La Chiesa di Sant'Antonio (Norcia).

«Come trovare il bene qui?»

A tre settimane dal terremoto di Norcia, tra chi dorme ancora in auto e le suore che cercano un luogo dove pregare. Il racconto di una volontaria nelle zone colpite: «Tutta la vita è per l'infinito e non per un pezzetto che cerchi di portare»

Forse per carattere, ancor più per l'educazione ricevuta, di fronte alle immagini e alle notizie del terremoto a Norcia, non riuscivo a starmene tranquilla, a non coinvolgermi. Quando poi ho saputo che c'era la richiesta di personale psicosociale ho cercato di organizzare famiglia e ufficio e sono partita.

Sono arrivata a Norcia nella terza settimana dopo il terremoto. Pioveva e faceva freddo. Mi hanno salutato sbrigativamente, messo una pettorina gialla e subito sotto una tenda a ricevere e ascoltare i bisogni delle persone. Sino alle nove di sera. La drammaticità della realtà era profonda, cose e persone devastate. La paura e le lacrime erano una costante negli occhi di chi mi parlava. Nei colloqui tutto era bisogno e domanda. Le persone si dicevano disorientate e disarmate. Molte dormivano ancora in macchina, con temperature molto basse, per non allontanarsi dal bestiame, dalle loro attività e dalle loro abitazioni inagibili. Tante famiglie erano divise: qualcuno in albergo lungo le coste e qualcuno era rimasto.

Li aiutavo a compilare le richieste di "contributo di prima sistemazione" per le casette di legno che dovrebbero arrivare in primavera, o per l'accesso ai "container collettivi", un po' più confortevoli delle tendopoli. Ma durante i colloqui occorreva fermarsi perché le persone piangevano, ti raccontavano della grande paura provata e di tutto quello che era successo. Spesso non ricordavano le date di nascita e addirittura i nomi dei familiari… Provavi a confortarli, a parlargli della grande solidarietà che tutta l'Italia stava dimostrando per la loro drammatica situazione. Spesso ti abbracciavano e ti ringraziavano commossi.

Nessuno poteva, e voleva, rientrare in casa, si viveva solo all'aperto, passando da una tenda all'altra, nonostante il freddo. Si mangiava sotto i tendoni, tutti insieme. C'era una grande presenza di Vigili del fuoco, Protezione Civile, volontari, tutti molto indaffarati ad aiutare…






















Mi sentivo come in una realtà parallela, fatta di essenzialità. La domanda che mi ha sempre accompagnato in quei giorni è stata: ma come faccio a recuperare un bene qui? Senti che loro ti affidano il loro dramma, ti dai da fare, ma sai che presto li lascerai ancora così. Eppure ascoltandoli e accompagnandoli capisci che loro hanno un valore qui e ora, in questo tempo e in questo spazio, magari fatto di tende e disagio. Mi è capitato spesso di vedere che incrociandosi le persone si abbracciassero e si dicessero: «Ce la faremo!». Allora intuivo che sempre la realtà tende a rilanciarti in una prospettiva più grande, che tutta la vita è per l'infinito e non per un pezzetto che stai cercando di portare, e che tutto è già salvato. Dopo due giorni che ero a Norcia, ho saputo che ancora nessuno era andato nei paesi vicini, particolarmente colpiti, per un sostegno psicosociale.

Insieme a un pompiere e a una psicologa ho iniziato con un presidio itinerante. Il primo paesino è stato Preci. Qui responsabile del campo era Luca, un amico del movimento di Torino. Ritrovarci anche solo in due in queste situazioni ti fa sentire che non sei solo. Gli ho chiesto: «Luca tu come fai?». Mi ha risposto: «Qui ti senti padre di tutte queste persone che incontri, cogli che quello che ti viene affidato e chiesto di portare è il loro dramma quotidiano. Ma ti rendi conto che non lo puoi portare tu, salvare tu, ma solo accompagnare. Certo dandoti da fare e offrendo tutto il tuo aiuto, ma non puoi che affidarli a Gesù, mentre li accompagni e gli vuoi bene».

A Cascia, in una struttura in cui erano state raccolte persone anziane e disabili, aiutate dall'Unitalsi, ho visto in fondo la statua di santa Rita portata dal santuario. Una vecchietta particolarmente provata, mi ha detto: «Io e molti abbiamo perso tutto, ma abbiamo santa Rita e l'abbiamo voluta qui, con noi».






















Il momento più significativo è stato quando nella palestra adibita a ufficio, sono entrate quattro suore il cui convento è andato in gran parte distrutto, chiedendomi di aiutarle a trovare un luogo dove stare per rimanere a Norcia e per poter continuare a pregare per questa povera gente.

Aiutandole nel compilare la richiesta per una casetta di legno, le osservavo: pur essendo provate, portando e
condividendo la sorte di queste persone e di questo pezzo di realtà, le loro parole erano piene di certezza nella fede. Proprio come Gesù, venuto tra di noi a condividere la sorte umana, per indicarci la strada da seguire. In quel momento mi sono ricordata che venendo in questi luoghi avevo pregato chiedendo: «Gesù fa che io possa fare tutto per imparare a riconoscerti».

Paola, Bassano del Grappa