Fedeli in cammino verso Loreto.

«Come mi farai compagnia domani?»

Un'altra testimonianza dal pellegrinaggio verso la Madonna. Canti, testimonianze, preghiere ma anche fatica fisica. Imma riscopre nella difficoltà del cammino che «Gesù non lascia mai da soli». E si ritrova grata per le circostanze che vive

Quest'anno per la prima volta sono stata al pellegrinaggio Macerata-Loreto. Sono partita avendo tanto da chiedere, ma quando ho provato a scrivere le intenzioni, l'unica cosa che mi veniva da domandare era la mia conversione, non riuscivo a scrivere altro. Eppure ho mille cose da chiedere e mille altre per cui ringraziare.

Quando ci siamo messi in cammino dallo stadio, dopo la messa, non mi è piaciuta la tanta confusione che si era creata: tutti provavano a correre avanti. Anche io inizialmente ero decisa a sorpassare, perché mi era stato detto che sarebbe stato più facile portare meglio la fatica, ma la modalità non mi corrispondeva: troppa distrazione. Ero partita con stanchezza e vertigini, e già questo era motivo di distrazione, ma io ero lì e non volevo perdermi nulla, dalle preghiere, ai canti e alle testimonianze.

Dopo poca strada, io, mia sorella e l'amica che avevo invitato avevamo perso di vista tutti gli altri amici con cui eravamo partite, e abbiamo continuato a camminare com tranquillità per un po'. Ad un certo punto mi sono accorta che facevano fatica: mia sorella aveva mal di schiena, e l'amica voleva fermarsi per riposare, ed era solo mezzanotte. Anch'io iniziavo ad avere dolore alle gambe. Verso l'una ho indicato loro dove potersi fermare; hanno continuato ancora un po' a camminare, ma poi ad un tratto girandomi indietro non le ho più viste: mi sono fermata, sono tornata indietro, ma non riuscivo a trovarle. Mia sorella aveva il cellulare spento, perciò non potendola avvisare ho deciso di continuare da sola. Ma non ero affatto sola, eravamo in centomila! Lungo il cammino la preghiera è diventata più intensa, i canti sono diventati un grido, le testimonianze una commozione.

Il dolore alle anche e alle gambe aumentava: ho iniziato a pensare ai profughi che si mettono in cammimo, che si spostano da una nazione all'altra per sfuggire a persecuzioni, guerre, terrorismo: quanto dolore! Il loro camminare aveva uno scopo, e il mio? Così ho iniziato ad aumentare il passo, verso le tre mi sono ritrovata avanti, mi hanno fermata perché senza accorgermene avevo superato il cordone, infatti a causa delle vertigini evitavo di guardarmi intorno.

Dopo un po' ha cominciato a piovere. Ho iniziato a chiedermi perché ero lì e che senso avesse sottopormi a tanta sofferenza fisica, pensavo che forse avrei potuto pregare da casa.... Stavo cedendo. Poi mi sono accorta che accanto a me c'era un ragazzo di colore, con una maglietta a mezza manica e senza ombrello; gli ho offerto il mio, e lui lo ha afferrato ma cercava di coprire me, tenendo il suo capo scoperto. Io avevo il cappello anti-pioggia, ho tirato fuori il k-way, e gli ho detto di tenere l'ombrello per sé. Mi ha sorriso, ma cercava di coprirmi lo stesso. Mi sono accorta di essere bagnata fradicia, perché il k-way non era impermeabile; mi faceva anche sudare, perché non permetteva alla mia pelle una giusta traspirazione. Camminavamo pregando, cantando, e ascoltando testimonianze. Quando ha smesso di piovere ho tirato un sospiro di sollievo, il ragazzo mi ha restituito l'ombrello e per un po' non l'ho più visto.

Ha ricominciato a piovere, allora ho riaperto il mio ombrello, ed ero sollevata di non doverlo cedere visto che avevo il k-way inzuppato. Ma dopo pochi minuti, mi sono ritrovata di fianco di nuovo lo stesso ragazzo: gli ho ridato l'ombrello e ho indossato di nuovo il k-way. Abbiamo camminato insieme fino all'arrivo scambiandoci qualche parola e tanti sorrisi. Di tanto in tanto mi chiedeva: «Ce la fa? Tra poco ci saranno tre salite, poi due discese e si sale ancora fino al Santuario». Quando arriviamo in alto mi indica il fiume di gente dietro di noi. Le gambe erano sempre più doloranti, ma quella presenza discreta a cui inizialmente pensavo di rispondere, rispetto a cui pensavo di essere io a soddisfare un bisogno, ora nel silenzio mi faceva compagnia, tanto da aiutarmi a portare quel dolore fisico.

Quando stavamo per terminare il cammino, alcune persone dalla finestra della camionetta per gli invalidi hanno iniziato ad applaudire per il fiume di persone che avanzava. Mi sono ritrovata in lacrime: ero commossa. Ho notato l'immagine della Madonna, messa in una posizione che ricordava chi attende l'ospite nella propria casa. Ero giunta alla meta. Piangevo, e pensavo che forse morire sarebbe stato lo stesso: ero sì estremamente affaticata, ma ero pervasa dalla gioia.

In quest'ultimo tratto, ho incontrato Anna, un'amica che veniva da Milano. Ci siamo abbracciate, le ho presentato il ragazzo che mi aveva fatto compagnia per un tratto di strada, anche lui di Milano, e così ho scoperto che si chiama Junior. Arrivati in piazza io e Junior abbiamo consegnato le intenzioni perché venissero bruciate, ci siamo salutati con un grande abbraccio, consapevoli che non ci saremmo più rivisti, poi lui è andato in cerca dei suoi amici e io dei miei. Come lui, non ho sentito l'esigenza di chiedergli un recapito o altro. Non c'era bisogno di altro, eravamo pieni di letizia e di gioia. Mentre raggiungevo gli amici con cui ero partita, mi sono accorta che le vertigini erano sparite.

Gesù non mi lascia sola mai. Mi sono resa conto che tutto il pellegrinaggio l'ho vissuto come ultimamente vivo la mia vita. Nonostante tutta la fatica che ci può essere, non mi sono voluta fermare, sono andata avanti, anche senza i miei amici; non volevo distrazioni, pregavo e cantavo come mai fatto prima, e nel momento più critico per la stanchezza e il dolore fisico, il Signore mi ha messo accanto uno - ancora una volta - che non ho scelto io.

Sono grata al Signore che mi ha messo in questa compagnia, grazie alla quale ora so cosa cercare. E sono anche grata per le circostanze che mi sono date da vivere, soprattutto negli ultimi mesi: la fatica del lavoro prima, le preoccupazioni e il dolore vissuto per mia figlia, e poi la scoperta di essere affetta da una malattia genetica rara, con cui dovrò imparare a convivere. Ma il mio vivere non è più confuso. Non voglio accontentarmi, voglio vivere di più tutto e godere di ogni istante che mi è dato, anche delle piccole cose, come il the che mi è stato offerto durante il pellegrinaggio (non ho mai bevuto nella mia vita un the più buono di quello!). Come Signore mi farai compagnia domani?

Imma, Aversa (Caserta)