Il pellegrinaggio di CL a Caravaggio.

«Senza misericordia non c'è cammino»

Sabato scorso 20mila aderenti a CL da tutta la Lombardia al Santuario della Madonna di Caravaggio, nella bergamasca. Le parole di don Carrón e quelle del cardinale Scola. E la gratitudine per una Presenza da cui ripartire
Davide Perillo

«Che gratitudine sconfinata per la Sua misericordia lungo tutto questo anno!». Senti le parole con cui Julián Carrón apre il suo intervento, posi gli occhi sul popolo che ti circonda - uomini e donne, bambini ed anziani: e disabili, famiglie intere, gruppi di studenti -, e pensi che è vero, che il cammino non può ripartire se non da qui. Da una gratitudine sconfinata. Perché una strada c’è.

Caravaggio, sabato 1 ottobre, spianata del Santuario. I pellegrini qui sono almeno in ventimila, arrivati da tutta la Lombardia. È il gesto con cui CL, al tempo stesso, va a fondo del Giubileo della misericordia (che chiude il mese prossimo) e inizia l’”anno sociale”. Un gesto che tanti altri stanno celebrando, nel resto d’Italia (a Loreto, a Oropa, a Santa Maria Maggiore a Roma, a San Pietro a Bologna e in tante altre chiese e santuari…). E poi nelle Filippine e a Novosibirsk (Siberia), a Gerusalemme e Taiwan, e in Kenya, Nigeria, Portogallo e tutti i Paesi che si aggiungeranno man mano nei prossimi giorni, dove non è stato possibile metterlo in calendario per il 1 ottobre.

Ma il cuore è qui, «ai piedi della Madonna», come la beata Giannetta, la contadina che nel 1432 vide apparirle la Vergine. Poveri, come lei. «Mendicanti di misericordia»,ricorda Carrón e ricorda il titolo stesso del pellegrinaggio, preso da una frase di papa Francesco: «Signore, io sono un peccatore: vieni con la tua misericordia».





















È un gesto semplice e intenso. I canti nell’attesa, inframmezzati da brani di Péguy e don Giussani e spezzoni di video (l’adultera, lo sguardo di Cristo sulla Maddalena dal Gesù di Zeffirelli, Pietro e il suo «sì, Signore, lo sai che ti amo», nel volto intenso di Omar Sharif). Il silenzio. La recita del Rosario.

Poi l’intervento della guida del movimento. Che parte proprio da lì, da quella gratitudine. Cita il Papa: «In mezzo ai nostri peccati, i nostri limiti, le nostre pochezze; in mezzo alle nostre molteplici cadute, Gesù Cristo ci ha visti, si è avvicinato, ci ha dato la mano e ci ha usato misericordia con noi. Con chi? Con me, con te, con te, con te, con tutti. Ognuno di noi potrà fare memoria, ripassando tutte le volte che il Signore lo ha visto, lo ha guardato, gli si è avvicinato e lo ha trattato con misericordia». Abbracciando tutta la nostra misura, la nostra indisponibilità «ad ascoltarci, a darci il tempo di capire il cambiamento epocale che stiamo attraversando». E i nostri peccati, anche tra noi, elencati senza sconti: «L’attacco all’unità di una esperienza che ci precede; il prevalere della contrapposizione di idee sull’appartenenza vissuta; lo svuotamento dell’ontologia del fatto cristiano fino a identificarlo con un insieme di idee e regole definite da noi; la riduzione del carisma a ispirazione…».

Una ferita a ogni parola. Eppure si può ripartire proprio da lì, da quella ferita. Dalla «coscienza di essere peccatori, perché quando noi non riduciamo il nostro male, tanto più quando non lo giustifichiamo», allora «possiamo renderci conto della novità della Sua misericordia».

Siamo qui «per mendicare la conversione del nostro cuore: cioè uno sguardo vero su di noi che ci consenta di riprendere il cammino», ricorda Carrón. E come risponde Cristo a questo nostro bisogno così radicale? Lo sguardo torna a Maddalena, all’irrompere nella sua vita di «quel viso che spacca la corteccia dell’egoismo», come disse una volta don Giussani. Perché «per aprire una crepa nella scorza di Maria, Dio non usa la violenza. È un viso il suscitatore e lo stimolatore del suo amore. Solo uno sguardo è adeguato a sfidare la libertà di quella donna».

Un volto che suscita amore, che chiama, sollecita il nostro io, con tenerezza e forza insieme. «Cristo risponde al nostro bisogno piegandosi a passare attraverso la libertà. A noi spetta accogliere la sua misericordia incondizionata». Che, magari, arriva da dove non te lo aspetti, come osserva Carrón leggendo una lettera di un insegnante, risvegliato dalla semplice domanda del suo allievo: «Ma che cosa avevi oggi?». Era arrivato in classe preoccupato da altro, si è ritrovato davanti quel viso che gli ridonava «l’urgenza che io sia presente all’istante».





















Un volto. Senza questa presenza, che ci guarda così, la strada sarebbe impossibile. «Senza misericordia non c’è cammino», prosegue Carrón: «Lo sappiamo bene: senza perdonare ed essere perdonati nessun rapporto avrebbe possibilità di durare. Non è un discorso sulla misericordia che può farci vivere», ma «un abbandono». Come Pietro, come il suo sì: «Non capisco come si possa pensare di fare un cammino senza ritornare lì», dice Carrón: «Altrimenti come facciamo a ripartire? Possiamo riprendere il cammino solo se Lui ci incolla di nuovo a Sé». È solo così che capiamo che, come diceva don Giussani, «la misericordia non è una parola umana. È identica a Mistero, è il Mistero da cui tutto proviene, da cui tutto è sostenuto, a cui tutto va a finire». Solo chi cede a questo abbraccio «può vincere la lotta contro la pretesa di autonomia».

E allora si spalanca di nuovo la strada. La strada personale di ognuno: la mia, la tua, E, con essa, il grande compito che ci attende, ovunque: la missione. «Il mondo è stato conquistato al cristianesimo ultimamente da questa parola riassuntiva: “misericordia”», ricorda Carrón citando ancora don Giussani: è «la vera rivoluzione, l’unica che non ha bisogno di altro potere per attuarsi», che permette di trovare e vivere nuove forme di testimonianza. Ciò che il Papa (Francesco, ma anche Benedetto) ci ricorda di continuo. Per questo «ci conviene seguirlo»; prosegue Carrón: «Perché non si stanca di richiamarci alla posizione giusta di fronte al mondo, che ha un bisogno sterminato di incontrare Colui che è tra noi: “È amando che si annuncia Dio-Amore: non a forza di convincere, mai imponendo la verità, nemmeno irrigidendosi attorno a qualche obbligo religioso o morale. Dio si annuncia incontrando le persone, con attenzione alla loro storia e al loro cammino. Perché il Signore non è un’idea, ma una Persona viva”».

Una persona viva. Come quelle incontrate dal giessino autore di una lettera con cui Carrón chiude il suo intervento. Un «giovane amico» che «con semplicità disarmante» racconta il riaccadere di un incontro e il suo bisogno di quello sguardo, di quel luogo. «È da quella esperienza stravolgente che ho presentito, attraverso persone, fatti, che c’è un posto dove tutta la mia sete di verità viene guardata con sincerità e dove io sono “più io”, perché c’è Uno che mi ha chiamato amico», scrive quel ragazzo. «Domandiamo alla Madonna questa semplicità di cuore, per essere grandi come dei bambini che sanno dove andare», chiude Carrón .





















La domanda prosegue con la Messa. E con un altro regalo, grande, di questa giornata che è tutta un regalo: l’omelia del cardinale Angelo Scola. Ricorda come «Cristo può entrare in noi solo da un cuore spezzato. Più passa il tempo, più siamo consapevoli della profondità delle radici del male e del nostro scetticismo». Eppure, «il perdono di Dio è più grande». Non solo supera il nostro scetticismo, ma «esalta lo slancio del nostro desiderio, fino alla sua vera statura: lo riscatta, lo redime, gli permette di essere se stesso, ovvero molla della vita di ogni uomo e donna».

Scola cita il giovane Montini: «Dio è misericordia, perché ha amato il mondo colpevole. Quelli più lontani e più miseri». E don Giussani, che parlava della misericordia «come di una cosa dell’altro mondo in questo mondo». Poi ricorda la domanda dei discepoli a Gesù, davanti al suo misterioso invito a perdonare sempre: «Accresci la nostra fede». È un invito alla conversione, continuo. Che tocca da vicino anche «chi vuole prendere parte al carisma di don Giussani: deve convertirsi ogni giorno, ogni istante. Non si può non passare da lì. Ancora di più quando ci si trova in una situazione di incomprensione reciproca». Può accadere, «è inutile scandalizzarsi», ma la misericordia «permette di salvare a priori ogni diversità, ogni incomprensione». Per questo «sempre, in ogni autentica realtà ecclesiale, la misericordia è la bussola, sia di chi guida che di chi segue». Se non si arriva a questo «senso ultimo di conversione», ricorda il cardinale, «persino la bellezza di un gesto così va perduta».

Ma «come si fa a custodire il dono ricevuto?», si domanda dopo. E risponde con San Paolo: «Non vergognarti di dare testimonianza al Signore nostro». Aggiungendo: «Testimone è il nome appropriato del cristiano. Descrive la sua esperienza di conoscenza adeguata della realtà e di comunicazione della verità. Ravvivare e custodire il dono ricevuto coincide con il lasciarsi possedere dalla Verità che è Gesù, secondo la forma con cui è stata ricevuta: senza difese, senza pretese, senza pensare di essere già arrivati. Solo come dimora dei testimoni la Chiesa si presenta come mondo trasfigurato».

«Dimora dei testimoni». Parlava della Chiesa «don Angelo», come lo saluta con affetto Carrón alla fine. Parlava di questo popolo che sciama verso i pullman, il ritorno a casa, la domenica e la vita che ci attende ad ogni lunedì mattina. A prima vista identica, la vita di sempre, eppure trasfigurata da quello sguardo, dalla Sua misericordia. Se Gli diciamo sì.