Gaetano Donizetti, al vibrare della primissima nota che esprime la nostalgia per un amore perduto, dice: «Ho intuito con struggimento… Per la prima volta io capii che Dio c'era». E perché non poteva non esserci una risposta al grido dell'uomo. Più tardi, a quindici anni, quando, dopo aver studiato a memoria le poesie di Giacomo Leopardi, giunse quello che sempre avrebbe ricordato come «il bel giorno» in cui un suo professore, Gaetano Corti, lesse e spiegò il prologo del vangelo di Giovanni: «Il Verbo si è fatto carne». Fu lì che comprese che tutte le esigenze di verità, libertà, giustizia, amore e bellezza annidate nel cuore umano erano diventate una realtà incontrabile: un uomo, Gesù, si presentava come la sorgente delle esigenze di ogni uomo. «Così cominciò la grande avventura di don Giussani», ha detto Savorana, una «febbre di vita» che si esprime in un desiderio profondo: «Io non voglio vivere inutilmente».

Entrambi i relatori hanno parlato anche della novità portata da don Giussani nella vita della Chiesa: la riscoperta del metodo cristiano. Secondo Hoevel, per don Giussani il primo passo era «addentrarsi nell'esperienza come apertura alla realtà totale, con tutte le capacità dell'io». L'inizio del metodo sta nell'esplorare il proprio cuore e le esigenze fondamentali che lo costituiscono. «Il secondo momento è quello dell'Avvenimento, ha detto ancora. Cioè il riconoscimento di una Presenza che risponde a quelle esigenze. E, infine, il terzo passaggio: mettersi in cammino, seguire. Da parte sua, Savorana ha fatto notare che la questione del metodo può sembrare astratta, ma che per don Giussani era qualcosa di molto concreto. E che già nel 1951 aveva posto radicalmente la questione del metodo, rendendosi conto che per i giovani cattolici che frequentava nella parrocchia dove confessava ogni sabato – tutti battezzati e praticanti – la fede non pareva aver nulla da dire rispetto alla vita concreta, ridotta piuttosto a pratiche morali e religiose di cui non conoscevano il significato. «Non è colpa loro», diceva don Giussani: «Probabilmente non hanno mai incontrato nessuno che gli abbia insegnato un metodo per verificare se quello che hanno appreso in famiglia o a catechismo li aiuta a vivere anche a scuola». In quel periodo era andato a confessarsi, spinto dalla madre, un ragazzo con lo sguardo tagliente di chi non crede in nulla e il cui ideale di uomo è il Capaneo dantesco, il gigante incatenato da Dio, che lo bestemmia, gridandogli che può imprigionarlo, ma non può togliergli la libertà di bestemmiarlo. Don Giussani, per nulla infastidito dalla dichiarazione del giovane, lo aveva sfidato: «Ma non è più grande ancora amare l'infinito?».

Alla fine è arrivata la domanda sulla contemporaneità di Cristo, cioè, se noi, uomini di oggi, «possiamo sperimentare la presenza di Cristo allo stesso modo degli apostoli». Hoevel ha risposto che nella società c'è la sensazione che la Chiesa sia in crisi e che, benché la figura del Papa sembri portare una rinascita, il disagio rimane. Tuttavia «la Chiesa non può essere in crisi, noi cristiani lo siamo. La Chiesa è una realtà talmente forte, e rimanda così direttamente a Cristo, sua origine, nel modo in cui don Giussani raccontava con vivacità l'incontro tra i protagonisti del Vangelo e Cristo, che essa non può trovarsi in crisi, poiché trascende ampiamente tutte le nostre miserie ed è la realtà della nostra unità, tra noi e Cristo». Savorana ha sottolineato che per don Giussani «Giovanni e Andrea sono il canone, il paradigma per qualunque momento della storia». Come Cristo può essere contemporaneo per noi oggi? «Nello stesso modo in cui lo fu duemila anni fa in Palestina», ha detto l'autore: «Tutto nacque e nasce anche oggi dall'imbattersi in una umanità così diversa da risvegliare il desiderio di rincontrarla. Dio si rende presente come Misericordia. Come dice papa Francesco, il luogo privilegiato dell'incontro è la carezza della misericordia di Gesù Cristo verso il mio peccato. È grazie a questo abbraccio di misericordia che viene voglia di rispondere e di cambiare, e che può scaturire una vita diversa». E, per don Giussani, oggi come duemila anni fa, Cristo mostra il volto di questa misericordia attraverso un volto umano. Ha detto ancora Savorana: «Duemila anni fa le persone non incontravano la seconda persona della Trinità, ma un giovane di trent'anni, così affascinante che lasciavano tutto per seguirlo. Quella sequela ha attraversato tutta la storia fino al momento presente, fino a noi».

Don Giussani affermava che «la gioia più grande della vita dell'uomo è quella di sentire Gesù Cristo vivo e palpitante nelle carni del proprio pensiero e del proprio cuore», ha concluso Savorana: «Ovvero contemporaneo. Perché può essere vivo e palpitante solo qualcosa che è presente, non un fatto del passato. Don Giussani ha speso tutta la vita perché migliaia e migliaia di persone potessero scoprire come Cristo può essere vivo e palpitante oggi».