Don Ciccio Ventorino con Giussani.

Quelle migliaia di chilometri insieme…

Il 17 agosto è morto, a 83 anni, don Francesco Ventorino, teologo e tra i primi sacerdoti amici di don Giussani dalla fine degli anni Cinquanta. È stato "padre" di tanti nella storia del movimento, soprattutto nella sua Sicilia
Francesco Inguanti

Quando ho conosciuto don Ciccio, nel marzo del 1967, avevo 17 anni e lui ne aveva 35. Ma il rapporto con me, e con i tanti giovani della mia generazione, non era mai identificabile in un ruolo: sapeva essere contemporaneamente fratello maggiore, padre, autorità cui obbedire, amico e confidente cui aprire il proprio cuore di adolescente. Accanto a lui ho trascorso gran parte delle mie giornate per oltre quindici anni, sempre alla ricerca del segreto che lo rendeva imitabile, malgrado il suo carattere, che certo al primo impatto non sempre suscitava voglia di emulazione.

Da lui ho imparato l’uso del tempo. Non ricordo di averlo mai visto "senza aver nulla da fare". Quando doveva attendere qualcuno o qualcosa aveva sempre in mano un libro, spesso il Breviario, sempre pronto a chiuderlo immediatamente per ascoltare chi aveva di fronte. Quello che don Giussani diceva sul significato del tempo che non deve passare inutilmente io lo vedevo nell’organizzazione delle sue giornate, in cui c’era spazio per tutto, ma non per il vuoto.

Grazie a lui ho conosciuto, nell'estate del 1968, dopo un viaggio in treno di oltre trentasei ore, don Giussani, nella prima vacanza fatta sulle Dolomiti. E, a seguire, quelli che capii subito essere i suoi migliori amici: don Francesco Ricci, don Fabio Baroncini, don Pino De Bernardis e tanti altri, che non nomino per non dimenticarne qualcuno. Non avevo mai visto fino a quel momento tanti preti che erano sul serio amici e a quell'amicizia anche noi giovanissimi potevamo partecipare in modo semplice. Poi tanti altri: Sante Bagnoli, Peppino Zola, Pier Alberto Bertazzi, Roberto Formigoni, Angelo Scola (non ancora prete), e tantissimi uomini e donne che mi aprirono ad un mondo e ad una vita che non pensavo nemmeno potesse esistere. «La promessa di felicità», «il centuplo quaggiù» e frasi simili erano vere e concrete, non erano un'illusoria promessa. E quando tornavo a casa dalle vacanze o dai ritiri, tutto quello che era immagazzinato nella memoria veniva tradotto, sminuzzato e digerito nel rapporto quotidiano con lui, in cui si passava dal pregare al giocare insieme, soprattutto a carte, dal leggere al discutere, sempre con passione e semplicità.

L’unica cosa in cui era carente era la passione per il calcio. Malgrado gli anni trascorsi in seminario, non era un appassionato né un tifoso. E quando accadeva che le riunioni fossero in coincidenza di importanti partite di calcio, si apriva una sfida nella sfida ed anche in questo imparavamo tutti, tifosi e non tifosi, cosa fosse più importante nella vita. Il massimo che ci concesse fu vedere insieme la finale dei Mondiali nel 1982. Ma il motivo ce lo disse alla fine: non gli interessava il risultato, ma vedere come la gente si comportava di fronte ad un evento così importante. Così quando scendemmo in piazza a festeggiare, lui tornò a casa perché aveva capito abbastanza.

Lui ci ha insegnato a scegliere e leggere i libri giusti. Ne leggeva tantissimi, almeno secondo me, e poi ce li raccontava e divenivano materia di studio per tutti: a quei tempi si chiamavano “Gruppi di studio”. Ovviamente aveva un sacro rispetto per i suoi libri, talvolta li prestava pure, purché fossero restituiti per tempo e nella stessa condizione con cui erano stati dati. Abbiamo letto e conosciuto così autori ignoti anche ai professori dell’università di allora, ma sui quali ci siamo poi formati ed educati sempre con rigore e libertà. Inutile aggiungere che lo stesso valeva per i film. Il cineforum era un appuntamento cui non mancare e le discussioni dopo le proiezioni duravano talvolta più della proiezione degli stessi film.

Tramite lui il mio rapporto con don Giussani è nato e si è approfondito. Quando tornava dai suoi periodici viaggi a Milano era un vulcano, più potente dell’Etna. Per primo ci parlava di don Giussani, di quello che si erano detti e di quello che voleva farci sapere suo tramite. Pur senza i moderni mezzi di comunicazione, il racconto ci trasportava idealmente alla sua presenza, merito della sua grande capacità di immedesimazione con il don Gius. In modo che quando dopo tempo potevamo incontrarlo personalmente, sempre a Milano, era come se ci avesse visto il giorno prima, ci conosceva uno ad uno e di ciascuno voleva sapere tutto. Così capivamo di che parlavano quando erano insieme da soli.

Con lui ho imparato a “fare” il movimento. I due ingredienti erano la grande passione per ogni persona e la quantità incalcolabile di chilometri che facevamo insieme ad altri. In una Sicilia che cominciava a vedere i primi tratti di autostrada, si partiva in auto il sabato (appena finita la scuola e senza fare pranzo) e si tornava la domenica sera dopo aver visitato comunità sperdute centinaia di chilometri in tutta la Sicilia: ho scoperto così che insieme ad Alcamo, Castellammare,Termini Imerese, Centuripe esistevano paesi di nome Buseto Palizzolo, Case Sante, Realmonte, Serradifalco; e lì c’era qualcuno del movimento da andare ad incontrare. Ho scoperto tutto ciò per la passione all’uomo e al movimento che lo rendeva instancabile e pronto ad ogni sacrificio. Il nostro arrivo era ovunque una festa: lo aspettavano da mesi (era l’unico sacerdote del movimento in tutta la regione), e lui li conosceva tutti (come il pastore della parabola). Si facevano gli incontri, ma poi c’era tempo per parlare con tutti, se necessario fino a notte fonda. E poi c’era il rito dell’agenda: stabilire la data della prossima visita, alla quale tutti si impegnavano a venire preparati, perché nessuno voleva sprecare l’opportunità di rincontrare don Ciccio. Si andava in giro non solo per fare riunioni, ma anche per fare vacanza, come un'indimenticabile settimana a Pantelleria con don Carmelo Vicari e pochi altri, trascorsa in interminabili giocate a scopone e altrettanto interminabili discussioni su tutto e su tutti. Non c’era argomento che non lo interessasse, ma non per curiosità ma perché tutto era motivo per verificare se «la fede c’entra con tutto».
Il movimento in Sicilia, sopratutto negli anni Sessanta e Settanta è cresciuto grazie ai chilometri fatti e alla passione per l’umano, per ciascun umano che si incontrava. Talvolta gli chiedevo: «Ma perché facciamo tanti chilometri per incontrare quattro gatti che al massimo ci fanno la cortesia di accoglierci?». E mi rispondeva narrando dei primi viaggi degli apostoli, concludendo: «Se avessero ragionato come te, la Chiesa non si sarebbe diffusa così rapidamente o forse sarebbe morta subito».

E poi c’era l’affettività, quello che ci appariva il più grande problema della nostra adolescenza. Se ne parlava con lui con semplicità e rispetto, senza indulgere in moralismi. Ci educava al “rapporto affettivo” (così si chiamava) invitandoci a guardare sempre più avanti, a quelli sposati perché avessimo sempre degli esempi cui guardare. E quando man mano ci siamo sposati un po’ tutti, ci ripeteva: «Fate attenzione perché i giovani vi guardano e vogliono sapere da voi se fate sul serio o se scherzate». Ma se veniva a cena a casa di uno di noi che era già sposato, non c’era argomento che non fosse degno di essere messo in comune: dall’uso della televisione a quello dei soldi, dal tempo da dedicare al lavoro al numero dei figli da avere.
Poi anch’io sono diventato adulto. Ho messo su casa e figli, ho cambiato città, ho vissuto il movimento altrove e con altri amici. Una volta mi rammaricai della lontananza che mi costringeva a vederlo raramente. Mi disse più o meno così: «Quello che avevo da dirti te l’ho detto in tutti questi anni; se non l’hai capito finora… Però sai che, quando vuoi, puoi venire a trovarmi in qualunque momento».

Lui ha cominciato a divenire anziano e sofferente, continuando a servire l’uomo e la Chiesa in ogni momento. Così si spiega il suo ultimo impegno tra i reclusi del Carcere di Catania. Libero da agende cui "obbedire”, da riunioni da fissare, viaggi da organizzare, ha offerto la sua umanità a quella umanità derelitta e vilipesa che abita in piazza Lanza a Catania. E da questo incontro è nato… Ma questo ce lo racconterà meglio, quando ci rincontreremo. So che aspetta me e ciascuno delle migliaia di persone in cui ha inoculato in tanti anni la voglia di vivere la pienezza della vita.