La presentazione di "Vita di don Giussani" con <br>Giuliano Pisapia e Luciano Violante.

Un cristianesimo non impaurito dalla vita

Gli anni del Berchet e l'idea di giustizia in don Giussani raccontati da Giuliano Pisapia e Luciano Violante a una platea di avvocati e magistrati. Cronaca dell'incontro sulla biografia del fondatore di Cl proposto dalla "Libera associazione forense"
Paola Bergamini

«Nel 1964 tra gli alunni della I A al Berchet c’ero anche io ad ascoltare quel giovane prete “brutto e affascinante”, come è stato scritto». Esordisce così il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, sorprendendo le oltre duecento persone, tra avvocati e magistrati - in platea, tra gli altri, il presidente del Tribunale dei minori Mario Zevola e il vicesindaco Lucia De Cesaris -, venuti alla presentazione della Vita di don Giussani, organizzato dalla Laf (Libera associazione forense) il 9 giugno, nella splendida sala Barozzi dell’Istituto dei ciechi. Sul palco a introdurre, Cesare Pozzoli, presidente della Laf, insieme al primo cittadino, l’ex presidente della Camera Luciano Violante e Alberto Savorana, autore del libro. Due avvocati, due personalità pubbliche che direttamente e indirettamente sono state segnate dall’incontro con il prete brianzolo.

Pisapia prosegue il racconto di quegli anni così importanti quando la sua vita si è imbattuta con don Giussani. In classe, nelle discussioni durante l’ora di religione. A un compagno che chiedeva provocatoriamente se era giusto che un genitore marxista desse un’educazione marxista ai propri figli, il professore di religione, spiazzandoli, aveva risposto: «Sì». Ricorda il sindaco: «In quell’anno ho imparato cosa significa comprendere le ragioni dell’altro. Ci colpiva il suo modo di parlare della religione uscendo dagli schemi, parlando delle cose del mondo. Con lui la religione non era più lontana dalla realtà, non erano regole. Cristo, dopo duemila anni, era il punto unificante; poiché si era fatto uomo, collegava la fede al quotidiano».

Il racconto diventa sempre più vivo, lontano da un ricordo chiuso nel passato. E attraverso le sue parole sembra di vedere e ascoltare Giussani: «Ci diceva: “Non sono qui perché riteniate come vere le cose che vi dirò, ma per insegnarvi un metodo per verificare se sono vere”». Poi le domeniche in Bassa a far giocare i bambini. «Provenivamo tutti da famiglie agiate, non sapevamo cosa fosse la povertà. Lì ho imparato la solidarietà. In quel gesto c’era qualcosa che innanzitutto serviva a me».

Un’attenzione al bisogno dell’altro, che ha plasmato la sua esistenza e che rivive oggi nel suo incarico pubblico, ad esempio, attraverso l’aiuto ai profughi siriani che arrivano a Milano. Ma il punto importante rimane quello: il metodo. «Penso che Giussani sia riuscito ad “ammaliare” in senso positivo tanti ragazzi che altrimenti non sarebbero stati in grado di ragionare con se stessi. Anche per chi dopo se ne è andato». Come è stato per il futuro sindaco. La sua vita ha preso altre strade. La sua fede si è trasformata in un continuo dialogo interreligioso, ma con dentro ancora quell’anelito di ricerca. Qualcosa forse di incompiuto. Non a caso, ha concluso raccontando dell’incontro con papa Francesco e un gruppo di sindaci. «Ci ha detto che alla sera si sente triste pensando a tutte le cose che avrebbe potuto fare e non ha fatto. “Immagino che capiti anche a voi”. È vero. In questo l’ho sentito vicino. Anch’io alla sera sono triste per questo. Chissà che rapporto avrebbe avuto Giussani con papa Francesco…».

Violante ha “incontrato” don Giussani solo dopo la sua morte. Ma anche per lui è stato un incontro con una presenza che lo interroga. «Savorana racconta la storia di una vita e lascia al lettore il compito di cogliere il senso di quell’esistenza». L’ex presidente della Camera parla di “realismo cristiano” di un uomo molto dentro la vita; Giussani non comunica delle regole, ma dei comportamenti. «Bisogna essere presenti nel mondo, solo dopo può avvenire la trasformazione. E questo ha grande valore anche nell’esperienza politica. Bisogna guardare prima la persona per poter risolvere i problemi». Secondo Violante quello di don Giussani è «un cristianesimo non impaurito dalla vita. Dove il Mistero non è una scappatoia, ma un’occasione per approfondire il senso della vita». Parole importanti, dette da chi si definisce “credente non praticante”, ma che rivelano una sana inquietudine e l’esigenza di una risposta sempre ricercata, anche a 73 anni. Per questo, continua, nella società moderna dove si comunica tanto attraverso sms, email eccetera, si è «collettivamente soli», «la vita per molti è una sequenza di solitudini».

Quanto al tema della giustizia, che gli sta particolarmente a cuore, Violante concorda con don Giussani: «Non basta la giustizia, occorre una misericordia». La giustizia umana non è sufficiente. Cosa manca? Dove sta la speranza? Ci vuole misericordia. Questo il termine usato da Giussani. Che, per il laico Violante, in una società di «relazioni sociali frantumate» significa appartenenza, riscoprire il senso della comunità che è fatta di diritti, ma anche di doveri, cioè di vincoli, troppo spesso oggi offuscati e dimenticati. Doveri che risiedono dentro i nostri cuori. Quelle esigenze elementari che Giussani non si stancava di ripetere come decisive per vivere. Un’appartenenza che consente di «comunicare fuori dai recinti» e che dà speranza. «Come la dà questo libro. Che fa pensare al messaggio di Cristo come generale, valido per ogni persona; bisogna stare dentro la società, conoscerla per trasformarla.

È sorprendente come, a distanza di nove anni dalla morte, Giussani parli ancora al cuore delle persone. Come ha sottolineato Savorana. E viene da pensare che anche lui sia rimasto sorpreso da quanto ha appena sentito. «Mai tranquilli», ripeteva Giussani. Niente può essere preconfezionato, neanche se è l’ennesima presentazione a cui si partecipa. «Il cristianesimo è un avvenimento che può essere solo testimoniato. Questo è il realismo cristiano». E riprendendo le ultime parole del Sindaco, ricorda come Giussani sentisse forte il tema della propria impotenza, della sproporzione strutturale che è di ogni uomo, esattamente come il Papa o il sindaco che alla sera pensano a quanto avrebbero potuto fare. «In questo senso don Giussani ha voluto solo far crescere persone coscienti di sé e del proprio limite che è intrinseco all’essere umano e per il quale Cristo si offre come risposta. La fede gli fa sentire tutti vicini, attento al cuore inquieto di chi cerca. La vera lotta è contro il potere che vuole ridurre il desiderio di bene dell’uomo». Solo così si costruiscono le comunità desiderate da Violante, formate da persone che vivono all’altezza dei loro desideri.