La presentazione di "Luigi Giussani. Su vida" a Bogotà.

Una scintilla per il cuore

Dopo la presentazione di "Luigi Giussani. Su vida" a Bogotà, Chiara rimane «stranamente felice». Così invita l'autore, Alberto Savorana, nel liceo dove insegna. Un'ora e mezza di dialogo con i ragazzi: «Alla fine facevamo fatica a staccarli»

Bogotà. Si avvicina il 26 maggio, giorno della presentazione pubblica di Luigi Giussani. Su vida di Alberto Savorana, e mi pare che in me non ci sia movimento, non ci sia abbastanza movimento.
Sarà che la vita è troppo piena di cose da fare? Lavoro intenso, almeno da undici anni a questa parte, le amicizie anche - certi rapporti fanno davvero fatica - ed ora l'organizzazione dell'evento, gli inviti, eccetera. Forse il punto è che non basta ripetersi, o ascoltare le solite parole, seppur vere e sincere? Occorre una chispa, come si dice qui in Colombia, una scintilla per il cuore.

26 maggio, ore 13. Sbarca a Bogotà Alberto Savorana, che mi sorprende da subito quando alla mia domanda su quante presentazioni dello stesso libro abbia già fatto e cosa pensi di ognuna, risponde che ogni volta è per lui un avvenimento incredibile vedere come sia attuale don Giussani, come risponda seriamente alla realtà concreta dell'uomo di oggi, in ogni parte del mondo si trovi.

Ed è vero. Me ne rendo conto il 26 maggio alle 18 e 45, quando iniziano gli interventi di monsignor Pedro Salamanca, vescovo ausiliare dell'Arcidiocesi di Bogotà, e del professor Edwin Horta, vicerettore e docente di Diritto dell'Università Cattolica della città.

Monsignor Salamanca fa il primo intervento, in cui afferma chiaramente che il carisma di don Giussani ha dato e continua a dare un contributo importantissimo alla Chiesa. Tutti quelli che attraverso di lui hanno incontrato Cristo così "carnalmente", sono oggi terreno fecondo per una Chiesa chiamata a rispondere alle sfide di questo tempo, a porsi assieme agli uomini e non a relegarsi in spazi "sacri". Ovvero, come esorta il Papa, ad andare nel mondo.

Horta poi fa un intervento impressionante sull'attualità ed efficacia del metodo educativo proposto da don Giussani nei suoi scritti, ma soprattutto nella sua vita. In modo assolutamente oggettivo - da attento conoscitore della situazione attuale - comunica lo stupore personale dell’essersi imbattuto in un vero e proprio "Maestro" nel metodo della conoscenza.

In questi tempi, in cui pare impossibile poter giungere ad una conoscenza vera, in cui regna l'opinionismo su tutto, o peggio il dubbio, non solo possiamo affermare che si può conoscere davvero la realtà, ma anche, sostenuti da don Giussani, che la fede è lo strumento più adeguato, che permette di compiere un cammino senza dover lasciare fuori nessun aspetto della vita. La ragione e la fede come compagne nella conoscenza, per un cammino necessariamente umano.

Niente da ridire: ha capito, ha visto e ha capito. E pensare che io, dopo 40 anni in CL, ancora penso di aver capito tutto senza bisogno di vedere. Déjà vu, già visto. Ma, senza la scintilla, anche ciò che uno crede di sapere, non è.

Molti invitati escono contentissimi. Alcuni mi fermano e ringraziano, perché è la prima volta che sentono parlare così della fede, dell'educazione, della vita-vita. Rimango davvero contenta, stranamente felice, come quando succede qualcosa che non credevi potesse essere così semplice e bella.

Mi nasce un desiderio: «Alberto, domattina mi regaleresti un'ora per un dialogo con i miei alunni del liceo?». Quattro classi di sessanta adolescenti, dei vulcani in cerca di qualcosa che possa dare un senso alla vita, una chispa che non si spenga facilmente.

All'inizio, silenzio. Sessanta ragazzi che scrutano, ascoltano per metterti alla prova e vedere se ne vale la pena, se può esserci qualcosa in te che risvegli il bisogno vero che hanno. Sembra che nessuno osi parlare, ma poi inizia Alessandra e dietro di lei Valentina, David, Diego, Juan Pablo e Ángela. Un'ora e mezza di dialogo sul limite nostro e l'esigenza di infinito, su chi sia questo Dio di cui parla Savorana, «perché io non credo in Dio», «perché tu sei arrivato in Colombia qui da noi?», «come facciamo noi che siamo così limitati a desiderare qualcosa di infinito? Come si conciliano il limite umano e l’infinito?».

Alla fine quasi facciamo fatica a staccarli, ma poi si torna in classe ed è impossibile fare lezione come prima perché i ragazzi continuano a fare domande ai professori, quasi sfidandoli su quel livello troppo semplice e vero, visto nel dialogo con Alberto.

Rimane in me il desiderio di guardarli e di poterli accompagnare alla ricerca di quella scintilla, la sola che accende il motore di ogni movimento, loro e mio.

Chiara Neri, Bogotà